La lunga settimana sanremese si è appena conclusa, tuttavia bisogna esserle grati per aver fatto calare il sipario su tutto quanto accaduto nel mondo e in particolare in Italia nelle sue centoventi ore, evitandoci soprattutto di subire le ormai continue aggressioni televisive e online dell’ex felpato in crisi di astinenza di potere, costretto agli squallidi teatrini da una città all’altra bussando ai citofoni con il sostegno dei soliti tossico-razzisti e, come tristemente sembra ma in corso di accertamento, anche con la complicità di qualche uomo delle forze dell’ordine. Merito soprattutto di un Matteo Salvini capace di gestire il web e quel segmento di elettorato di comodo del quale sono entrati a far parte anche i meridionali affetti dalla sindrome di Stoccolma.
La kermesse sanremese, però, non è riuscita a nascondere quella che ormai sembra diventata una vera e propria caccia al diverso, perché di colore o cinese, omosessuale, uomini o donne che siano ma anche bambini allontanati contro ogni disposizione ministeriale soltanto per gli occhi a mandorla, non importa se residenti dalla nascita a Roma o Milano, Napoli o Genova, additati come possibili elementi di contagio del coronavirus. Una caccia all’uomo sui treni, nelle stazioni delle metropolitane, per strada e perfino fuori le abitazioni di qualche scampato alla morte nei lager nazifascisti, disegnando svastiche o apponendo cartelli con scritte degne dei peggiori carnefici di triste memoria.
Ancora una volta, il primato dell’ignoranza va a una parte consistente di questo Paese in caduta libera per quanto attiene a una subcultura che sembra ormai essersene impossessata in tal modo da rendere indispensabile una pratica di esorcismo. Ma credere alle casualità è da sciocchi o da chi è in malafede. Tutto ha sempre una spiegazione, una motivazione e più volte lo abbiamo affermato con chiarezza: l’origine è ben precisa e chiara, su tutto il non aver mai fatto i conti in maniera definitiva con quel mostro di Ventennio delle leggi razziali e tanto ancora, altro che di cose buone ne ha fatte… A seguire, il berlusconismo e poi il salvinismo, artefici entrambi dello sdoganamento totale del peggio del peggio covato dalla fine di quegli anni fino ai giorni nostri.
Questo, e non altro, sarà la pietra tombale dell’Italia se non ci sarà una vera e propria rivoluzione culturale, affidando le sorti della rinascita a una politica capace, competente, che sappia stare dalla parte giusta, di chi crea lavoro e non scappa, imprenditori seri e non prenditori, lavoratori retribuiti e pagati come da busta paga – sembra quasi un’affermazione inutile ma non lo è –, cantieri sicuri e non luoghi di morte, una giustizia giusta in grado di cacciare a calci la melma al suo interno, tutti con la voglia e la passione di risollevare il Paese.
Non è dato sapere, inoltre, se sia stato il sipario sanremese o un vero e proprio ordine di squadra a far calare il silenzio omertoso dell’informazione, in particolare radiotelevisiva, sulle gravi dichiarazioni del mafioso di primo livello Giuseppe Graviano su Silvio Berlusconi: «Ci siamo incontrati con l’ex Premier almeno tre volte, anche mentre ero latitante. Erano affari economici, non criminali. […] Con Berlusconi abbiamo cenato insieme. È accaduto a Milano 3 in un appartamento».
Riconosco di essere rimasto quasi il solo a meravigliarsi, non dei traffici dell’ex Cavaliere, ma dell’assurdo silenzio stampa concordato anche se, in verità, tutto quanto riconducibile all’immortale ormai non fa più notizia, non scandalizza più nessuno, tanta è la melma ormai solidificatasi che quasi non puzza più per molti, per i troppi italiani nostalgici dei giorni del Bunga Bunga e delle corna in pieno consesso internazionale. Ha ragione il Giudice Di Matteo: «Le parole su Berlusconi? Rapporti con la mafia nella sentenza Dell’Utri, chi li ricorda additato come visionario». Cosa altro c’è da aggiungere? Siamo dei visionari anche noi che ne parliamo? Fieri di esserlo.
Il tanto deprecato Festival di Sanremo, che tutti giurano di non vedere ma che fa ascolti pari al 60%, ha il gran merito di aver nascosto sotto il tappeto gran parte della spazzatura che riguarda la politica, il vivere sociale, gli eterni problemi che affliggono l’Italia: la disoccupazione, le fabbriche che delocalizzano gettando in strada intere famiglie, le morti continue sul lavoro, un Paese che non cresce e che aumenta le disuguaglianze, una classe dirigente sempre più incapace di affrontare i problemi in maniera radicale evitando la solita strategia tappabuchi che crea ulteriori incertezze offuscando sempre più un futuro che è già domani.
L’emigrazione biblica dei giovani e non solo – di cui abbiamo parlato nella nostra inchiesta sugli italiani all’estero – è soltanto uno degli esempi più eclatanti della necessità di cercare opportunità lavorative o di studio fuori dai nostri confini ma, anche, di un sistema non in grado di garantire un minimo di certezze, di stabilità, di meritocrazia e rispetto delle regole, tante, ben scritte, ma quasi sempre disattese, un clima di sfiducia che non fa certo bene alla nostra comunità nazionale, alimentando la diffidenza nelle istituzioni che amplia sempre più la distanza tra la società e la sua rappresentanza.
Non è questione di taglio del numero dei parlamentari – che in una sana democrazia non è un merito ma una sconfitta –, ma di qualità, di competenza, di capacità di essere strumento di servizio per costruire un grande Paese capace di competere in Europa e nel mondo.