I lavoratori dell’Emergenza e Urgenza sono stati costretti a fronteggiare la peggior crisi della sanità pubblica italiana dall’inizio della sua storia. La crisi del SSN si riflette, infatti, anche in questo settore e il gravoso fenomeno sembra essere sempre troppo sottovalutato nelle agende politiche.
Abbiamo visto iniziare questa settimana, lunedì 14 novembre, con un’enorme manifestazione popolare per la difesa della sanità pubblica da parte degli abitanti di Madrid, scesi in piazza per rivendicare il diritto ai servizi sanitari di base. Il Regno Unito si sta preparando a uno sciopero epocale degli infermieri che pretendono adeguamento salariale all’inflazione record. Il malcontento è tangibile in ogni parte del globo, anche in Italia, specialmente da parte di tutti i professionisti che hanno retto sulle proprie spalle il peso di anni di tagli e quello di una pandemia che ha piegato l’umanità intera.
Il 17 novembre, SIMEU è scesa in piazza, davanti al Ministero della Salute, per la salvaguardia di un SSN che sta andando in una direzione sempre più lontana rispetto ai tre principi fondamentali sui quali si basa: universalità, uguaglianza ed equità. Questo, al di fuori di qualsiasi bandiera politica, partitica e/o sindacale. Una scelta forte e coraggiosa, quella della Società Italiana di Emergenza e Urgenza e del suo Presidente Fabio De Iaco, di attuare un gesto concreto di protesta di fronte ai perpetrati danni nei confronti dei lavoratori dell’Emergenza e Urgenza. Lavoratori usurati e stremati. Lavoratori che non riescono a erogare, molte volte, prestazioni sanitarie della qualità che vorrebbero perché oberati da carichi individuali che crescono incessantemente mentre il cosiddetto capitale umano continua a diminuire.
Quella dei medici e degli infermieri è una lenta resistenza contro il declino. Ma perché la crisi del settore dell’Emergenza e Urgenza è un problema di tutta la collettività? Nei pronto soccorso italiani la mortalità è aumentata del 100% negli ultimi dieci anni, dato rilevato sempre dalle stime SIMEU. Mancano cinquemila medici e dodicimila infermieri, nonostante quelli integrati di recente.
Quante volte leggiamo brutte pagine di cronaca con storie di pazienti che hanno dovuto aspettare ore e ore sulle barelle di un pronto soccorso? Storie di disagio sia per l’utenza che per gli operatori stessi. Operatori sottoposti ad altissima pressione che, spesso e volentieri, riescono a stento a garantire i servizi sobbarcandosi delle inefficienze e diventando i bersagli del malcontento. Operatori che subiscono aggressioni e abbandonano il settore per riversarsi verso aree meno usuranti e più remunerative. Per far sì che questa realtà non diventi sempre più tangibile e queste storie più frequenti, il lavoro nell’ambito dell’Emergenza e Urgenza dovrebbe ricevere una valorizzazione contrattuale proporzionale all’usura che esso comporta.
Il Dottor Fabio De Iaco scriveva, prima del 25 settembre, una lettera aperta per smuovere azioni e coscienze verso le problematiche sanitarie del settore dell’Emergenza. Caro candidato, per capire passi un giorno in pronto soccorso. Tuttavia, a oggi, nessuno di quei candidati ha ancora compiuto un vero e proprio viaggio metaforico nelle nostre corsie.
Non è più il momento di elemosinare un’empatia che non arriva, ma di passare ai fatti. Con questo spirito SIMEU è scesa in piazza. Il Ministro della Salute Orazio Schillaci, insieme al capo della Segreteria Tecnica Marco Mattei, ha ricevuto la delegazione SIMEU riconoscendone il ruolo di rappresentanza dell’Emergenza e Urgenza e dichiarandosi disponibile per future condivisioni. Queste le parole scritte in un post dal Presidente De Iaco che ringrazia medici, infermieri, cittadini, associazioni e specializzandi che hanno contribuito a far sentire la voce dell’Emergenza e Urgenza con il loro supporto. La certezza è che la medicina d’urgenza salva le persone. L’augurio è quello di restare uniti.
Seguirà l’intervista al Dott. De Iaco che ha risposto ad alcune mie domande.
Quale pensa sia stato, in particolare, l’atteggiamento protrattosi nel tempo che ha portato a questa crisi epocale del settore dell’Emergenza e Urgenza?
«La crisi epocale è dovuta a una serie di fattori che partono da lontano. C’è un atteggiamento, a monte, di una certa non curanza e poca considerazione di quello che è il ruolo della medicina dell’Emergenza e Urgenza in Italia, verosimilmente legato anche al fatto che la specializzazione è relativamente giovane perché risale solo al 2009. Oltre a questo si è inserito un problema ambientale che, a mio avviso, è il più importante. Il lavoro in Emergenza e Urgenza, per quanto splendido, è diventato un lavoro assolutamente ingrato. Dico spesso che “non è un buon affare” per chi vuole legarsi per la vita a un’attività. Per quanto sia, probabilmente, uno dei lavori più belli, appaganti e completi, sia per un medico che per un infermiere, in realtà comporta una “scelta che viene pagata negli anni”».
Sappiamo bene che le cronicità, mal gestite sul territorio, rischiano di sovraccaricare il settore. Cito le Sue parole: […] la grave situazione dei pronto soccorso e dei servizi dell’Emergenza e Urgenza è la manifestazione più eclatante e drammatica della crisi del SSN. I cittadini, non trovando nel territorio risposte adeguate ai loro bisogni di salute, individuano il PS come unica porta di accesso alla diagnosi e alla cura. È la conseguenza di politiche miopi che hanno reso, negli anni, gli ospedali l’unico avamposto dei servizi pubblici, desertificando il territorio, depotenziando la prevenzione e trascurando in modo colpevole i fabbisogni formativi e di personale. Nulla di più vero. Da che cosa partirebbe per riformare? Pensa, in tal senso, che le misure attuate per potenziare il territorio siano sufficienti? Per la tutela della sanità pubblica si stanno facendo scelte sufficientemente audaci?
«La prima constatazione è quella che abbiamo già fatto tante volte: il pronto soccorso continua a essere il sistema di compensazione di tutti gli errori e di tutte le mancanze che ci sono in questo SSN. La gestione delle cronicità è, verosimilmente, l’aspetto più difficile da risolvere e che pesa in assoluto di più. Riformare il territorio è un’esigenza assoluta ma è sbagliato legare questa esigenza a quella di diminuire il carico sul pronto soccorso. Se questo è lo scopo, esso è destinato miseramente a fallire. Non mi aspetto che un potenziamento del territorio domani produca una diminuzione della pressione sul pronto soccorso dopodomani. Abbiamo bisogno di una visione più ampia. Un effetto positivo di un importante intervento sul territorio potrebbe essere visto soltanto dopo anni, non basta progettare “a tavolino” qualche cosa, ma è necessario fare in maniera che quel cittadino che vogliamo educare ad accedere in maniera migliore ai servizi dell’Emergenza e Urgenza riceva delle alternative concrete rispetto al pronto soccorso.
Per quanto riguarda le scelte che vengono fatte in questo periodo sul territorio, il PNRR, lo sappiamo tutti, è un bel piano edilizio, probabilmente anche necessario. Ma, per sua natura, non può intervenire su elementi di spesa che facciano poi capo alla spesa corrente, quindi non può intervenire sul personale e sulla progettualità che riguarda proprio una popolazione che nella struttura del PNRR futuro dovrà entrare nelle case di comunità. Sì, c’è necessità di scelte audaci ma più che altro di scelte condivise da tutto il sistema. Continuiamo ad assistere a fenomeni per i quali il territorio viene riformato da chi si occupa di territorio, ma in realtà il territorio è interconnesso con l’ospedale. Non si può pensare che il tavolo al quale si preparano le riforme non sia condiviso tra tutti».
Definisce le aggressioni nei nostri PS il segnale di una conflittualità fra cittadini e operatori altamente favorita, sintomo di un concreto rischio di scollamento sociale sollecitato dalle campagne mediatiche di delegittimazione dei lavoratori pubblici. Come arginerebbe il fenomeno? Pensa si debba partire da una rivoluzione culturale?
«Le aggressioni sono il frutto di una serie di fattori. Una gran parte di esse è il risultato di ignoranza e, qualche volta, di delinquenza proprie dell’agire umano. Certamente la conflittualità può essere diminuita in maniera importante soltanto attraverso l’introduzione di elementi che portano serenità al sistema. E la serenità nel sistema ci entra nel momento in cui siamo tutti, in qualche modo, più efficienti. È evidente che se le criticità si concentrano in un unico recipiente, che è quello del pronto soccorso, il clima tende a degenerare e la temperatura a salire all’inverosimile. Sì, la rivoluzione culturale è necessaria ma, ancora una volta, penso sia possibile soltanto se le alternative concrete vengono rese realmente disponibili per il cittadino. Quando il parente di un anziano da tre giorni in barella protesta con me, che in quel momento sono la faccia del SSN, sicuramente sbaglia i toni e se trascende commette un errore che lo rende penalmente perseguibile ma, in qualche maniera, la motivazione va indagata. Questo non per giustificare il singolo, ma per renderci conto di che cosa stiamo offrendo all’intero sistema».
Capitale umano. Quanto, secondo Lei, è importante la valorizzazione del professionista all’interno di un’azienda? Perché, in moltissime realtà, non avviene?
«Concordo sul fatto che la valorizzazione debba partire proprio dal capitale umano. Il riconoscimento per i professionisti medici e infermieri non sarà semplice date le difficoltà oggettive dal punto di vista economico. Penso, ancora una volta, che non sia esclusivamente una questione di fondi perché moltissimo in questo campo riguarda la qualità di vita, la dignità professionale e la possibilità della progressione di carriera. In merito al perché in moltissime realtà la valorizzazione non avvenga è un problema probabilmente culturale. Nelle nostre aziende sanitarie l’attenzione al singolo professionista credo sia uno degli elementi meno praticati».