Cronaca di un successo annunciato. Si potrebbe raccontare così la trentunesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, conclusasi con la piena soddisfazione di editori, autori, addetti ai lavori ma soprattutto dei lettori. Appassionati provenienti da ogni parte d’Italia e che hanno vissuto, per cinque intensissimi giorni, una città sabauda che profumava di carta, inchiostro, ma soprattutto di storie. Quelle raccontate dai grandi autori del panorama internazionale e dai tanti scrittori esordienti, o in cerca di una vetrina prestigiosa, che hanno potuto dire la loro grazie a piccole virtuose case editrici che continuano – nonostante la crisi e la piaga dell’editoria a pagamento – a investire sul libro come mezzo di comunicazione e non come semplice oggetto da esporre in bacheca o lasciare sul comodino.
I numeri di questa trentunesima edizione sono importantissimi: circa centocinquantamila presenze, con un’utenza più che mai variegata. Dagli scolari di ogni età, ai lettori onnivori in cerca di novità editoriali, senza dimenticare quelli che approfittano delle fiere per fare incetta di libri scontati. Inoltre, le lunghe e piacevoli code per assistere agli incontri con gli autori. In questo caso, sugli scudi la colonia partenopea che conquista pubblico e critica: dai big Maurizio De Giovanni e Roberto Saviano, agli intramontabili Erri de Luca e Diego De Silva, passando per Lorenzo Marone, sempre più in ascesa, Serena Venditto, narratrice napoletana appena entrata nella scuderia Mondadori – in seguito a una lunga gavetta in una casa editrice indipendente (Homo Scrivens) – o Fortunato Cerlino che, dopo esser stato uno dei protagonisti della serie tv Gomorra, esordisce come narratore.
Ma questa è stata pure una manifestazione estremamente social. Si è perso il conto dei blogger – provenienti da tutti Italia – che hanno costantemente aggiornato i followers su incontri, acquisti o, semplicemente, hanno realizzato selfie e foto per trasmettere attraverso la rete l’entusiasmo che ha pervaso il Lingotto, la struttura che, stando alle parole del Sindaco Chiara Appendino, resterà a lungo la casa del Salone Internazionale del Libro.
Discorsi politici a parte, l’evento è stato un’autentica vittoria per la comunità. Un popolo, quello italiano, che in barba alle statistiche – quattro o poco meno i libri letti mediamente ogni anno – desidera confrontarsi con le major della letteratura ma vuole pure guardarsi intorno scommettendo su titoli che, chissà, un giorno potrebbero diventare best seller.
Il lungo post con cui il direttore artistico dell’evento Nicola Lagioia ha raccontato il Salone appena conclusosi va letto con grande attenzione. Non si fraintendano le parole dello scrittore pugliese. Il suo non è un j’accuse contro altri eventi editoriali. È la constatazione di una vittoria, frutto di un gioco di squadra, di un lavoro mirato a creare una rete e dell’importanza di entrare, ad esempio, nelle biblioteche o nelle scuole per lanciare un messaggio: il Salone del Libro non appartiene solo alla città di Torino. A fruire di questa manifestazione è un’intera nazione, una comunità che estende i propri confini anche al di là del territorio italico. La dimostrazione sta nei numerosi ospiti provenienti dai quattro continenti, uniti dalla soddisfazione di aver partecipato a una fiera del genere. Perché – come dichiarato dall’autore Björn Larsson – la parola Salone trasmette un’idea di sofisticatezza che non è di questo evento. Qui c’è entusiasmo e desiderio di divertirsi grazie ai libri.
In conclusione, questa trentunesima edizione si è congedata tra sorrisi e lacrime di gioia. Tra arrivederci all’anno prossimo e il desiderio di esportare altrove eventi del genere. Non per mettere i bastoni tra le ruote alla squadra che organizza il Salone torinese, ma perché non c’è cosa che unisca di più del piacere della lettura.