Le facce, basta vedere quelle. I visi cupi e nervosi di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, presentatisi in conferenza stampa separatamente – e anche questo è un fatto – per commentare i risultati dei ballottaggi. Perché, al di là dei tentativi di giustificarsi e di buttare la palla in tribuna – vedi la leader di Fratelli d’Italia che dice che la vera notizia di queste elezioni è la debacle dei 5 Stelle e che, in fondo, il PD è passato da trentacinque a trentatré sindaci –, i due veri sconfitti sanno benissimo che la responsabilità di questa Caporetto ricade tutta su di loro.
Perché, insomma, come si può non capitalizzare il consenso che una ha nel Paese e l’altro ha avuto fino a poco tempo fa, quando anche i sondaggi del giorno li danno insieme oltre il 40%? Com’è stato possibile, si starà chiedendo l’erede di Gianfranco Fini – e non lo citiamo per caso, indiretto protagonista di queste elezioni –, riuscire a perdere in casa, a Roma, dove avrebbe probabilmente vinto a mani basse se si fosse candidata a sindaco, nella città dove lei e i suoi si sono formati e sono radicati più che dalle altre parti? E com’è potuto accadere, si starà domandando il suo compagno di sventure, perdere nella Milano, un tempo roccaforte del centrodestra, capitale economica d’Italia, dove gli imprenditori e gli industriali guardano più a Giorgetti – neanche lui citato per caso – che a Draghi?
Perché sì, è vero, i candidati inadatti, le inchieste su Morisi e quelle di Fanpage, i conti con la storia mai fatti, le diverse strade in Parlamento dove una siede all’opposizione e l’altro dice di stare in maggioranza o i problemi interni della Lega che non è più tutta dietro a un solo uomo. Però, quelle scelte le hanno fatte loro, mettendo l’uno un nome non gradito all’altro – Salvini avrebbe di gran lunga preferito Bertolaso come candidato della destra nella Capitale e la Meloni non si sa nemmeno se conoscesse il milanese Bernardo –, quelle inchieste nascono da loro contraddizioni – l’ex Capitano ha voluto rappresentare per anni le frange più bigotte e chiuse, trovandosi poi il suo braccio destro sotto la lente d’ingrandimento proprio per fatti privati legati alla droga. E la leader di FdI allo stesso modo: non c’entra direttamente con quello che dice Fidanza pensando di parlare con uno dei suoi, ma c’entra eccome nel momento in cui non riesce a liberarsi dall’immagine che dà di sé, ossia di una che strizza l’occhio ai fasci, che equipara fascismo e comunismo, che – e qui ritorna Gianfranco Fini, forse l’unico leader autentico della destra degli ultimi venticinque anni – non riesce a ripetere ciò che disse circa due decenni fa proprio il fondatore di Alleanza Nazionale, ossia che il fascismo è il male assoluto.
Questo nervosismo, in effetti, ha una sola conseguenza, cioè quella che vede i due competere da separati in casa, anzi in coalizione, perché una ha il vento in poppa e l’altro è ancora scottato dalla crisi del Papeete; perché lui vorrebbe stare dove si trova lei, cioè all’opposizione, ma è legato da quella parte della Lega che si sente garantita da Draghi, da quel ceto produttivo che forse si sente più compreso dal titolare del Ministero dello Sviluppo Economico, da Zaia e dai restanti governatori del Nord che dal leader del partito.
Dunque, disabituati come siamo a veder vincere il centrosinistra e a percepirlo così entusiasta, come sempre ci mettiamo nei panni degli sconfitti – in questo caso, dei più deboli – per dare loro un consiglio: può avere un senso (e, infatti, i risultati ci sono stati) portare avanti temi classici della sinistra quali l’immigrazione, gli esodati e le periferie – pur con ricette distruttive e indegne di uno Stato sociale – per cercare i voti tra le classi meno agiate, ma non giova, né a loro né a nessuno, strizzare l’occhio in piena pandemia a no vax, no green pass e fascisti. Non giova non partecipare alla manifestazione antifascista della CGIL, mettere in dubbio le fondamenta della scienza e della democrazia, confondere la libertà di coscienza con il pericolo per sé e per gli altri. Almeno su questo speriamo che per Salvini e Meloni la matrice sia abbastanza chiara.