L’abbiamo studiata tutti o, se non altro, avremmo dovuto. Chiunque abbia sfogliato un libro di storia dell’arte nel corso della sua carriera scolastica – e non solo – sicuramente se l’è trovata davanti almeno una volta. Stiamo parlando della Basilica di Sant’Apollinare in Classe. La chiesa, infatti, è stata definita il più grande esempio di basilica paleocristiana. Situata a pochi chilometri dal centro di Ravenna, nella frazione di Classe – antico porto in epoca romana e, soprattutto, bizantina, quando divenne la sede principale della flotta di Costantinopoli qui in Occidente – essa fu costruita nel VI secolo per opera di Giuliano Argentario su commissione dell’arcivescovo di Ursicino, e inserita dall’UNESCO nella lista dei siti italiani Patrimonio dell’Umanità già nel 1996. Noi non facciamo fatica a capirne il perché.
È, difatti, uno di quei luoghi senza tempo che tolgono il fiato. Locata in un’incantevole cornice verde, dedicata a Sant’Apollinare, primo vescovo di Ravenna, e consacrata nel 549 dall’arcivescovo Massimiano, la basilica sorprende piacevolmente già dall’esterno. Infatti, nonostante numerosi rilievi abbiano evidenziato l’antica presenza di un quadriportico, purtroppo andato perduto, essa conserva tutt’oggi la sua incredibile bellezza originaria.
Di fatto, a cominciare dalla facciata, l’edificio esprime la sua massima semplicità ed eleganza che ben si sposano con l’ambiente circostante. L’ospite, dinanzi al complesso realizzato in mattoni – comprendente anche il campanile risalente al X secolo – è sin da subito colto da una splendida sensazione di serenità e da un’irrefrenabile voglia di proseguire la visita. Voglia che l’interno della basilica non smentisce, bensì rafforza.
Entrando, infatti, la luce che invade ogni angolo del luogo sacro farà venire al visitatore un desiderio incontrollato e incontrollabile di dire alla persona che l’accompagna quanto la ama. Quel bagliore sarà la smania di vivere che la fede – intesa come manifestazione di amore più pura – può e deve infondere all’uomo. Sarà gioia vera.
Ma Sant’Apollinare non è solo questo. È anche e soprattutto un meraviglioso sito d’arte come dimostrano le colonne marmoree che dividono la navata centrale dalle due laterali e, ancor di più, i mosaici dell’abside. Questi, in particolare, appartengono all’ultimo ciclo dell’arte musiva ravennate e segnano l’apice del simbolismo bizantino. Disegni ricchi e policromi raffigurano, nel catino absidale, il patrono, Sant’Apollinare, colto in fare orante attorniato da dodici pecore – simboleggianti i fedeli della chiesa di Ravenna e non gli apostoli come verrebbe da pensare – in un rigoglioso giardino paradisiaco. Più in alto del santo, la Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor. Vi è, dunque, una grande croce gemmata affiancata dai profeti Mosè ed Elia nella luce gloriosa di Pietro, Giovanni e Giacomo, le tre pecorelle, per volontà del Padre, la cui presenza si scorge dalla mano tra le nuvole. Facilmente leggibili anche le due scritte al di sopra e al di sotto della croce: l’acrostico greco iktus (pesce), utilizzato dai primi cristiani per alludere a Gesù, e Salus mundi che richiama al sacrificio del Salvatore. Nell’arco trionfale, invece, ritorna l’immagine di Cristo nel nimbo circondato dai quattro evangelisti realizzati nei loro simboli zoomorfi. Intanto, i dodici apostoli, gli agnellini, lasciano Betlemme e Gerusalemme per ascendere al cielo. Presenti anche gli arcangeli Michele e Gabriele, nonché due palme, allegorie del martirio.
Ruotando la testa, sempre rivolta verso l’alto, altri numerosi sacrifici biblici, imperatori ed esponenti della chiesa di Ravenna sono perfettamente distinguibili, con sorprendenti esempi di lotta all’arianesimo in cui si rimarca la natura umana e non divina del Figlio di Dio, tuttavia subordinato al Padre come vuole la dottrina elaborata dal monaco e teologo Ario.
Le pareti laterali, invece, si mostrano spoglie, in contrasto a com’erano in origine, in seguito all’intervento di Sigismondo Malatesta che puntò all’ornamento del suo Tempio di Rimini. Tale nudità, però, è alquanto apprezzabile. In realtà, non comunicando assenza di qualcosa, aiuta a concentrarsi sull’imponenza centrale delle decorazioni che, così, danno maggior piacere all’occhio e all’animo di chi le osserva, contornato da alcuni sarcofagi marmorei che permettono di valutare i numerosi cambiamenti di stile susseguitisi nei secoli.
A dispetto dell’impegno che un sito così pieno richiede dal punto di vista artistico, la grandezza del luogo è, probabilmente, racchiusa in quella sensazione di leggerezza che non abbandona mai chi ne è stato pervaso. Il cuore saltella passo dopo passo, innamorato, e non prova imbarazzo alcuno. È libero da ogni catena, parla a Dio o chi per Lui, svelando la sua natura. Si respira vita vera. La Basilica di Sant’Apollinare in Classe – il monumento più visitato dell’Emilia-Romagna nel 2015 – è, quindi, una costante rivelazione che non può assolutamente mancare nell’elenco delle cose da vedere almeno una volta nella vita. Senza dubbio, costituisce uno degli esempi più lampanti del ruolo centrale della storia dell’arte nella formazione individuale. Un luogo di scoperta e crescita, di passione e culto. Di luce e felicità. Imperdibile!