Si chiamava Vincenzo. Era questo il nome del ragazzo che è stato barbaramente ucciso dalla furia omicida di un trentacinquenne, nel casertano. È questo il nome che dobbiamo dire, ricordare e ripetere. Il movente alla base del delitto pare sia stata la gelosia dell’assassino per l’amicizia del giovane con la sua ex, ma ciò che rende ancora più orrendo e perturbante l’omicidio sono le dinamiche efferatissime attraverso le quali lo stesso è stato perpetrato, oltre che i mezzi terribili usati per il successivo occultamento del cadavere.
Allo sconcerto per un gesto tanto crudele, però, in questi giorni si sta aggiungendo la rabbia per il modo con il quale è stato affrontato il caso dalla stampa italiana. Il suo nome era Vincenzo, eppure i titoli dei giornali si sono concentrati solo ed esclusivamente sul suo orientamento sessuale o anche sul genere delle ragazza coinvolta, una donna transessuale.
Delitto a sfondo gay, Omicidio gay, Gay ucciso, Morto un gay, Lui, l’altro e la trans: questi sono stati i vergognosi titoli, anche dei quotidiani più autorevoli, persino di quelli dai quali non ce lo si sarebbe mai aspettato. Perché, si sa, da alcuni ormai siamo abituati a tutto.
Ma a cosa è dovuto questo accanimento quasi morboso sulla sessualità della vittima? Mi si faccia capire, fosse stato ammazzato un eterosessuale avremmo letto titoli del tipo: Omicidio etero? Probabilmente, alla base di queste impostazioni comunicative, miranti a marciare sullo scandalo, sussiste ancora quel substrato di sotto-cultura che porta semplicemente il nome di omofobia. Parlare di omosessuali, trattare in prima pagina di vicende spiacevoli che li vedono protagonisti, nel Paese dei Family Day, delle processioni e delle messe riparatrici dopo i Pride, dei baci censurati in tv mentre i fondoschiena delle veline vengono sbattuti in faccia a chiunque, dei B&B che rifiutano coppie same sex alla stregua degli animali, genera ancora quel clamore che, di per sé, si rivela un’occasione per chi vuole campare sui casi mediatici. Evocare i torbidi ambienti gay, come se gli anni Sessanta non fossero mai finiti, continua a provocare quello scalpore che si profila, squallidamente, una ghiotta opportunità per il giornalismo spicciolo che vuole lucrare sulle tragedie. Si potrebbe parlare, in un certo modo, di necrofilia omofoba.
Omofobia e violenza di genere, dunque. Sono questi i soliti due aspetti, in rapporto di vicendevole connessione, da poter usare per provare a spiegarci quanto accaduto, tanto nella spietata realtà quanto nella sballata narrazione che se ne è fatta della stessa. Vincenzo, senza giri di parole, è stato ucciso dalle malate logiche del possesso di un maschio, incapace di accettare la libertà della sua donna e soffocato da una gelosia perversa che non può e non deve, nella maniera più assoluta, essere mai confusa con l’amore. Il giovane è stato ammazzato da quella stessa macchina dell’orrore che ogni anno stronca le vite di centinaia di donne, come rivelano i dati sul femminicidio. E, in aggiunta, è stato offeso nella memoria da quelli che sono i soliti pregiudizi, dal chiacchiericcio, dal ridicolo provincialismo retrivo che intasa e ottunde le teste di tanta gente, di troppi italiani.
Ebbene, noi vorremmo poterti chiedere scusa, caro ragazzo. Proprio a te, che avevi scelto la via dell’attivismo per il supporto alla comunità LGBT, noi dovremmo doppiamente delle scuse. Perdonaci se la nostra società, in vita, ti ha giudicato e fatto sentire non accettato, tanto da indurti a lasciare casa e, coraggiosamente, ad abbracciare la lotta per i diritti e la dignità di tutti. Ma, ancor di più, scusaci per la nostra mancanza di rispetto, persino dinanzi alla tua morte. Vorremmo poterti dire, poi, che la tua esistenza non è stata vana, che, anzi, hai lasciato nelle mani di tutti coloro che credono nell’uguaglianza e nella libertà – e non siamo pochi – il testimone della tua battaglia. Qui c’è chi vorrà ricordati, prima di tutto e semplicemente, come un giovane poco più che ventenne, che aveva scelto come modus vivendi la libertà, da insegnare e trasmettere anche agli altri, a quanti faticano ancora a venir fuori dalle catene del moralismo. La libertà, bella come il tuo volto vivace, quella che, però, troppo spesso si vede costretta a doversi scontrare con la malvagità del mondo.