La sincerità (o spontaneità) è sempre un pregio e un valore?
Lo diventa solo nei casi in cui viene disciplinata, altrimenti si trasforma in individualismo estremo che è poi, agli occhi di Gramsci, forma di idiotismo. L’individuo è spontaneo quando mette in risalto la sua socialità, senza cui sarebbe un idiota. La paura del conformismo, di un’identificazione con un gruppo sociale e con i suoi valori, deriva dalla depravazione del termine nel corso dei secoli che è diventato conformismo gesuitico, quindi fittizio, creato artificiosamente per gli interessi di un piccolo gruppo o cricca, non di una avanguardia. Il rischio di essere bastian contrari, pur di sembrare autentici, dunque, deve essere scongiurato attraverso una spontaneità disciplinata che, pur mantenendoci aggrappati a valori condivisi, non ci impedisce di essere originali.
Del resto, è troppo facile essere originali facendo il contrario di ciò che fanno tutti; è una cosa meccanica. Bisogna imparare a esserlo senza fare i buffoni o, tantomeno, le acrobazie. Un Gramsci attualissimo, premonitore delle disfunzioni della società del Grande Fratello, che condanna la ricerca a poco prezzo di un’originalità che non è altro che depravazione selvaggia di individualismo.
Battere l’accento sulla disciplina, sulla socialità, e tuttavia pretendere sincerità, spontaneità, originalità, personalità: ecco ciò che è veramente difficile e arduo.
Nella letteratura, ad esempio, il conformismo diventa calcolo: quante battute ha un libro? Quali finali hanno riscosso più successo? Quale combinazione, marito/moglie/amante, nel dramma borghese riesce a innescare l’interesse? Insomma, calcoli che rendono un prodotto culturale, anche se originale, vendibile.
La tendenza della società industriale a evitare catastrofi commerciali, attraverso la standardizzazione del gusto e delle abitudini, diventa essa stessa conformismo. Ma, anche in questi casi, si può sostenere che è un adagiarsi nel già esistente. Disciplina, forse, ma non quella che serve per costruire libertà.
La disciplina è anche uno studio del passato, in quanto il passato è elemento del presente e del futuro, ma non elemento “ozioso”, ma necessario, in quanto è linguaggio, cioè elemento di “uniformità”/ necessaria, non di uniformità oziosa, impigrita.
Oltre cento anni fa, Gramsci già intravedeva una società dove, in un marasma omologante, forme di bizzarria comunicativa avrebbero assunto i lineamenti di spontaneità e originalità. Un po’ come i jeans strappati che, sebbene indossati da miliardi di individui, ci fanno sentire unici, anticonformisti. Fenomeni di massa come il tatuaggio che, pur marchiando il corpo di quasi tutti gli italiani, rendono ognuno di noi convinto della propria originalità.
Essere utili, secondo Gramsci, significa trovare i fili che ci legano agli altri, restando autentici, ma non schiacciati da forme ottuse di individualismo. Lo stesso termine idiota, nel senso di idiosincrasia (originalità in questo caso è uguale a idiotismo), rischia di travolgere i nostri giovani in una vana ricerca di se stessi. Un calvario nel quale tentando di sfuggire alla massa, ma senza averne strumenti culturali, si finisce per diventare inconsapevolmente parte integrante: pecore da macello. Cercare invece la propria specificità, ma all’interno di valori etici e politici, spinge l’individuo a una reale lotta dialettica contro ogni forma di omologazione. È, però, un terreno ispido, senza facili scorciatoie, in cui ogni gesto o parola va inserita in un quadro d’insieme e insieme agli altri.
Il divismo, il narcisismo dilagante, nel quale più o meno tutti veniamo travolti, è la fuga nevrotica dalla fatica di riuscire a condividere cammini comuni. Ed è così che la finzione della società del post riesce a farci sentire originali pur facendo le stesse cose degli altri, proprio perché ognuno di noi le fa in solitaria, per conto proprio. Ed è in questa solitudine che diventiamo tutti idioti. Una spontaneità condivisa, invece, ha bisogno di codici comuni, di lingua comune e, difficile da digerire, di disciplina.
Questa stessa microscopica rubrica ha una disciplina: cadenza settimanale, lunghezza, stile. Ma, in un certo senso, diventa reale non tanto quando si sviluppa nel mio cervellino, ma quando entra in rapporto con la dolcissima Flavia che la corregge e mette in pagina e con il coraggioso Alessandro che la pubblica sul suo giornale online. Tutti questi passaggi, fino ai pochi lettori che la leggono, hanno una disciplina. Eppure, è proprio grazie a questa che esiste. Così ogni originalità non deve essere uno strumento per fare colpo sugli altri, per mettersi sopra gli altri o sotto la luce di un riflettore, ma un modo per essere di stimolo agli altri. Utile.
La spontaneità non è quindi dare corpo al solo istinto, ma ascoltarlo, coccolarlo, saperlo domare per tirare fuori da noi stessi forze positive. Altrimenti è rutto libero, un po’ come nei trenini di bunga-bunga.
Contributo a cura di Luca Musella