In questi ultimi giorni si è parlato tanto delle polemiche a seguito di alcuni manifesti pubblicitari, affissi in diverse città al fine di promuovere la terza attesissima stagione della serie Netflix Sex Education. I soggetti mostrati – un’arancia, una banana, un’ostrica – alludevano a organi sessuali e qualcuno li ha ritenuti troppo espliciti, oltre la decenza. I cittadini di Milano si sono indignati a tal punto da chiederne la rimozione, spalleggiati persino da Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.
Ma cos’è Sex Education? È il caso di parlarne. Perché? Perché per qualche ignoto motivo non ne abbiamo parlato finora, perché chi pensa di trovarsi di fronte al classico teen drama non potrebbe essere più in errore. E perché è semplicemente imperdibile.
Creata nel 2019 da Laurie Nunn e diretta da Ben Taylor e Kate Herron, la serie è diventata un vero e proprio fenomeno mediatico, ambientata nell’immaginaria scuola britannica Moordale. Con l’uscita, questo settembre, della terza stagione, si conferma tra i prodotti seriali più visti degli ultimi anni, attirando non solo un pubblico giovanile – a cui è chiaramente indirizzata – ma anche una notevole fetta di adulti.
Le vicende ruotano attorno a Otis, sedicenne la cui madre divorziata è una sessuologa. A scuola, fa la conoscenza di Maeve, ragazza all’apparenza scontrosa che lo mette di fronte a una verità indiscutibile: gli adolescenti sono pieni di problemi sessuali ma non conoscono nulla dell’argomento. È così che, sfruttando le nozioni indirettamente assimilate da Otis grazie all’ascolto delle terapie di sua madre, i ragazzi metteranno su quella che diverrà poi nota come la clinica del sesso.
Sex Education si traveste da tipico teen drama dai toni pastello e spesso comedy, con focus su più storyline destinate spesso a intrecciarsi. Tuttavia, utilizza tutto ciò come pretesto per affrontare temi decisamente più complessi e delicati e lo fa in maniera brillante, innovativa, leggera eppure mai banale, ma soprattutto senza sminuire. Tema centrale, come si evince dal titolo, è il sesso, i primi approcci e le problematiche che ne conseguono. La sessualità è qui trattata come quasi nessuno fa, in modo assolutamente genuino, fresco, esplicito e senza filtri, proprio come il sesso dovrebbe essere. Si rivolge agli adolescenti ma parla a tutti poiché chiunque, almeno una volta nella vita, ha avuto problemi sessuali e relazionali, adulti compresi, che senz’altro guarderanno lo show con una consapevolezza e un atteggiamento diversi, specialmente se genitori.
Nella maggior parte dei prodotti di intrattenimento, il sesso non è mai rappresentato realisticamente. Risulta istantaneo, pulito, all’apparenza perfetto. Niente di più lontano dalla vita vera. Sembra quasi che oggigiorno il sesso sia sdoganato e privo di tabù, se ne parla ovunque e continuamente, per certi versi anche troppo. Ma la verità è che nel momento in cui c’è da parlarne sul serio le cose si complicano, riaffiorano i preconcetti, subentra il panico, diventa qualcosa di sbagliato, qualcosa da temere, da sussurrare, di cui vergognarsi. Sex Education distrugge quel muro di ipocrisia e puritanesimo e, sulla base di questo macro-tema, analizza con sensibilità, lucidità e talvolta anche sapiente ironia, argomenti che spaziano dall’omofobia alle molestie, al revenge porn, alla droga, al concetto di verginità – estremamente sopravvalutato –, all’importanza dell’autoerotismo, al giudizio sociale, allo slut-shaming, alla disabilità – un personaggio è sì tetraplegico ma anche oggetto d’interesse sessuale e caratterizzato da atteggiamenti non sempre positivi. Senza contare l’attenzione a orientamenti sessuali solitamente ignorati, come bisessualità, asessualità o pansessualità.
Otis (Asa Butterfield) è il nostro protagonista un po’ sfigato, che conosce bene la teoria ma ha un rapporto piuttosto complicato con la propria sessualità. Al suo fianco c’è Meave (Emma Mackey), intelligente, ribelle, dal look aggressivo e una fragilità di fondo a causa di una famiglia che l’ha abbandonata. Terzo protagonista è Eric (Ncuti Gatwa), miglior amico di Otis, fiero omosessuale, dal temperamento gioioso e una profonda spiritualità.
Se c’è una cosa che emerge in Sex Education, e che è anche uno dei suoi maggiori punti di forza, è il partire usando stilemi tipici di questo genere di serie TV per poi decostruire abilmente il tutto. Ciò avviene in particolare con i personaggi, estremamente umani e quindi imperfetti, a volte splendidi e a volte egoisti, stupidi. Adam (Connor Swindells), ad esempio, è il classico bulletto eppure non gode di popolarità a scuola se non per essere particolarmente dotato, cosa che invece di gratificarlo lo mette in soggezione e sotto stress, rendendolo incapace di godersi i rapporti. La sua evoluzione è una delle più emozionanti dell’intera serie. O, ancora, Jackson (Kedar Williams-Stirling), lo sportivo bello e apprezzato, molto sensibile, in cerca di una relazione seria anziché un’avventura, vittima della pressione psicologica delle sue due madri. Ed ecco che la famiglia arcobaleno c’è ma è piena di problemi, esattamente come qualsiasi altra famiglia. È questa la forza della serie: non aver paura di mostrare la normalità, nelle sue molteplici sfaccettature.
Menzione onorevole a Jean, la madre di Otis, interpretata da un’iconica Gillian Anderson. Ricordata come Dana Scully di X-Files, l’abbiamo recentemente vista dare il volto a Margaret Thatcher nella quarta stagione della serie The Crown (che le è valso un Emmy e un Golden Globe). Qui veste i panni di una sessuologa eccentrica e indipendente, a tratti cinica e amante del sesso occasionale con uomini anche più giovani di lei. Forse, però, la sua ossessione del controllo non è altro che un’arma per evitare di scottarsi ancora.
Se con ironia si affrontano piccoli imprevisti sessuali, sottolineando l’importanza di parlare dei propri problemi, la serie sa bene anche quando fare sul serio. Tra i vari episodi, quello sull’aborto resta nel cuore. Un tema ancora parecchio controverso, trattato con infinita delicatezza e verità. Nessuna clinica infernale ma un contesto premuroso, dove le donne, di varia età e di cui non conosciamo le storie, si tengono per mano sostenendosi a vicenda, in un momento di estrema solidarietà femminile.
Solidarietà mostrata anche per un’altra rilevante questione: le molestie sessuali. Quando un personaggio viene molestato sull’autobus reagisce minimizzando, tanto da far credere persino allo spettatore che l’accaduto non sia stato così traumatico per lei. Ciononostante, non riuscirà più a salire sugli autobus. Questo è un esempio eclatante di come la società ci porti spesso a credere che, a meno che non si tratti di stupro, sia inutile alzare polveroni poiché ci sono problemi ben più gravi.
Con la terza stagione sono aumentate le storyline, forse troppe per soli otto episodi, e abbiamo assistito a nuove interessanti introduzioni. Come Cal (Dua Saleh), personaggio non binario, o la nuova preside Hope (Jemima Kirke), giovane e pimpante eppure terribilmente bigotta. Dobbiamo ammettere che, di tutte le stagioni, è forse la più calante, dal tono troppo superficiale e comedy, sfociante quasi nel trash. Nel complesso è comunque promossa, meritevole di aver affrontato, anche se non sempre al meglio, tematiche quali identità di genere, amore fluido, discriminazione delle persone queer da parte della società, gli stereotipi dei ruoli nelle coppie omosessuali – il classico quanto obsoleto chi fa l’uomo e chi la donna?.
Sia chiaro, una serie TV non può sostituire in alcun modo un professionista, però è un punto di partenza per approfondire. Per rendersi conto che l’educazione sessuale nei confronti degli adolescenti, ancora oggi, è sbagliatissima, per non dire inesistente. «L’educazione sessuale deve essere in capo alla famiglia» ha detto Barbara Mezzali, esponente di Fratelli d’Italia. Diamo quindi alla Mezzali un caloroso benvenuto sul pianeta Terra, anno 2021, dove gli adulti preferiscono tacere per pudore o ignoranza, dove la scuola, luogo di formazione non solo dello studente ma anche della persona, si limita a un po’ di sensibilizzazione sulle malattie veneree e i metodi contraccettivi. Senza rendersi conto che dire di non farlo o far finta di niente produrrà solo giovani che lo faranno ugualmente e senza alcuna consapevolezza. Giovani in un periodo di sperimentazione e scoperta di se stessi, che dovrebbe portare alla formazione di un’identità adulta equilibrata e conscia.
Per cui, anche se in piccolo e con qualche inevitabile cliché, ringraziamo Sex Education che ci ricorda che il sesso non ha nulla di sbagliato se vissuto in modo trasparente, responsabile e nel rispetto delle libertà altrui. Che non bisogna sentirsi difettosi solo perché diversi. Che non bisogna credere di conoscere tutto di se stessi e che gli altri non sono quasi mai quello che sembrano. Che esistono tanti tipi di femminilità e mascolinità differenti. Che gli uomini non sono lì sempre vogliosi e pronti come automi e le donne non devono aver timore di manifestare il proprio desiderio sessuale quando e come vogliono. Che è fondamentale, in società, non solo tollerare ma mostrare modelli differenti di individui differenti, al fine di permettere a tutti di potersi riconoscere.
E ora correte a vedere Sex Education.