Lo diciamo di ciò che non capiamo. Se una cosa ci sembra strana, audace, irresponsabile, nel bene ma soprattutto nel male. Lo diciamo per definire cose orribili che non riusciamo a spiegarci in alcun altro modo, finendo per giustificare con una patologia invisibile ciò che invece di malato c’è nelle dinamiche sociali. È pazzo. È malato, è pervertito. È una follia. È la definizione che diamo a tutto ciò che non sappiamo spiegarci, contribuendo a creare costantemente e continuamente lo stigma sulla salute mentale.
Sembra, è forse sarà un po’ merito della pandemia e delle conseguenze che ha avuto sulla serenità delle nostre vite, che il tema della salute mentale inizi a essere appena più considerato. Eppure, per una società realmente sana che si prende cura del corpo tanto quanto della mente, che non vive lo stigma e che non usa la follia come giustificazione per tutti i mali, c’è ancora tanta strada da fare.
Lo spiraglio che si intravede è da parte di una popolazione stanca, provata, che richiede l’aiuto dei professionisti. Ce lo dimostra la quantità di domande per usufruire del bonus psicologo, 300mila italiani tra le fasce meno abbienti della popolazione – rappresentando dunque solo una parte delle persone che ne usufruiscono o vorrebbero farlo – che si rendono conto di aver bisogno della terapia. Contro ogni aspettativa, dunque, il popolo pare accorgersi che non basta davvero un po’ di sport per curare la salute mentale e che la terapia, sorprendentemente, è importante. Che poi ad accorgersene il popolo sia da solo, mentre in quanto ad assistenza sanitaria c’è poco da fare, è un’altra storia.
Mentre, però, i fondi del bonus psicologo riusciranno a coprire solo poco più di 40mila richieste, soddisfacendo appena il 13% delle domande e dimostrando di essere un provvedimento più simbolico che reale, sono i dati relativi a chi ne fa richiesta a essere particolarmente indicativi. Il 60% dei richiedenti è, infatti, composto dai giovani. La fetta meno popolosa della nostra popolazione – e, a dire il vero, anche quella meno tutelata, più sfruttata e con meno certezze per il futuro – è anche quella che in gran parte sente il bisogno di prendersi cura della propria salute mentale, rappresentando più della metà delle richieste. In particolare, il 43.55% delle richieste proviene dai giovani adulti, la fascia di età che va dai 18 ai 35 anni, che contiene generazioni diverse e spesso distanti, ma accomunate da un’incertezza costante. Sarà mica che la precarietà della vita influisca sulla salute mentale?
Il 16.62% delle richieste, invece, è a favore di minorenni, adolescenti e preadolescenti che vivono un disagio lungo quasi tre anni e che non hanno potuto riprendersi dalle vite mozzate dalla pandemia e dal conseguente contenimento dei contagi. Questi dati coincidono con l’angosciante allarme lanciato dalla Federazione Italiana Medici Pediatri, che ha riscontrato un incredibile aumento dei tentativi suicidari tra i giovanissimi. Secondo di dati di molti pronto soccorso, infatti, nel biennio 2020-2021, i casi di tentato suicidio tra i giovani di età compresa tra i 14 e i 19 anni è aumentata di una percentuale compresa tra il 60 e il 75% rispetto ai periodi precedenti.
Non sono solo i casi estremi, però, a preoccupare. Secondo la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, il 25% dei giovani soffre di ansia o depressione, e intanto continuano a salire anche gli già allarmanti numeri relativi ai disturbi del comportamento alimentare. Ma non è della pandemia la colpa, piuttosto di un sistema sanitario – e di uno Stato, e di un susseguirsi di governi noncuranti, e di una società costruita sullo stigma – che non tiene conto della salute mentale come di una priorità, soprattutto per i giovani. Già prima dell’avvento del Covid-19, infatti, solo il 30% dei minori con disturbi neuropsichici riusciva ad accedere a un servizio specialistico, e solo il 15% otteneva terapie appropriate.
Non servono altri dati per chiarire la necessità di un profondo lavoro strutturale in tema di salute mentale. L’emergenza a cui oggi assistiamo non è il risultato – non unicamente, almeno – di ciò che la pressione della pandemia ha fatto sulle nostre vite, ma la somma di tanti fattori, tutti provenienti dalla stessa matrice: la scarsa considerazione della salute mentale come qualcosa di importante. I fattori scatenanti, la pandemia in primis ma anche la precarietà che vivono i giovani e della cui colpa la società disfunzionale dovrebbe farsi carico, sono innegabili. Ma a rendere il terreno tanto fertile per l’insorgenza dei disturbi psicologici è stata la totale assenza di prevenzione, l’incapacità di parlarne e la mancanza di assistenza sanitaria in merito ai temi della salute mentale.
In un Paese in cui la maggior parte delle persone che hanno bisogno della terapia non riesce ad avere accesso alla giusta assistenza sanitaria, in un Paese in cui ancora si definiscono pazzi assassini e stupratori, in qualche modo giustificando quella cultura della violenza e stigmatizzando invece chi di disturbi mentali soffre davvero, in un Paese in cui prendersi cura della propria salute mentale è da deboli, da fragili, poco virile e poco produttivo, è difficile credere che non scoppi un’emergenza. Non perché qualche esterno e incredibilmente grave fattore abbia scatenato un’epidemia di ansia e depressione, ma perché di questi disturbi nessuno si è mai preso cura. E, a quanto pare, non si inizierà a farlo neanche adesso.