Dimmi che non sono un essere umano, mamma.
Dimmi che vengo da un pianeta lontano, dove non esistono sentimenti, o da cui, se esistono, mi hanno cacciata perché non sono in grado di provarli. Dimmi che c’è qualcosa in me che non va, che ho un grosso problema e lo strano dono di vedere cose che non succedono realmente. Come quel video, come quel gas, come quelle bombe che nessuno lancia.
Dimmi che quei bambini stanno giocando a nascondino, che stasera quegli uomini torneranno stanchi da lavoro, che quelle donne preparano già la cena. Dimmi che stanno tutti bene. Ne ho bisogno.
Ho letto di tanta indignazione in questi giorni, ma io non voglio scriverne, non sono indignata. Sono arrabbiata e ferita, credo. Se fossi davvero capace di provare qualcosa, ti direi che dentro ho la sensazione di essere in mille pezzi. Come la Siria che sta svanendo, e un puzzle che non sarà finito. Come un ricordo sbiadito dal tempo e più di 500.000 vite spezzate, è colpa mia.
Sono un’assassina, mamma, lo siamo tutti. Lo siamo ogni giorno di più, anche se non lo ammetteremmo mai. Sono un’assassina perché, mentre scrivo, nel mondo qualcuno, così simile a me, sta decidendo dell’esistenza di un altro e poi di un altro ancora. Non saprò fermarlo. Sono un’assassina perché certe pagine dei libri di storia mi hanno sempre fatto male, ma quelle che studieranno i miei figli le sto scrivendo anche io, con il mio silenzio complice, con le mie lacrime vigliacche. Stanno morendo, chi li salverà?
Oggi ho assistito, inerme, comoda sulla mia poltrona, alla sofferenza di persone che non riuscivano a respirare, a parlare, a sbattere le palpebre, a chiedere aiuto, a gridare il proprio dolore. E adesso, come se bastasse ad andare avanti, affido le mie parole a un pezzo di carta, a te, a chi mi ha sempre protetta. Eppure non basta, non è sufficiente a coprire quei volti così vividi nella mia memoria, niente si cancella. Non riesco a dimenticarmi di quelle immagini, so che non dovrei nemmeno provarci. Ma come posso vivere così?
Sono un’assassina, tuttavia non pagherò per questo. Nessuno mi condannerà per i crimini commessi, piuttosto continuerò a svegliarmi ogni mattina nel mio letto, chiedendomi se fuori piove o cosa indossare, diventerò grande, probabilmente metterò su una famiglia numerosa e troverò un lavoro degno di questo nome, i ragni continueranno a farmi paura. Nel frattempo, però, la società in cui vivo mi aiuterà a imbavagliare i sensi di colpa e a rinchiuderli in una scatola, mentre nella mia indifferenza ne ucciderò degli altri. Chi? Quanti? Dove? Ci sarà sempre qualcuno a indicarmi il nemico, a stabilire la parte giusta di mondo, a decidere anche per me. E io tacerò.
La Siria, forse, non ci sarà più.
Dicono che la vita sia un dono, allora perché non lo è per tutti? Perché, talvolta, ha più valore? Chi lo determina? Quel signore che, dall’alto, pilota un aereo e fa esplodere ordigni? Dio me lo immaginavo sicuramente diverso.
Ti prego, mamma, dimmi che non esiste, perché se me lo dici tu ci credo, e smetto di sperarci. Solo così, forse, riuscirei a spiegarmi tutto questo. Credi che abbia ucciso anche Lui?
Rimandami sul quel pianeta lontano e dimmi che non sono un essere umano. O non più. La guerra ha ucciso anche me.