Il 18 luglio 1918, a quasi un secolo da oggi, in una tribù del Sudafrica, nasceva Nelson Mandela. Il suo vero nome era Rolihlahla – che, ironia della sorte, letteralmente significa attaccabrighe –, il suo nomignolo, invece, Madiba. Primo membro della famiglia ad andare a scuola, in un collegio coloniale britannico, fu lì che un’insegnante gli attribuì il nome Nelson. Dopo aver conseguito la laurea in legge, nel 1944 divenne membro dell’ANC (African National Congress) per divenire un vero e proprio leader della lotta contro l’apartheid, il regime politico di segregazione razziale allora vigente.
Quella di Madiba fu una dura battaglia contro il razzismo, così come contro la povertà, la schiavitù e l’analfabetismo. Soltanto studiando e arricchendo se stessi in termini di conoscenze e capacità, l’uomo può affrancarsi dalle sue umili origini e dare una possibilità alla persona che sente di poter essere. L’istruzione, dichiarava Mandela, è il grande motore dello sviluppo personale. È grazie all’istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o un bambino nato in una famiglia povera il presidente di una grande nazione. Non ciò che ci viene dato, ma la capacità di valorizzare al meglio ciò che abbiamo è ciò che distingue una persona dall’altra.
Nella sua complessa causa anti-apartheid, nel 1960 l’ANC subì un duro colpo quando il regime razzista di Pretoria eliminò fisicamente sessantanove dei suoi militanti disarmati e interdisse l’associazione. Così, Mandela realizzò che era necessario passare alle armi per poter difendere i propri diritti e avere qualche possibilità concreta di mettere fine alla repressione. Tre anni dopo, però, fu tristemente condannato all’ergastolo con l’accusa di azioni militari contro il regime. Il suo discorso in tribunale resta uno dei più alti esempi del suo grande e coraggioso impegno.
Sono pronto a pagare la pena anche se so quanto triste e disperata sia la situazione per un africano in un carcere di questo paese. Sono stato in queste prigioni e so quanto forte sia la discriminazione, anche dietro le mura di una prigione, contro gli africani… In ogni caso queste considerazioni non distoglieranno me né altri come me dal sentiero che ho intrapreso. Per gli uomini, la libertà nella propria terra è l’apice delle proprie aspirazioni. Niente può distogliere loro da questa meta. Più potente della paura per l’inumana vita della prigione è la rabbia per le terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni, in questo paese… non ho dubbi che i posteri si pronunceranno per la mia innocenza e che i criminali che dovrebbero essere portati di fronte a questa corte sono i membri del governo. Ho nutrito l’ideale di una società libera e democratica, in cui tutte le persone vivono insieme in armonia… Questo è un ideale per cui vivo e che spero di realizzare. Ma se è necessario, è un’ideale per il quale sono pronto a morire.
Nelson aveva ragione quando affermava che i posteri avrebbero riconosciuto la sua innocenza, perché mentre a lui veniva negata la tanto agognata libertà dietro le sbarre, la sua immagine faceva il giro del mondo e lo rendeva simbolo della ribellione a un governo per cui era legittimo che agli uomini di colore venisse portato via tutto, anche la vita.
Mentre i principi strenuamente difesi da Madiba e da tutti i suoi compagni acquistavano una voce di portata internazionale, il regime segregazionista perdeva terreno e si vedeva costretto a liberare Nelson Mandela. La scarcerazione avvenne nel 1990, quasi venti anni dopo, e l’uomo simbolo del Sudafrica fu eletto presidente dell’ANC ricevendo, nel 1993, il Premio Nobel per la Pace. Nel 1994 divenne il primo Presidente nero della Repubblica del Sudafrica.
A quattro anni dalla sua morte, la grintosa personalità di Mandela e la sua fede in principi che oggi le persone con il senso dell’umanità e della civiltà ritengono valori comuni ma che allora costituivano un’utopia, ancora fanno di lui un esempio che, forse, viene troppo spesso dimenticato. Le minoranze sfruttate, bombardate, spinte a un’esistenza crudele, la cui sola consolazione è l’imminenza della morte, continuano a essere strumenti di interesse politico ed economico. Che valore ha la vita per chi le costringe alla sofferenza e, infine, alla morte? Che valore ha la vita per chi grida chiudiamo le frontiere e aiutiamoli in casa loro? È così spregevole l’idea di mescolarci con il diverso?
Nessuno è nato odiando qualcun altro per il colore della pelle, o il suo ambiente sociale, o la sua religione. Le persone odiano perché hanno imparato a odiare, e se possono imparare a odiare possono anche imparare ad amare, perché l’amore arriva in modo più naturale nel cuore umano che il suo opposto. Ecco cosa disse – e probabilmente ribadirebbe oggi – Nelson Mandela. È inevitabile chiedersi cosa penserebbe vedendoci distruggere e confinare ancora chi non ha il colore della nostra pelle.