Le graduali riaperture delle attività commerciali e gli spostamenti tra le regioni disposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi – previsti dal prossimo 26 aprile – hanno lasciato spiazzata gran parte dell’informazione e, non meno, l’opinione pubblica. Dalla prossima settimana, infatti, il progressivo e auspicato ritorno alla normalità comincerà a prendere forma attraverso le misure che, di seguito, andremo ad analizzare.
Dal lunedì successivo alla Liberazione verranno ripristinate le zone gialle, tra le quali saranno anche consentiti gli spostamenti senza alcun vincolo. Via libera, dunque, alla circolazione delle persone anche al di fuori dei confini della propria regione (finalmente!), con la possibilità di oltrepassare i confini anche tra zone arancioni o rosse purché in possesso di un certificato che attesti di aver già avuto accesso alla vaccinazione, di aver effettuato un tampone con esito negativo entro le 48 ore precedenti al viaggio o, anche, di essere guariti dal Covid.
Contestualmente, riapriranno tutte le scuole di ordine e grado (in zona rossa, però, solo fino alla terza media) e torneranno ad accogliere i propri clienti anche bar e ristoranti, purché muniti di posti a sedere all’aperto. Lo stesso criterio verrà, infine, utilizzato anche per lo sport e gli eventi culturali.
Insomma, una vera e propria rivoluzione se comparata alle condizioni di zona rossa o arancione che l’intero Paese affronta, ormai, da mesi e che costringono le persone a provvedimenti probabilmente giusti ma sicuramente ambigui, con le forze dell’ordine deputate ai controlli completamente incapaci di far rispettare le normative in essere – talvolta apparse in balia del menefreghismo di troppi – e famiglie e amici separati da residenze in Comuni diversi che vedono, invece, concessi i voli verso l’estero per le vacanze di chi può permettersele.
Dal primo maggio, poi, daranno il bentornato al pubblico anche gli stadi, gli stabilimenti balneari, via via fino a giugno-luglio, quando un regime più o meno di normalità dovrebbe essere ripristinato in tutto il Paese. Il condizionale, mai come in questo caso, è d’obbligo. Difficile, infatti, non tener conto dei numeri che, ancora, l’Italia fa registrare ogni giorno. Soltanto ieri, oltre 12mila sono stati i nuovi contagiati e 251 i morti, con una media di oltre trecento decessi giornalieri che non si riesce a frenare.
Il Premier Draghi ha parlato delle riaperture come di un rischio calcolato. Calcolato male, gli ha prontamente replicato il Dott. Massimo Galli, preoccupato – come gran parte della comunità scientifica – del ritorno in aula degli studenti e del naturale calo dell’attenzione da parte delle persone dal momento in cui sarà loro consentito di poter mangiare nuovamente seduti l’uno di fronte l’altro.
Alle perplessità espresse dalla maggioranza dei medici non si può non sommare l’ancora claudicante campagna vaccinale (che ha finalmente fatto segnare le 350mila somministrazioni giornaliere nello scorso weekend), l’incidenza dei dati delle terapie intensive del 7% oltre la soglia d’allarme e il tasso di casi positivi su 100mila abitanti ancora alto (182/100mila contro i 50/100mila considerati tracciabili).
Cos’è giusto fare, dunque? La risposta, ovviamente, non è affar semplice e non sarebbe corretto unirci a un coro qualunque, che si tratti di quello più possibilista di un ritorno alla normalità – pur senza passare per aperturisti indiscriminati – o che ci si voglia schierare con i rigidi sostenitori del no alle riaperture. La risposta, come spesso è accaduto nel corso di questo ultimo anno, sta nel ricorso al buonsenso. Ma politica e cittadini, nessuno escluso, hanno ampiamente dimostrato di non essere capaci dell’unica regola che non presenta mai controindicazioni.
In un recente articolo scrivevamo: A leggere i dati quotidiani e, ancor più, a essere spettatori di una giornata qualunque di vita cittadina, è chiaro che l’unico fattore incidente sulle restrizioni vigenti è, di fatto, il buonsenso di chi sente il dovere di rispettarle. […] Ma per quanto ancora il buonsenso di pochi potrà determinare la linea di galleggiamento tra il limbo e l’oblio?.
Con le recenti, annunciate riaperture, Draghi ha deciso di prendersi la responsabilità di offrire risposta a questa domanda. Pressato da una condizione economica del Paese ormai pietosa, da alleati di governo che manifestano come fossero ancora all’opposizione, e da impellenti occasioni di introito, il Premier ha rotto gli indugi e sfidato il virus a un gioco che tanto somiglia a una puntata d’azzardo, un’ammissione di incapacità del Parlamento a offrire soluzioni e risposte che non minino all’equità dei diritti, come invece accaduto a Pasqua e anche prima.
A malignare – e con questa classe politica non si va mai troppo lontani dal centrare la verità – si potrebbe dare gran parte dei meriti di questa accelerata verso le riaperture (se di meriti si potrà parlare: staremo a vedere i dati, o a contarli…) alla UEFA, che aveva appena minacciato Roma di portar via la partita inaugurale dei campionati europei di calcio se lo stadio Olimpico non fosse stato in grado di accogliere almeno 18mila spettatori.
Così, la politica del controsenso non ha avuto più scuse per rimandare e, soprattutto, per chiedere sacrifici a chi avrebbe visto – da qui a poco più di un mese – quasi 20mila ricchissimi privilegiati accaparrarsi un biglietto della gara d’apertura dell’Europeo. Così, nell’onore della migliore tradizione italiana, il pallone ha dettato la linea, il calcio ha inciso sul quotidiano di tanti, dagli artisti che potranno tornare a organizzare i concerti, ai fuorisede di poter far ritorno a casa.
Se il prezzo che già stiamo pagando sarà quello giusto lo decideranno politica e società civile con i comportamenti che assumeranno nei mesi a venire. Oltre 115mila decessi non sono valsi correttezza e rispetto. Chissà qual è il costo previsto, chissà qual è la soglia oltre la quale il sonno di chi ne avrà e ne ha già deciso le sorti comincerà a farsi nervoso… Chissà che a sperare abbiano sempre ragione loro non si finisca per decidere di cambiare. Stavolta davvero.