Facciamolo per l’Italia, facciamolo tutti, uno con l’altro, sogniamoci, moltiplichiamoci fino all’infinito, facciamolo per amore o semplicemente per il piacere di farlo: ci eravamo lasciati così, poco prima delle vacanze, con un invito alla procreazione lanciato su tutti i canali televisivi dalla Chicco, la nota azienda di prodotti per l’infanzia, e la deplorevole frase del Ministro Lorenzo Fontana che cancellava in un attimo anni di lotte della comunità LGBT, sostenendo a gran voce la cosiddetta famiglia tradizionale. L’estate italiana, però, non si è fermata lì, bensì è stata lunga e, come suo tipico, non si è fatta mancare nulla, anche e soprattutto grazie al progressivo imbarbarimento del sedicente governo del cambiamento.
Non a caso, tra un Salvini a torso nudo e un’incongruenza di Di Maio, sono venute fuori, seppur non richieste, le dichiarazioni del senatore leghista Simone Pillon che alla bocciatura della depenalizzazione dell’aborto in Argentina, con migliaia di donne scese subito in piazza per manifestare il sacrosanto diritto all’autodeterminazione, ha risposto che anche l’Italia punterà all’abolizione della legge 194 la quale, per l’appunto, regola l’interruzione volontaria di gravidanza nel Bel Paese. Il tutto mentre il Vicepremier indagato (non Luigi, l’altro) rifiutava i fritti misti (le coppie omogenitoriali) a tutela di mamma e papà che, a suo avviso, devono tornare a scansare le diciture genitore 1 e genitore 2. Intanto, con il regresso che avanzava inesorabile, per motivi piuttosto ovvi, una notizia positiva passava lentamente in sordina: anche la Lombardia, infatti, dopo Emilia Romagna e Piemonte, ha approvato una delibera a favore della contraccezione gratuita. Come nelle altre due regioni, quindi, dallo scorso luglio, le giovani di Milano, Brescia, Bergamo e dintorni hanno, finalmente, libero accesso ai contraccettivi nonché ai consulti medici necessari, sia presso strutture pubbliche sia presso istituti privati regolarmente accreditati. Un provvedimento voluto da 63 consiglieri su 64 atto a valorizzare proprio quella legge scomoda a Pillon, ma mai pienamente applicata nel territorio che ospita la Chiesa e ne subisce, a convenienza, fin troppo il fascino. Come se non bastasse, inoltre, coerente alla sua natura in tema di avanguardia, diritti e parità di genere, la pioniera Italia ha visto approdare ieri a Milano Viktor Orbán, il Primo Ministro ungherese che ha incontrato il suo eroe Matteo Salvini, mentre in patria vietava la messa in onda del troppo poco virile Billy Elliot. Nelle stesse ore, invece, al di là del Canale della Manica, ben più a nord di Buckingham Palace, la terra che ha dato i natali al più famoso giovane mago della letteratura ha impartito lezioni di civiltà al pianeta intero.
Dopo un progetto pilota lanciato l’11 luglio nella città di Aberdeen, infatti, la Scozia ha varato una nuova manovra che permetterà alle studentesse di scuole medie, superiori e università residenti nella patria del whisky e della carne pregiata di ottenere in modo gratuito assorbenti e altri prodotti sanitari femminili di prima necessità grazie a un programma da 5.2 milioni di sterline. Fortemente voluta dal governo di Edimburgo, la rivoluzionaria iniziativa mira a combattere la povertà da ciclo, anche chiamata povertà mestruale, che colpisce milioni di donne non solo nel Regno Unito. «In una nazione ricca come la Scozia è inaccettabile che chiunque fatichi a comprare prodotti sanitari di base» ha detto al quotidiano britannico The Guardian la responsabile per le comunità locali Aileen Campbell. Circa 395mila ragazze, quindi, avranno l’opportunità di prendersi cura di se stesse salvaguardando l’igiene intima e, dunque, la salute. Ma anche evitando una qualsiasi forma di disagio fisico e psicologico, altro fattore assolutamente da non sottovalutare.
Da adesso gratuiti in Scozia, ma già disponibili per tutte in Kenya e nel Comune di New York, detassati in Canada e India, i period products in Italia sono, invece, considerati beni di lusso. L’Imposta sul Valore Aggiunto applicata ad assorbenti e simili, l’IVA, da noi è infatti del 22%, al pari di uno smartphone o di un gioiello. Con la differenza che il cellulare si sceglie di averlo, il ciclo mestruale no. In media, si stima che una donna, nel corso della sua vita fertile, abbia dai 460 ai 520 mestrui con una spesa annua che varia in base alla necessità di ciascuna ma che comunque raggiunge con il tempo migliaia e migliaia di euro. Cifre importanti di cui non sempre si riesce a usufruire. Tassare i prodotti imprescindibili per affrontare quei circa cinque giorni al mese, dunque, non solo è inappropriato, ma anche estremamente discriminatorio: un’aliquota, quella applicata, tanto classista quanto sessista. Solo chi ha soldi può arginare il disagio e solo chi è donna deve spendere di più. Una doppia fregatura, quindi, a cui siamo esposte non soltanto dalla natura, ma pure da chi impone le tasse, dimentico del fatto che il sesso debole è tale poiché già destinato a guadagnare sempre meno rispetto al maschile, caratteristica preponderante di quella fallocrazia imperante nella società capitalistica alla quale ci hanno abituati sin dalla notte dei tempi.
Nel 2016 l’ex PD Giuseppe Civati, allora leader di Possibile, avanzò una proposta simile alla scozzese anche in Italia, la Tampon Tax, che avrebbe portato alla riduzione dell’IVA applicabile al 4%, come per tutti i beni essenziali, ma la risposta del Bel Paese fu di scherno e derisione nei confronti di Pippo, a sottolineare il provincialismo insito e mai addomesticato di una nazione che ancora fatica a parlare di mestruazioni – un fenomeno assolutamente “normale” e naturale – e soprattutto a permettere agli uomini di farlo, come se questi non dovessero interessarsene in qualità di “maschi”. A pagarne, però, in tutti i sensi, siamo sempre noi, ragazze che spesso devono ancora chiedere alla mamma, quando può, di provvedere agli acquisti mensili o, peggio, talvolta costrette, nei giorni no, a restare a casa se le finanze scarseggiano. Combattere questa battaglia di civiltà, quindi, non è una scelta, bensì un dovere di ognuno, uomo o donna che sia, affinché a tutte sia riconosciuto il diritto a una vita normale anche quando i pantaloni bianchi è consigliabile non indossarli. Se pensiamo al governo attuale, tuttavia, ci appare ancora più remota la possibilità che il nostro Paese possa spingersi così oltre.