No significa no è ciò che le donne urlavano in piazza quando il movimento MeToo iniziava a farsi strada nella nostra società. Uno slogan pieno di rabbia e sofferenza, pensato per rivendicare i propri diritti, primo tra tutti quello all’autodeterminazione. Pensato in risposta a quella narrazione tanto comoda alla violenza maschile secondo cui una donna non dice mai di sì, anche quando lo pensa, e bisogna leggere tra le righe dei suoi no e prendersi da soli le cose – i corpi – che si desiderano. No significa no era la risposta ai tribunali che non condannavano gli aggressori quando una violenza sessuale era perpetrata nonostante il chiaro dissenso della vittima. Ma c’è voluto poco perché ci si rendesse conto che non bastava più, che tante cose significano no, e che solo sì è sì.
Si chiama così la legge spagnola, approvata in via definitiva il 25 agosto, che prevede una pena per aggressione sessuale – che va da uno a quattro anni – per chiunque perpetri un atto sessuale senza il consenso esplicito dell’altra persona. Il testo di legge elimina, inoltre, la differenza tra abuso – dalla pena più lieve – e violenza, lasciando solo quest’ultima tra le possibili condanne in seguito a un’azione sessuale priva di consenso. A dare il via a questo procedimento è stato un rappresentativo caso di violenza di gruppo risalente al 2016 al cui processo i cinque aggressori furono condannati solo per abusi, nonostante l’evidente ferocia delle loro azioni, e in seguito al quale la società civile spagnola è insorta nelle piazze, in cerca di una giustizia che, quando si parla di stupro, è troppo difficile da ottenere.
La genesi di una legge di questo tipo, la necessità di crearla, in una società in cui – teoricamente – è già chiara la definizione di violenza sessuale ed esistono già leggi che la amministrano, non può che derivare dalla difficoltà, in ambito giudiziario come nella vita vera, a definire, comprendere e rispettare il concetto di consenso. Sebbene esso sia accompagnato da una definizione chiara, infatti, troppo spesso la sua erronea presunzione diventa alibi per troppe violenze. Il testo della legge chiarisce che c’è consenso solo quando è stato liberamente espresso con atti che, date le circostanze del caso, esprimono chiaramente la volontà della persona interessata.
No significa no non basta più, o meglio, non è mai bastato, perché non sono mai stati solo i no non ascoltati e ignorati a degradare il concetto di consenso. Il rifiuto può essere esplicito anche in molti altri modi, dal silenzio all’indecisione fino ad arrivare ai sì estorti con particolare insistenza. E, soprattutto, non riguarda solo i casi fortuiti e violenti in cui ancora ci immaginiamo le violenze sessuali, ma riguarda la vita di tutti i giorni. Riguarda il consenso quotidiano, quello condiviso con il proprio partner, riguarda le violenza ordinarie, quelle che non fanno notizia, quelle che non vengono denunciate, a volte neanche considerate tali dalle vittime stesse, perché ancora si gioca con il concetto di consenso come se, per definizione, esso potesse essere estorto o convinto, o come se non dovesse sussistere, come se fosse sempre automatico, in determinati tipi di relazione.
Il consenso è, per definizione, esplicito, libero e reversibile. Esplicito, perché non si può pensare di agire in base alla presunzione di sapere cosa vuole l’altra persona se non è proprio lei a chiarirlo. Libero, perché una risposta affermativa data sotto coercizione, per timore di una reazione violenta o anche solo per convenzione, basandosi sulla convinzione che il consenso non debba essere esplicitato anche nelle relazioni stabili, non è consenso. E reversibile, poiché esso può essere revocato in qualunque momento. In assenza di queste condizioni, non si può parlare di consenso ma, in un modo o nell’altro, di violenza, di aggressione, di abuso sessuale.
Questa definizione è chiara ovunque e in una società civile per davvero, probabilmente, non ci sarebbe bisogno di una legge come solo sì è sì. Eppure la nuova norma spagnola dovrebbe essere un esempio per tutti, anche per l’Italia, in cui il consenso è chiaramente definito dalla legge ma troppo spesso l’assenza di no evita condanne. E non è neanche per condanne più incisive, a dir la verità, che serve una legge del genere, ma per mandare un messaggio più chiaro alla società, per esplicitare quel concetto di consenso che troppe volte ristagna nel torbido e resta, inevitabilmente, poco compreso.
Riguardo questa notizia, si leggono titoli del tipo In Spagna il sesso senza consenso sarà considerato stupro, come se non fosse già così, come se non fosse già questa la definizione di stupro. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce la necessità di una legge del genere. Proprio nel fatto per cui troppe volte il mancato consenso non è considerato per quello che è. Proprio perché, intorno alla sua definizione, si creano numerose e inaccettabili scappatoie. Proprio perché il consenso ancora non gode della posizione che merita, ancora è scavalcato, ammaccato e spesso ignorato.
Forse, che una legge chiarisca che qualunque atto sessuale in cui non sia esplicitato un sì da tutte le parti in gioco è violenza non cambierà davvero le cose. Dopotutto, anche in Italia il consenso ha una definizione altrettanto chiara eppure troppo spesso non trova spazio. Ma, forse, un’iniziativa del genere servirà a mandare un messaggio, a educare la popolazione – maschile e femminile – a cosa significa consenso, a dove finisce il rispetto per l’altro e dove inizia la violenza. Forse servirà a quell’intento educativo che da anni ci auspichiamo per rimediare, gradualmente e definitivamente, alla disparità di genere.