Richard Avedon, nato a New York nel 1923, era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la vita dei suoi soggetti. Nel corso della sua carriera ha immortalato pose, atteggiamenti, acconciature, vestiti e accessori come elementi vitali e rivelatori di un’immagine. La fotografia era qualcosa in cui lui riponeva piena fiducia, piegando a suo piacimento le regole, le “tecniche”, per raggiungere quello specifico scopo stilistico o narrativo.
Questa arte è entrata molto presto a far parte della vita di Avedon. Infatti, all’età di dodici anni, Richard si è unito al club fotografico della Young Men’s Hebrew Association. Ma soltanto quando si è unito alle forze armate, nel 1942, durante la Seconda guerra mondiale, ha capito appieno quanto quest’arte fosse impressa nella sua vita: «Il mio lavoro era fare fotografie di identità. Devo aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo», ha dichiarato.
A ventidue anni, ha iniziato a lavorare come fotografo freelance soprattutto per Harper’s Bazaar. Non potendo usare subito uno studio per scattare, Richard Avedon ha immortalato modelli e moda per strada, ma anche sulla spiaggia, nei locali notturni, al circo e in luoghi assolutamente non comuni impiegando quell’intraprendenza e inventiva che sono poi diventate un carattere distintivo della sua arte. Grazie all’aiuto di Alexey Brodovitch, sua guida, è diventato in tempi brevi il fotografo principale della rivista.
Harper’s Bazaar è stato un trampolino di lancio per il fotografo di New York: Avedon ha infatti lavorato per Vogue per più di vent’anni, poi nel 1992 è diventato il primo fotografo del The New Yorker e con i suoi ritratti ha contribuito a ridefinire l’estetica della rivista. Nel frattempo, le sue foto di moda sono apparse quasi esclusivamente sulla rivista francese Égoïste. Ma il suo lavoro di definizione del marchio e le lunghe associazioni con Calvin Klein, Revlon, Versace e dozzine di altre aziende hanno portato ad alcune delle campagne pubblicitarie più famose della storia americana. Progetti che hanno permesso alla fotografia di Richard Avedon di esplorare passioni culturali, politiche e personali.
Sono noti anche i suoi ritratti del movimento americano per i diritti civili, la guerra del Vietnam e un celebre ciclo di fotografie di suo padre, Jacob Israel Avedon. Nel 1976, per la rivista Rolling Stone, ha prodotto The Family, un ritratto collettivo dell’élite di potere americana al momento delle elezioni del bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985 ha lavorato a lungo su commissione dell’Amon Carter Museum of American Art, producendo infine lo spettacolo e il libro In the American West.
«Una foto è una frase, magari un paragrafo, ma non può essere un capitolo», ha detto Avedon ma, seppur la fotografia possa immortalare soltanto quel preciso attimo, che è nulla paragonato a una vita intera, quelle poche “frasi” sono in grado di rivelare verità nascoste assai in profondità. La fotografia, per lui, è stata un mezzo attraverso il quale fosse possibile rivelare ciò che non si vede.
Irving Penn, altro grande della materia, ha definito Richard Avedon un sismografo proprio per sottolineare la grandissima energia che traspare da ogni suo lavoro. Gideon Lewis, assistente di Avedon per più di vent’anni ha detto: «Ogni giorno con lui era un premio, non importa quanto fosse faticoso o divertente il lavoro. Trasmetteva a tutti la sua ossessione per l’eccellenza, ma anche una saggezza del quotidiano che semplificata la vita di tutti. Diceva sempre che non esiste alcun problema senza soluzione».