Ancora una volta, anche per il caso relativo alla nave Gregoretti della Guardia Costiera italiana, nulla si è svolto come avrebbe dovuto. Chi aveva il compito di decidere è scappato di fronte alle proprie responsabilità, l’imputato ha colto l’occasione per erigersi a eroe e l’arbitro – forse – ha scordato la dovuta imparzialità. Ma proviamo a mettere ordine. Matteo Salvini – ai tempi della vicenda Ministro dell’Interno – aveva trattenuto a bordo dell’imbarcazione 116 migranti sottratti al mare, guadagnandosi, così, l’attenzione della magistratura con l’accusa di sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. Come da prassi, i PM avevano fatto pervenire al Senato la richiesta a procedere verso il processo, decisione sulla quale avrebbe dovuto esprimersi, in primo luogo, la Giunta per le immunità. E così è stato.
Il giorno 20 gennaio, infatti, i componenti del collettivo di Palazzo Madama hanno dato l’ok allo svolgersi delle indagini. Fin qui, tutto nella norma, non fosse che alla chiamata al voto hanno risposto soltanto coloro dai quali era lecito attendersi l’esito opposto, ossia i rappresentanti del centrodestra, con la Lega in testa. La maggioranza formata dagli esponenti del MoVimento 5 Stelle, PD, Italia Viva e LeU ha mal pensato di disertare l’appuntamento.
Scappa così – nuovamente – il governo del Paese di fronte alle proprie responsabilità, scappano Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti dagli oneri che gli competono. Il leader pentastellato e il Segretario dei dem perdono l’ennesima occasione per fare una cosa di sinistra, per rispondere alle domande che pone loro un elettorato smarrito, il tutto in nome di qualche voto che, stando ai ragionamenti, avrebbero dilapidato in favore proprio della vittima del provvedimento giudiziario, Matteo Salvini, nel confronto alle urne di domenica prossima in Emilia-Romagna.
Può, però, un’elezione – per quanto centrale non solo per la singola regione in oggetto, ma per l’intera tenuta dell’esecutivo – condizionare in maniera così importante i lavori di chi è eletto e pagato proprio perché prenda decisioni, anziché scrivere la propria agenda secondo gli impegni elettorali? La nostra risposta è chiara e netta: no!
Che il responso in merito al processo a carico di Salvini avrebbe potuto condizionare – e probabilmente condizionerà – il parere degli emiliani è un dato di fatto. Basti guardare alla reazione proprio del leader leghista, già impegnato a dipingersi come il martire di uno Stato e di una giustizia che giustizia non fanno. L’ex Ministro ha – pronti, via! – chiamato a raccolta la sua gente, la sua folla assetata di sicurezza conto l’invasore che viene dal Mediterraneo, addirittura le ha chiesto di digiunare come nel più classico dei copioni per ciò che riguarda le rimostranze contro le persecuzioni politiche.
Ed è inutile stare a spiegare ai milioni di italiani che non vedono l’ora di condividere la cella con il Senatore milanese – che nel frattempo bacia salami e inneggia al formaggio come valore fondante della società in cui si rispecchia – che il loro Capitano è imputato per aver tradito proprio la sua legge manifesto, il Decreto Sicurezza. Salvini può contare sui suoi seguaci a prescindere dalla vicenda che lo riguarda, contro ogni coscienza, come il tifo per il pallone alla domenica.
È improduttivo – per la verità –, anche se nobile e degno di stima, il tentativo dell’ex Europarlamentare Elly Schlein di domandare all’ex collega perché voi della Lega non siete mai venuti alle ventidue riunioni per cambiare le regole europee sull’immigrazione?. Per un partito che fa della lotta alle politiche immigratorie dell’UE la propria bandiera, è certo un controsenso che, una volta chiamato a discuterne, non abbia pensato che fosse il caso di intervenire fattivamente anziché alimentare bile e paure soltanto attraverso una becera propaganda.
Per un imputato che scappa dalle domande ma si immola sull’altare del consenso elettorale, c’è un arbitro che – stando alle dichiarazioni dei protagonisti – ha scordato l’imparzialità che dovrebbe non solo a un caso come questo, ma a tutte le questioni discusse dall’aula che presiede. Maria Elisabetta Alberti Casellati, infatti, ha incontrato Salvini poco prima della decisione di rinviare o meno a dopo il voto dell’Emilia-Romagna la consultazione sul caso Gregoretti. La versione del leader leghista vuole che il meeting sia dipeso da cause non inerenti alla decisione della Giunta per le impunità, tuttavia, resta l’ombra su quella che per M5S e PD è un palese schieramento della seconda carica dello Stato in un momento delicatissimo per il governo e, dunque, per l’intero Paese.
La considerazione finale, però, la meritano ancora i responsabili della maggioranza, rei di aver prestato il fianco al gioco di Salvini. Che la Lega, accertata l’intenzione dell’asse giallo-rosso di consegnare ai magistrati il proprio leader, avesse votato a sua volta a favore del processo, era chiara a chiunque, oltre che logico. Perché, allora, MoVimento 5 Stelle e PD non hanno colto l’occasione per presentarsi, mettere la propria firma su quella che sarebbe sembrata una prima vittoria politica della nuova alleanza, oltre che, finalmente, un’opportunità di dimostrare la discontinuità rispetto al periodo a trazione padana? Al costo, chissà, di qualche X sulle schede, avrebbero dimostrato compattezza e soprattutto senso di responsabilità.
Ma, si sa, la politica dei nostri giorni è così: nessuna idea, zero contenuti, tweet e propaganda da alimentare sul sentimento, sul percepito delle persone. Terreno fertile per la bestia, suolo accogliente per ciò che resta dei cadaveri della sinistra.