Si chiama Soberana ed è il vaccino anti-COVID a disposizione degli ultimi. Il Don Chisciotte che sfida i mulini a vento. A produrlo – e non potrebbe essere altrimenti – è Cuba, l’Isola Grande, la terra che dell’altruismo ha fatto la bussola che orienta ogni suo agire.
Quello a cui il Paese che fu di Fidel Castro sta lavorando è un farmaco che possa proteggere dal rischio di contagio l’intera popolazione cubana ma, anche, quella della porzione di mondo che per motivi economici non può accedere alle immunizzazioni occidentali, i vaccini per ricchi attualmente sul mercato. Lo scopo di Cuba, infatti, è la distribuzione gratuita delle dosi perché – dice – il diritto alla salute non può essere motivo di lucro.
Al momento, i progetti vaccinali sostenuti dallo Stato sono ben quattro, tutti in fase di sperimentazione clinica. Due di questi, il Soberana 01 e il Soberana 02, sono vicini alla fase 3, probabilmente prossimi alla commercializzazione. In particolare, spiegano i ricercatori, il Soberana 02 – a cui Cuba lavora da ottobre – introdurrebbe direttamente i frammenti della proteina utili allo sviluppo degli anticorpi, a differenza dei vaccini Pfizer-BioNTech che, invece, si basano sull’RNA messaggero. Il farmaco sta mostrando una precoce risposta immunitaria (pari a circa quattordici giorni) che fa sperare nella primavera prossima. Se gli studi dovessero confermarsi, quindi, si potrebbe tentare di vaccinare la popolazione isolana già nella prima metà del 2021. Parliamo di 11 milioni di cittadini.
A tal proposito, per definire lo sviluppo della fase 3 e l’approvazione da parte del Centro per il Controllo Statale dei Medicinali (CECMED), i test verranno effettuati in Iran. Il vaccino, infatti, deve essere somministrato ad almeno 50mila persone, ma sull’isola l’incidenza di contagio non è tale da consentire un test che possa definirsi sufficientemente esaustivo: basti pensare che, al momento in cui scriviamo, Cuba conta circa il 90% di guariti da COVID-19 – tutti curati con farmaci di produzione locale – e poco più di 300 morti. Grazie all’accordo con Teheran, inoltre, potrebbero ridursi anche i tempi per l’immunizzazione iraniana. Un’ottima notizia stando ai dati attuali.
A entrambi i Soberana sta lavorando il Finlay Institute Avana, lì dove lavora anche l’italiano Fabrizio Chiodo, di recente protagonista di una polemica voluta da Roberto Burioni che si è detto scettico nei confronti del medicinale perché prodotto in un Paese in cui uno scienziato che dice che non funziona finisce in galera. Per fidarsi preferirebbe che il farmaco fosse testato in una bella democrazia occidentale. Ma quale delle tante che hanno finanziato aziende private per produrre i vaccini che ora pagano a caro prezzo e che nemmeno vengono distribuiti secondo accordi? Basti pensare ad AstraZeneca, già al centro di tanti dubbi e polemiche che – pare – ridurrà di circa il 50% la sua fornitura all’Unione Europea. È questa la democrazia? Quella che ha visto i ricchi farsi ancora più ricchi in una pandemia che ha creato milioni di nuovi poveri? Quella che ha coniato l’espressione nazionalismo vaccinale, accettandone il significato?
La risposta migliore è arrivata proprio da Chiodo in una recente intervista: Cuba «è l’unico Stato dove un prodotto può andare dal laboratorio alla clinica per via totalmente pubblica. Faccio questo lavoro per gli altri, spinto da una forte etica. E Cuba mi permette di rispettare quello in cui credo». L’isola ha da tempo uno dei migliori sistemi sanitari al mondo, costretta a lavorare sulla ricerca interna perché da sessant’anni vittima dell’embargo impostole dalla democrazia occidentale per eccellenza, gli Stati Uniti, quelli per i quali, invece, la sanità si paga e anche tanto. Non a Cuba, però, dove la salute è un diritto inalienabile garantito a chiunque – nessuno escluso, nemmeno gli americani che negli anni vi si sono recati per farsi curare (anche dopo l’11 settembre) – grazie a un’assistenza di qualità estrema.
L’isola vanta il più alto numero di medici al mondo in rapporto alla popolazione: la sua è un’organizzazione capillare, affatto ospedalocentrica, costituita da tre livelli amministrativi – nazionale, provinciale e municipale – che hanno ciascuno una sua specifica a evitare il sovraccarico del sistema centrale consentendo, anche a chi abita nelle aree più remote, di accedervi senza difficoltà. Quest’organizzazione uniforma la speranza di vita e la mortalità infantile agli indicatori sanitari degli Stati più sviluppati, pur presentando Cuba un PIL da Paese in via di sviluppo. Non è un caso, quindi, che Soberana, in spagnolo, significhi sovrana: sta a sottolineare l’efficienza in ambito medico-scientifico dell’isola, ormai vera e propria punta di diamante dell’industria biotecnologica. Non solo autonomia interna, però: già da tempo, fedele ai suoi ideali, il Paese esporta vaccini in alcuni dei luoghi più poveri della Terra, come i farmaci contro la meningite e l’epatite B.
Quello della vaccinazione è uno dei concetti più socialisti cui si possa pensare: proteggere me significa proteggere te e viceversa. Significa prendersi cura. E prendersi cura vuol dire amare, vuol dire insieme, vuol dire comunità. Un concetto che l’Occidente ha dimostrato di aver dimenticato anche in questo lungo anno pandemico, durante il quale le grandi potenze hanno fatto a gara ad accaparrarsi più dosi di vaccino ancor prima che questo fosse messo sul mercato. Come denunciato da Amnesty e OXFAM, infatti, il 14% degli Stati più ricchi del mondo ha prenotato oltre il 50% delle dosi vaccinali. Di conseguenza, nei Paesi in via di sviluppo, 9 persone su 10 rischiano di non essere mai immunizzate. È per questo che l’OMS, in collaborazione con la Coalition for Epidemic Preparedness Innovation, ha realizzato COVAX, il programma che consente – o dovrebbe consentire – la distribuzione globale dei vaccini, ed è grazie all’aiuto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che Cuba spera, una volta approvati, di consegnare i propri farmaci a tutti coloro che ne avranno bisogno in ogni angolo del pianeta. Glielo permetteranno?
Al momento, l’isola ipotizza di produrre 100 milioni di Soberana 02 entro la fine dell’anno, periodo in cui è più probabile che la sua popolazione potrà dirsi coperta. Per raggiungere tale obiettivo, l’Associazione Italia-Cuba ha avviato una raccolta fondi al fine di contribuire non solo al finanziamento della produzione e della ricerca in generale, ma anche nella fornitura di quelle attrezzature che il bloqueo rende impossibili da reperire. Un’iniziativa nobile e fondamentale, eppure passata sottotraccia, come a non disturbare gli studi a noi più prossimi, frutto di accordi e alleanze tutti da discutere. Perché se l’Europa non ha imposto direttamente sanzioni, ha scelto sin da subito – e senza equivoci – da che parte stare. E non è al fianco di Cuba.
Quando nel cuore della pandemia i medici cubani hanno volato ovunque nel mondo, anche in Italia, per assistere le popolazioni più duramente colpite dal COVID, ci siamo commossi tutti. Tutti li abbiamo paragonati a eroi, ad angeli venuti dal cielo per salvare noi e un sistema sanitario occidentale che è arrivato completamente impreparato all’appuntamento con la sfida del secolo: decenni di tagli, di politiche neoliberiste, di finanziamenti ai privati a discapito del pubblico, di scelleratezza nella spesa e di oculatezza nell’accaparramento di un tornaconto personale hanno svelato tutta la loro natura trasformandosi in pandemia, dolore, morte. Ecco perché aiutare Cuba è molto più di una semplice donazione. È una presa di posizione, è la costruzione di un mondo diverso, meno egoista, magari meno capitalista. Aiutare Cuba vuol dire aiutare tutta l’umanità.
Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo, diceva un medico che per Cuba e per gli altri ha dato la vita. È la qualità più bella di un rivoluzionario. E di rivoluzionari, oggi, ne abbiamo veramente bisogno. ¡Adelante!