Diventano sempre più intensi, più frequenti e più aggressivi, gli attacchi al corpo femminile. Oltre alle violenze e agli stupri, anche gli occhi si fanno colpevoli di reato e persino la moralità, a volte, diventa abuso.
Non è più una novità l’usanza di diffondere senza autorizzazione materiale privato e personale da parte di terzi, soprattutto quando si tratta di star e personaggi in voga. Ma è amaramente usuale anche per chi, nel piccolo della propria quotidianità, affida la riservatezza del proprio corpo a uomini livorosi che vendono il privato per ripicca. Si tratta di revenge porn, quella pratica, coercitiva o semplicemente vendicativa, che viola l’intimità. Rientrano nella categoria sia la pubblicazione sia la minaccia di pubblicazione a scopo di estorsione di scatti o video che mostrano le vittime in attività sessuali o pose sessualmente esplicite senza, ovviamente, il loro consenso.
Il caso più noto in Italia è quello che ha riguardato Tiziana Cantone, una donna napoletana che, in seguito alla diffusione di alcuni video privati, ha posto fine alla sua vita, diventando uno tra i più discussi casi di cronaca, dando una triste spinta affinché la legge si adeguasse alle nuove minacce del mondo moderno. La condivisione di materiale intimo e personale non comporta solo una violazione della sfera privata: il costante giudizio degli altri trasforma il corpo e le sue pratiche in una vergogna e l’abuso subito da parte di un vendicatore si trasforma in molteplici abusi da parte degli attivi spettatori.
Negli ultimi anni, sono state rese pubbliche foto private, rubate, di moltissime persone. Di spettacolo e non, però, si tratta quasi sempre di donne. Scavalcando l’inviolabile sfera del privato, il corpo, quell’area vulnerabile, quel luogo inviolabile da proteggere dalle sempre più frequenti angherie, diventa un’arma con la quale ricattare, violare e giudicare. Per questo, quella contro il revenge porn è diventata una proposta di legge in attesa di voto. Lo scorso aprile, la Camera dei Deputati ha approvato un emendamento al disegno di legge Codice Rosso, introducendo un nuovo reato nella categoria violenza sulle donne. La pubblicazione o condivisione di immagini a contenuto sessuale senza il consenso delle persone rappresentate sarà punibile con la reclusione. Finalmente, si inizia a dare più peso a un reato tanto grave quanto sottovalutato. Come sempre, quando si tratta di diritti delle donne.
Fresca la notizia dell’ultima vittima, l’attrice Bella Thorne. Il ricatto all’ex ragazza Disney, famosissima sui social e molto seguita dai giovani, minacciava di dare in pasto ai follower alcuni scatti rubati dai suoi account privati. Ma la giovane, in seguito alle intimidazioni, ha deciso di reagire, invece di aspettare inerme che il suo ricattatore compiesse il delitto. Ha reso note lei stessa, sui suoi profili pubblici, le foto rubate. L’impavido gesto, tuttavia, non poteva non incontrare le critiche di un pubblico mai soddisfatto. Puntualissimi i giudizi di chi ha fatto notare che la scelta non doveva esserle costata molto, dato il tipo di foto sul suo profilo Instagram, ugualmente – a loro parere – scottanti. Critiche da parte di chi sembra aver dimenticato che l’intimità non è fatta solo di pelle nuda e pose accattivanti, ma anche di consenso. Quel concetto, troppo spesso ignorato, che preclude da epiloghi più lieti le vittime di violenza sessuale.
Pubblicare la propria intimità, pur di non essere ricattati e di non cedere a un sistema che tenta costantemente di mortificare le donne, nei loro corpi e nella loro morale, è un atto intrinseco di coraggio. Ogni donna reagisce a modo proprio e non ci sono reazioni uguali. Ma ognuna, a un certo punto, è costretta a reagire, per difendersi da un mondo in contraddizione che vuole donne oggetto, ma di angelica pudicizia, che non esita a sbirciare le foto hackerate, ma che urla poi all’oltraggio al pudore. Che sia troppo coperto o troppo scoperto, che ci sia troppa pelle nuda o che ce ne sia troppo poca, la critica, per ogni donna, è dietro l’angolo. Specchio di una società tremendamente indecisa.
Se tutti smettessero di utilizzare il corpo come arma e la moralità come legge, se tutti evitassero di dare un’occhiata a quelle – troppe – foto rubate, forse l’abuso farebbe meno male, e anche chi ci prova gusto smetterebbe di tentarlo. Per ora, continuiamo a vivere in un mondo confuso, che critica chi va in spiaggia in topless e chi ci va con il burkini, dimenticando che la libertà è scelta. Un mondo in cui la nudità resta un motivo per attaccare, con le taglienti lame della moralità, chi del proprio corpo fa ciò che vuole.