La crisi agostana è giunta al capolinea: dopo settimane con gli occhi puntati prima verso il Papeete, poi in direzione del Parlamento – mentre qualcuno voleva farci credere che l’uno contasse più dell’altro–, siamo finalmente arrivati al verdetto secondo cui il governo giallo-rosso probabilmente si farà, scusandoci sin da subito con chi rabbrividisce nel veder accostato il colore del socialismo al PD. Volge al termine, dunque, la crisi dei luoghi atipici, partita dalle spiagge romagnole e terminata su Rousseau.
Già, perché dopo settimane di consultazioni, tavoli tra delegati dei rispettivi partiti, accordi e programmi, la giornata di ieri ci ha visto attendere l’esito della contesa tra 5 Stelle e dem sulla piattaforma online utilizzata dai grillini. Ma cos’è Rousseau? Attenendoci esclusivamente ai comunicati dell’associazione omonima, la Casaleggio Associati ha gratuitamente sviluppato la piattaforma di voto telematica per il MoVimento nel 2016 affidandone la gestione, appunto, al collettivo fondato da Gianroberto e Davide Casaleggio, che oggi la presiede.
Le consultazioni di ieri, enfatizzate dai vertici dell’associazione, hanno coinvolto 79.634 militanti grillini, di cui 63.146 (79.3%) hanno votato a favore della nuova soluzione di governo, mentre 16.488 (20.7%) si sono espressi in senso contrario. «Record storico di democrazia diretta», ha brindato, raggiante, Luigi Di Maio. E il punto su cui dibattere, a nostro avviso, è proprio questo: il primo partito per seggi in Parlamento va orgogliosamente sostenendo che Rousseau sia il mezzo tramite il quale dare sempre l’ultima parola ai cittadini, rendendo così i parlamentari dei meri portavoce.
Non siamo, certo, qui ad accreditare le tesi di coloro che sostengono che il sito web in questione sia manipolato da oscure forze, giacché – al netto di vari e prevedibili attacchi hacker – non vi sono prove che attestino tali retropensieri. D’altra parte, non ce la sentiamo neppure di accodarci al coro di chi vede nel sistema di voto utilizzato dai pentastellati l’ultimo baluardo di democrazia, che li renderebbe migliori degli altri partiti. Andrebbe ricordato, a tal proposito, che quella italiana è ancora, e a tutti gli effetti, una repubblica parlamentare in cui ogni cittadino è chiamato a esprimersi per mezzo di elezioni al fine di delegare i propri rappresentanti alle Camere, il cuore della democrazia. Una volta eletti, è loro dovere rappresentare il popolo, legiferare e controllare l’attività di governo, tenendo fede – si spera – a quanto promesso in campagna elettorale, questioni spesso delicate riguardanti l’interesse pubblico e su cui, certamente, non tutti i cittadini avrebbero pari facoltà di decidere, altrimenti si potrebbe optare per interrogazioni ad alzata di mano e tutto risulterebbe anche più sbrigativo.
Facili ironie a parte, come si può accettare in un sistema così preciso e complesso che i rappresentanti, dopo aver ricevuto la delega dagli elettori, si rivolgano nuovamente loro per prendere decisioni, per di più restringendo la cerchia degli aventi diritto soltanto a poche centinaia di miglia di iscritti alla suddetta piattaforma? A voler essere maliziosi, si potrebbe pensare che la base venga interpellata al fine di deresponsabilizzare la leadership da problemi sui quali manca il coraggio di esporsi.
Andando a riavvolgere il nastro dei mesi scorsi, per le ultime consultazioni online, infatti, Luigi Di Maio si è rivolto ai suoi in merito a questioni come quella sul caso Diciotti, per la quale il partito non si è assunto la responsabilità di concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini o di farla cadere. Allo stesso modo, all’indomani del tracollo delle Elezioni Europee, il capo politico del MoVimento ha rimandato ancora una volta alla piattaforma il responso in merito al ruolo all’interno del gruppo per il solo gusto di consolarsi con un’acclamazione popolare e restare saldamente al suo posto. Da non sottovalutare, poi, è come questo sistema di voto vada al di là di ogni prerogativa costituzionale e abbia, inoltre, messo a repentaglio la nascita del prossimo esecutivo. Per onore d’#honestà, forse, sarebbe stato più corretto interpellare gli iscritti sin dall’inizio sulla possibilità che, una volta usciti dal voto dello scorso 4 marzo senza una maggioranza assoluta, il M5S potesse trattare con il PD come con qualunque altra forza politica. Così facendo, invece, si è andata creando una situazione di stallo anzitutto in capo al Presidente della Repubblica che, in caso di vittoria del no al quesito online, si sarebbe ritrovato l’incaricato Giuseppe Conte (Bis) – a fronte di tutto l’iter istituzionale che ha portato Mattarella a conferirgli un nuovo mandato – al Quirinale a sciogliere negativamente la riserva.
Per lo stesso criterio, sarebbe, inoltre, curioso capire quali siano i parametri per cui ci si affida o meno agli elettori colorati di giallo e stelline: perché la stessa consultazione non è stato richiesta in merito alla riconferma di Conte come Presidente del Consiglio, attenendosi, invece, alla volontà del solo Beppe Grillo? Perché non ci si è rivolti alla rete anche sulla questione del TAV? Se, come molti dicono, l’elettorato Cinque Stelle è formato per lo più da delusi del centrosinistra, perché questi non sono stati chiamati a votare sui due decreti sicurezza? O sul TAP?
Immaginiamo se, da domani, i pentastellati, coerentemente con se stessi – cosa difficile da credere – invocassero ogni tre per due il responso di Rousseau, avremmo un Paese legato al clic di 100mila persone non elette da nessuno e che nessuno conosce. Per questo, ai cari grillini andrebbero ricordati i giorni in cui si sgolavano ribadendoci il ruolo dei parlamentari, il loro lavorare e il conseguente stipendio da guadagnarsi attraverso responsabilità e fatica: ecco, lavorate, provate l’ebbrezza di prendere le decisioni da soli, soprattutto quelle più difficili, e lasciate perdere i vostri militanti liberi di vagare per la rete senza il peso di questioni per cui si sono già espressi chiusi al riparo di una cabina.