Un’eccessiva spettacolarizzazione: è questo che hanno denunciato i 44 agenti in servizio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere che pochi giorni fa sono stati raggiunti da un avviso di garanzia con cui la Procura li informava di essere indagati per i reati di tortura, violenza privata e abuso di autorità. La consegna da parte dei Carabinieri sarebbe infatti avvenuta all’ingresso dello stesso istituto penitenziario e alla presenza dei familiari dei detenuti che si trovavano lì per i colloqui. Delle accuse gravissime, quelle a carico dei poliziotti, ma non per il sindacato di categoria – che ha chiesto delle scuse ufficiali all’Arma – secondo il quale la fonte della vergogna starebbe nell’aver reso noto pubblicamente e collettivamente (per una ragione di celerità ed economia procedurale) ciò che tutti preferirebbero nascondere sotto il tappeto e risolvere privatamente.
Le indagini sono partite in seguito alle segnalazioni del Garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello e a un esposto che l’Associazione Antigone ha presentato alla Procura della Repubblica il 14 aprile scorso contro gli agenti in servizio a Santa Maria Capua Vetere per tortura e percosse e contro i medici operanti nello stesso istituto per omissione di referto, falso e favoreggiamento. I fatti risalirebbero al 6 aprile, giorno successivo a una protesta – per altro pacifica in base a quanto accertato dalla magistratura di sorveglianza – a cui i detenuti avevano dato vita in seguito alla notizia di un contagio all’interno del penitenziario per chiedere mascherine e dispositivi di protezione individuale del tutto assenti. Una reazione comprensibilissima se si pensa allo stato di agitazione e di paura di quei giorni e alla preoccupazione legata all’impossibilità di vedere i propri cari o essere informati seriamente.
Li avrebbero violentemente insultati e picchiati con schiaffi, pugni, calci e a colpi di manganello. A questo punto alcuni detenuti sarebbero stati trascinati fuori dalle celle, nel corridoio, dove sarebbero stati ancora pestati e, per sfuggire ai colpi, costretti a correre, passando dalle scale, fino all’area di “passeggio”. Colui che cadeva a terra durante la corsa subiva ulteriori violenze. Altri agenti – continua l’esposto – avrebbero invitato i detenuti a uscire dalle loro celle per effettuare la perquisizione e, dopo che il detenuto si è privato degli indumenti, sarebbe stato percosso violentemente con calci, pugni e con colpi di manganello.
Il contenuto della denuncia è chiaro e si riferisce a fatti successivi alle proteste, avvenuti quando ormai la quiete era tornata nell’istituto, ma gli agenti continuano a difendersi sostenendo di aver solo riportato la calma tra i detenuti dopo aver sventato una sommossa in preparazione, stando al ritrovamento e al sequestro di mazze e pentole d’olio nascoste nelle celle. Le prime ricostruzioni sembrano, tuttavia, quelle di una vera e propria mattanza, di una ritorsione cui ha fatto seguito la minaccia di non raccontare nulla al telefono e di non fare videochiamate perché non si vedessero i segni delle percosse.
L’indignazione è stata generale, ma inopportuna: molti hanno approfittato dell’occasione per fare la solita becera propaganda e manifestare solidarietà esclusivamente agli agenti. «È una giornata di lutto per l’Italia», ha dichiarato il leader della Lega Matteo Salvini precipitandosi sul posto e affermando che le rivolte non si placano con le margherite, ma con le pistole elettriche. Eppure non c’era stata alcuna rivolta e la semplice protesta del giorno prima si era oramai conclusa da molte ore. Ma, forse, sono davvero giorni di lutto per l’Italia e non perché vengono vergognosamente consegnati avvisi di garanzia alla polizia penitenziaria – come sentenziato da Giorgia Meloni – ma perché, se questi fatti venissero accertati, si tratterebbe di una gravissima sconfitta per la giustizia e per i suoi apparati istituzionali, che ancora una volta dimostrerebbero di essere inadeguati al ruolo che è loro proprio, ossia rieducare.
Gli agenti coinvolti si sono rifiutati di svolgere servizio, hanno insultato i Carabinieri e hanno protestato sul tetto dell’istituto, portando avanti le stesse rimostranze che solo pochi mesi fa hanno riguardato i detenuti e che tanta indignazione e disappunto avevano provocato nell’opinione pubblica. In seguito alla notizia dell’indagine si sono poi verificati dei disordini all’interno del penitenziario, a opera di soli tre reclusi che sono stati ritenuti responsabili e puniti con la solita procedura di un rapidissimo trasferimento.
Il segretario generale OSAPP parla di agenti abbandonati a se stessi e Ciro Auricchio, segretario regionale dell’Unione sindacati di polizia penitenziaria, denuncia un’ingiusta mortificazione ai danni dei poliziotti, convocando per il 2 luglio una manifestazione dei baschi azzurri a Roma per protestare contro uno Stato che si è arreso ai delinquenti. Dunque, arrendersi ai delinquenti significa fare luce su fatti raccapriccianti e violenze inaudite che i detenuti potrebbero aver subito per il solo fatto di aver preteso il rispetto dei propri diritti o, magari, per il semplice gusto di farla pagare a qualcuno che non fosse nelle condizioni di difendersi.
Anche il presidente di Italia Viva, Ettore Rosato, si è precipitato a Santa Maria Capua Vetere per esprimere tutta la sua solidarietà alla polizia penitenziaria. Tanta fretta e preoccupazione, però, non hanno mai riguardato il mondo carcerario, da sempre emblema dell’abbandono. Anche stavolta, nessuno sembra fare neppure il minimo accenno ai reclusi, alle vergognose umiliazioni che avrebbero subito e all’ingiustizia che sentono scorrere quotidianamente sulla loro pelle. Una tale corsa non si verifica neppure quando continui suicidi si verificano negli istituti penitenziari e nessuno ha il coraggio di chiedersene le ragioni, mettendo in discussione l’istituzione che quelle innumerevoli morti dovrebbe evitare. E neanche quando in carceri come quello di Santa Maria Capua Vetere, collocato vicino a un sito di smaltimento dei rifiuti, manca l’acqua potabile e le condizioni igieniche minime non vengono assicurate.
È palese che non si è in grado di indignarsi per le cose giuste, ma si preferisce farne una questione d’onore e scandalizzarsi perché l’operato della divisa viene messo in dubbio. Eppure, quando si parla di carcere e detenuti probabilmente ci si dimentica che si sta parlando di uomini che non meritano di essere identificati con il reato che hanno commesso ed essere condannati a una vita di abbandono. Se la reclusione non è in grado di rieducare e di assicurare pari dignità a tutti coloro che sono privati della libertà per scontare la propria pena, probabilmente è lo stesso sistema penale e penitenziario che deve essere riformulato. Se gli istituti diventano luoghi di abusi e violenze non possono più rappresentare la risposta che lo Stato dà per fare giustizia poiché producono ulteriori crimini e criminali.
I casi di accuse di torture e di abusi di autorità nelle carceri italiane si moltiplicano e sono pericolosamente cresciute le segnalazioni durante l’emergenza sanitaria, ciononostante si preferisce girarsi dall’altra parte e fingere che quell’ingiustizia non riguardi ognuno di noi. Lo Stato in cui ci troviamo dimostra sempre di più di saper rispondere esclusivamente con securitarismo e violenza, dimenticando del tutto la funzione rieducativa che la nostra Costituzione attribuisce alla pena, calpestando la dignità di chiunque non sia cittadino strumentalmente accondiscendente.