L’identità è un dono, o una maledizione, sociale. È lo sguardo degli altri che vivono negli spazi geografici e nel tempo storico dove si rappresenta la nostra vita a definire, nel bene e nel male, ciò che siamo. La lettura di San Gennaro non dice mai no di Giuseppe Marotta, che è uscito in libreria il 19 settembre – festa del santo patrono della città partenopea – grazie alla Alessandro Polidoro Editore, ci conferma il dato antropologico ed esistenziale. E Alessio Forgione lo esprime, nell’appassionata prefazione, scrivendo che il napoletano nasce con il vizio di Napoli. Il vizio va e viene, sparisce e ritorna e si litiga.
San Gennaro non dice mai no, in effetti, è la narrazione, felice e tormentata nella sua ambivalenza affettiva, di un viaggio nella città partenopea che l’autore compì nel 1947. L’anno in cui venne pubblicato L’oro di Napoli, l’opera più famosa dello scrittore e dalla quale il regista Vittorio De Sica trasse il film dallo stesso titolo nel 1954, avvalendosi della sceneggiatura nata dalla collaborazione tra l’autore e Cesare Zavattini. L’anno successivo, invece, uscì il volume nel quale Marotta scrisse della città ritrovata dopo un lungo periodo di lontananza.
Giuseppe Marotta nacque a Napoli nel 1902 e, dopo aver affrontato un’infanzia difficile per la salute cagionevole e il disagio materiale causato dalla perdita prematura del padre, lasciò anzitempo la scuola. Continuò da autodidatta a prendersi cura del demone dello studio e della scrittura. Andò via da casa in giovane età e arrivò a Milano, dove voleva intraprendere la carriera di giornalista. Con determinazione e coraggio, riuscì a trovare lavoro presso la Mondadori e in seguito alla Rizzoli, fino a diventare redattore al Corriere della Sera. Le capacità di scrittura del giovane giornalista, e anche scrittore di racconti, romanzi e sceneggiature, diventarono uno strumento di affermazione sociale e, al contempo, di conoscenza degli esseri umani e del mondo.
Nell’opera di Marotta, la comprensione delle relazioni umane, pur partendo sempre da Napoli, riesce a raggiungere, attraverso le storie della vita quotidiana, l’universalità della condizione umana e sociale dell’età contemporanea. San Gennaro non dice mai no ne costituisce uno straordinario esempio, senza avere la pretesa, come dice l’autore, con ironia e vigore polemico, di descrivere la vera e giusta città, perché esistono una Napoli plebea una Napoli borghese una Napoli aristocratica e addirittura ciascuna di esse si suddivide poi in moltissime altre Napoli.
Le differenze tra la città natale di cui lo scrittore aveva parlato ne L’oro di Napoli e quella che rivide nel suo viaggio a metà del Novecento erano tante. La Napoli dell’immediato dopoguerra era all’inizio di una lunga ricostruzione materiale, umana e sociale. Durante la narrazione, comunque, la memoria e il presente si confondono ma non si negano, mettendo insieme le vite degli umili, le loro sofferenze, le descrizioni grottesche ma non consolatorie e i comportamenti talvolta insofferenti, spesso servili oppure caratterizzati da quella spensieratezza ostentata che non sempre riesce a trattenere, nel fondo delle storie private, il dolore che cerca di nascondere.
Per rieditare il volume, Alessandro Polidoro si è messo in contatto con il figlio 87enne dello scrittore, Luigi, che attualmente vive ad Agropoli. Questa nuova edizione di San Gennaro non dice mai no, tuttavia, non è una banale operazione celebrativa della storia letteraria di una città dall’anima universale, ma ha una valenza culturale che si esprime nella necessità, qui e ora, di una rilettura del testo e di una riflessione sull’intera opera di Giuseppe Marotta. Ce lo ricorda ancora Alessio Forgione quando afferma che un autore napoletano scrive anche per chi è nato altrove, perché è anche un autore italiano e di questo pianeta.
Nella primavera del 1947, insomma, Napoli si presenta allo sguardo stupito e ansioso del narratore come una città bambina, con le violette in mano, che va a fare la sua prima comunione. A dimostrazione della capacità dello scrittore di non fermarsi al già vissuto e al già detto intorno alla città ritrovata, ma di lasciarsi sorprendere da nuovi scenari di umanità e dalla loro rappresentazione, in una messinscena quotidiana che affonda le radici nella storia antica e mostra, mai domato e sempre vitale, il suo desiderio di futuro.
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