Io restavo ancorato alle vele, / son rimasto un cane randagio: / quando c’hai un padrone infedele/ tu trovi la fede nel contagio. – Emanuele Cerullo, Il ventre di Scampia
Scampia, periferia Nord di Napoli. Sì, quella dei film. Sì, quella delle Vele. Proprio lì, alle ore 22:30 del 22 luglio, è crollato un ballatoio della Vela Celeste, edificio di case popolari. Due persone sono morte. Altre tredici, di cui sette bambini fra i 2 e gli 8 anni, sono ricoverate in diversi ospedali della città.
Quanto vale una vita umana? Un minuto di silenzio? Due, tre? Quante parole al vento? Quante passerelle di circostanza? Due persone sono morte. In case di proprietà del Comune. In case di proprietà dello Stato. Ci si può dire sorpresi di questa tragedia? Decisamente no.
Sono anni, decenni, che le Vele di Scampia versano in condizioni incompatibili con una vita dignitosa. Originariamente progettate dall’architetto Di Salvo, sono state realizzate fra il 1962 e il 1975 con l’intenzione di ricreare i vicoli di Napoli, con molti spazi comuni per consentire scambi e interazioni fra gli abitanti. Per il fortissimo degrado in cui versavano, fra il 1997 e il 2003, sono stati abbattuti i primi tre edifici dei sette costruiti.
Il 29 agosto del 2016, il Comune di Napoli ha approvato la delibera per il piano di rilancio di Scampia che prevede l’abbattimento di tre delle quattro Vele rimaste e lavori di riqualificazione e ristrutturazione per la Vela Celeste. Lavori cominciati ad aprile 2024 e per i quali sono stati stanziati 18 milioni di euro. Tre mesi dopo, ieri, la tragedia.
Come si può permettere a circa 800 persone di restare per anni in case visibilmente e notevolmente fatiscenti, tra l’altro mentre ci sono lavori di ristrutturazione in corso? Sono case in cui è prassi allagarsi quando piove, vivere fra fluidi melmosi perché le tubature dei bagni sono totalmente da rifare, ritrovarsi spesso senza elettricità. Così vivono 800 persone nella Vela Celeste di Scampia. Da decenni.
A che servono i rilievi dopo il crollo? Non avrebbero dovuto farli prima per garantire la sicurezza degli abitanti? O forse la sicurezza degli abitanti non è mai stato l’obiettivo?
Forse era più comodo parlare di riqualificazione per fare notizia, senza costruire le minime basi per una ricostruzione effettiva. Girarsi dall’altra parte, correre a Scampia quando ci scappa il morto per cause “accidentali” o per vicende legate alla malavita è il modus operandi che le istituzioni portano avanti da sempre.
«È il momento del dolore» ha dichiarato il Sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. Ma il momento del dolore non è solo oggi: era anche ieri, era dieci anni fa. Era ancora prima.
Il momento del dolore è tutti i giorni se delle case popolari, e quindi sotto la responsabilità e tutela del Comune, si allagano di continuo, sono sporche, prive di norme igieniche e spesso al buio. Il momento del dolore avrebbe dovuto essere anche tre mesi fa, quando sono cominciati i lavori senza fornire agli abitanti un’alternativa possibile con conseguenze prevedibilissime. Ma tutta la classe politica era troppo impegnata a progettare l’inasprimento delle pene per minori e adulti che commettono reati.
La Presidente del Parlamento Europeo Roberta Metzola ha osato esprimere vicinanza alle vittime e alle loro famiglie. “Siamo con voi” avrebbe detto. Se non ci fosse da piangere, quasi verrebbe da ridere. Chi è con Scampia? Decisamente non la politica. È con Scampia chi silenziosamente e quotidianamente resiste e non distoglie lo sguardo dalle potenzialità di Scampia stessa. Per tutti gli altri Scampia è solo un problema, un fastidio, una scocciatura da risolvere prima possibile per non doversene fare più carico.
Questa prevedibile tragedia ha strappato alla vita due ragazzi. Altre persone sono in pericolo. La verità è che siamo dinanzi a un amaro, indigeribile omicidio di Stato per cui, probabilmente, non ci saranno colpevoli a pagare. Ci sarebbe da riflettere, da chiedere scusa. Nessuno finora lo ha fatto. Invece si esprime una vicinanza ipocrita che fa solo rabbia.
A Scampia si ruba, a Scampia si spaccia, a Scampia si uccide. E lo Stato, lo Stato ha fame o è talmente sazio da non rivolgere nemmeno uno sguardo a chi di fame potrebbe morire?
C’è solo dolore, c’è solo rabbia, c’è solo ingiustizia per una periferia, per un edificio, che di vela ha posseduto solo la forma, perché nessuno ha mai avuto la possibilità di navigare davvero nel mare di una vita che non fosse di stenti. Ai suoi abitanti è toccato provare ad arrangiarsi, a difendersi, a resistere.
Nessuno si è mai impegnato affinché il vento sfavorevole cambiasse direzione, nessuno lo sta facendo nemmeno ora. Resta solo un mare impietoso che inghiotte. Restano delle vite stroncate dalle proprie stesse case. È doloroso, inaccettabile, assurdo, inammissibile. È vero.
Non basta pensare, scrivere, dire, augurarsi che non capiti più. Se non cambiano le priorità potrebbe accadere anche di peggio. Non basta provare a lavarsi la coscienza, quando un grido inascoltato si esprime nella sua più totalizzante disperazione.
Non è il coraggio la mano che rompe il ghiaccio: / perché il freddo è solamente mancanza di calore/ e il male è solo mancanza di bene,/ l’odio è solo mancanza d’amore. – Emanuele Cerullo, Il ventre di Scampia