168732 visitatori, 110mila metri quadri espositivi, quattromila pagine di rassegna stampa, mille persone tra staff e macchina organizzativa – inclusi allestitori e fornitori: la XXXIV edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino si chiude così, con numeri da capogiro e l’ennesimo successo targato Nicola Lagioia.
Se a ottobre scorso quando, per la prima volta in autunno, si era tenuta la fiera editoriale più prestigiosa di Italia, sembrava impossibile pensare di fare di meglio, in appena sette mesi – e non senza difficoltà – il direttore editoriale (prossimo all’uscita) e il suo staff hanno addirittura superato se stessi, complici l’ampliamento degli spazi interni ed esterni, la nuova Casa della Pace, un luogo dove discutere di solidarietà in tempo di guerra, e il Bosco degli Scrittori, un anfiteatro naturale di duecento metri quadri e oltre mille alberi, tra piante e arbusti, in cui si sono tenuti dibattiti e presentazioni. E ancora: ospiti nazionali e internazionali e tante attività ludiche diverse, persino esulanti dalla lettura. Il grido al Paese, invece, è rimasto lo stesso, quello di sempre: ci siamo. Siamo qui. Ascoltateci.
Al contrario di quanto auspicato, infatti, la vita supernova a cui il precedente Salone era stato dedicato, sperando nell’esplosione di una stella che desse finalmente luce a questa storia, non ha trovato spazio nel dibattito pubblico finendo così per relegare ai cuori selvaggi di quest’anno il compito di tentare – ancora una volta – un discorso che possa in un futuro prossimo coinvolgere le istituzioni, i cittadini fuori e dentro il Lingotto, nonché l’intero settore culturale che tuttora fatica a compattarsi, a farsi notare e a imporsi per quello che è e per quello che vale.
«Sfogliare un libro fa poco rumore, arriva difficilmente alle cronache, ma se lo fanno in centinaia di migliaia, insieme, nello stesso posto e negli stessi giorni, danno un segnale che non può essere ignorato» scriveva Nicola Lagioia al termine della cinque giorni del 2021 e, invece, il segnale è stato ignorato anche quest’anno, che nulla è stato fatto per incentivare la crescita dell’editoria e troppo è stato trascurato mettendo in crisi una filiera che già tante difficoltà riscontra nella sua gestione quotidiana.
Il settore deve infatti fare i conti con gli aumenti consistenti dei costi della materia prima, che si registrano già da un paio d’anni ma che sono cresciuti ulteriormente con l’aumento globale dei prezzi dell’energia. I preventivi in tipografia, dunque, sono schizzati alle stelle, ma non tutti – forse nessuno – possono permettersi un prezzo di copertina maggiorato, pena l’impossibilità per i lettori di accedere a quella che, purtroppo, non può essere priorità in un presente di rincari generalizzati e sempre più elitari. Ecco che allora – come dimostrano anche i dati di vendita di questo Salone – a godere di buona salute sono in pochi e sono sempre gli stessi.
Se a ottobre tutti (o quasi) registravano percentuali importanti di acquisti tra i padiglioni del Lingotto, oggi soltanto qualcuno stappa la bottiglia. Qualche conferma (come nel caso di minimum fax, e/o, L’orma editore, Il Mulino, Iperborea), piccole e medie crescite (SUR, Piemme +5%; EDT, Fazi +10%; Hacca, Laterza, Neri Pozza +15%; NN Editore +20%) e i soliti grandi che, al contrario di qualche mese fa, sono tornati a padroneggiare a discapito di un’editoria, spesso, persino di qualità maggiore: +42% Sperling&Kupfer, +50% Feltrinelli, +51% Marsilio, +62% La Nave di Teseo. Meno bene il Gruppo Mondadori (+20%) e il Gruppo Mauri Spagnol (+35%). Sono tuttavia questi ultimi, i giganti del settore, ad avere anche i nomi più cercati nei giorni di Salone: Joël Dicker, Jovanotti, Carlotta Vagnoli, Chiara Tagliaferri, Gianrico Carofiglio, Maurizio de Giovanni e tanti altri. Scrittori e non le cui opere hanno trovato spazio nelle immancabili tote bag, soprattutto dei più giovani, ormai assidui frequentatori della manifestazione piemontese.
Ed è proprio ai giovani che gli organizzatori della XXXIV edizione hanno scelto di rivolgersi. Nelle ultime settimane, infatti, la community del Salone è cresciuta e non supera, in media, i 34 anni: Facebook, Twitter, Instagram e, soprattutto, TikTok hanno visto aumentare numeri e interazioni rendendo il Salone più social e ancor meno formale. Novità di quest’anno è stato l’arrivo della kermesse sull’ormai popolarissima piattaforma cinese, con una programmazione dedicata al racconto delle giornate e dei volti e delle voci delle persone che hanno partecipato al SalTo22. I numeri registrati dal profilo ufficiale sono importanti: le visualizzazioni totali dei video sono state 1 milione e 600mila, 4750 quelle dell’account, quasi 30mila i like, oltre 2500 i follower. Un modo per raccontare e avvicinare i più piccoli alla lettura e al mondo del libro in generale. Se avrà funzionato davvero, però, lo scopriremo solo con il tempo, quando il trend sarà un altro e allora si potranno effettivamente contare i lettori formatisi sui social.
D’altro canto, come ogni azione della nostra quotidianità, anche la lettura sta diventando un fenomeno da condividere. E, se da un lato non può che essere un bene che appassionati più o meno forti si ritrovino sui social – pensiamo a Bookstagram o il più recente BookTok –, dall’altro c’è il rischio che anche questo, finita la novità del momento, smetta di essere una sana abitudine, un interesse, perché no, persino un lavoro.
A tal proposito, è forse su tale aspetto che vale la pena muovere una piccola critica al programma appena conclusosi: l’eccessiva presenza di personaggi mediatici – influencer, cantanti, sportivi – che si è certamente tradotta in partecipazione (i numeri parlano chiaro), ma che ha anche sovrastato le voci meno roboanti di autori e editori di primo livello. E da una fiera del libro, in un mercato che è già ingolfato di titoli evitabili, di vendite scarse (anche di qualità) e pochi fondi, ci si aspetta l’esatto contrario. Ciononostante, per onestà intellettuale c’è da dire che sette mesi per allestire un monumentale evento come il Salone, perfetto nella sua organizzazione, attento ai dettagli e alle necessità di tutti, sono davvero pochi. In più, probabilmente complice il calo degli acquisti in libreria – nei primi mesi del 2022 il mercato del libro è in flessione rispettivamente del 2.5% a copie e del 3.7% a valore rispetto i primi quattro mesi dell’anno precedente – nel periodo pre-Salone si sono concentrate molte delle maggiori uscite, di conseguenza stilare un programma diverso rischiava di tagliare fuori troppe firme.
Il Salone Internazionale del Libro di Torino si conferma, comunque, una festa, il momento più atteso dell’anno per chi desidera leggere, incontrare autori, giornalisti, assistere a dibattiti che sanno diventare veri e propri presidi culturali e militanza. E questo, in un periodo contrassegnato da disinformazione, istigazione alla guerra, di fratture, di conflitti interni ed esterni alla società civile resta sempre un valore aggiunto, un prezioso contributo alla crescita che dobbiamo preservare e difendere.
Non a caso, le polemiche di questa settimana hanno provato quanto il Salone spaventi, quanto non si perda mai occasione per strumentalizzare e trasformare cinque giorni di cittadinanza attiva in un processo sommario – e decisamente tardivo – ai danni di Nicola Lagioia o di riabilitazione fascista come nel 2019, per citare soltanto alcune delle diatribe più rumorose. Per fortuna, ancora una volta, la comunità del Salone – che non è pubblico – ha vinto, ribadendo forte da che parte sta. Rinvigorendo l’idea della cultura come momento di riflessione e aggregazione, di conoscenza di sé, dell’altro e del mondo che ci circonda, nonostante continui a muoversi in un vuoto legislativo che impedisce a librai, lettori e editori di riprendersi i propri spazi, di crescere e di emancipare quell’enorme porzione di Italia che continua a non coglierne l’importanza.
Cuori selvaggi è il titolo di questa edizione. Viviamo in un mondo inquieto, turbolento, pieno di enormi problemi ma di altrettanta speranza nel futuro. La cultura e l’arte hanno sempre cercato di esplorare il nostro cuore di tenebra, ma anche gli slanci luminosi di cui i nostri cuori sono parimenti capaci. Nel nome dell’amicizia, della pace tra i popoli, del dialogo, del confronto tra culture, Torino sarà a maggio uno dei più importanti luoghi di ragionamento e di incontro per chiunque crede che a dischiudersi, nei nostri cuori, possa e debba essere la parte luminosa. Recitava il primo comunicato del Salone 2022. Un messaggio chiaro, inequivocabile, che sentiamo di fare nostro e che ha trovato riscontro proprio tra i corridoi del Lingotto. Compito di chi c’era – ma anche di chi non c’è stato – è ora illuminare i cuori rimasti fuori, quelli ottenebrati dalle disuguaglianze e dalla violenza del nostro tempo.
L’appuntamento, come sempre, è alla prossima edizione (18-22 maggio 2023), forse con un nuovo direttore o, forse, con una codirezione che sarà passaggio di consegne. Speriamo in mani valide e preziose come quelle di Nicola Lagioia.