Il quadro economico e sociale dell’Italia è definito eccezionalmente complesso e incerto nel Rapporto annuale ISTAT alla metà del 2020. Con lo tsunami socio-sanitario provocato dalla pandemia da COVID-19, il PIL ha mostrato un crollo congiunturale del 5.3%, che va a sommarsi al rallentamento già registrato l’anno scorso. L’inflazione negativa, la diminuzione della forza lavoro e la caduta del tasso di attività costituiscono gli elementi basici della situazione del Paese che segna un forte calo dell’economia, che sarà parzialmente recuperata l’anno prossimo.
L’Istituto nazionale di Statistica è l’ente pubblico di ricerca che si occupa dei censimenti della popolazione, delle attività dell’industria, dell’agricoltura e dei servizi del sistema-Paese e redige periodiche indagini sullo stato socio-economico delle famiglie italiane. Il Rapporto annuale 2020 è stato presentato il 3 luglio scorso a Palazzo Montecitorio da Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’ente, alla presenza del Premier Giuseppe Conte, del Presidente della Camera Roberto Fico e delle alte cariche dello Stato.
La coesione e il forte senso civico mostrati dalla maggioranza della popolazione durante il lockdown e la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, ci informa il rapporto, ha permesso alle persone di sopportare le restrizioni dedicandosi in modi alternativi alla quotidianità delle relazioni sociali. Tuttavia, alla congiuntura economica internazionale già sfavorevole del 2019 si sono sovrapposte le misure necessarie al contenimento della crisi sanitaria nella prima parte dell’anno in corso. Il risultato è rappresentato da una recessione globale, senza precedenti storici per ampiezza e diffusione.
Il Prodotto Interno Lordo, in effetti, nella media del 2020, è in caduta dell’8.3%. La ripresa è prevista nella parte finale dell’anno e innescherà un effetto di trascinamento positivo sull’intero 2021, con un ritorno, sempre in media annua, a una crescita in positivo del PIL del 4.6%. Intanto, la crisi pandemica – e questo è un punto centrale dell’intero rapporto – ha colpito una situazione sociale già caratterizzata da forti e crescenti disuguaglianze, soprattutto per le fasce socio-economiche più deboli, mentre per i più giovani sono ancora diminuite le probabilità di mobilità e ascesa sociale.
Nel 2020, in effetti, il mercato del lavoro ha visto una riduzione di 124mila occupati (-0.5%) a marzo, più che raddoppiata ad aprile (-274mila, -1.2%), mentre i dati relativi alla forza lavoro segnalano che i lavoratori in CIG (Cassa Integrazione Guadagni) nel mese di aprile sono stati quasi 3.5 milioni. E quasi un terzo degli occupati, sempre nello stesso periodo, circa 7.9 milioni, non ha lavorato. Per i giovani, la mobilità verso il basso si tradurrà nei prossimi anni in un effetto downgrading: il 26.6% dei figli, in termini più semplici, rischia un declassamento rispetto ai propri genitori, così come non era mai successo nei precedenti storici della nazione.
Durante il lockdown, inoltre, c’è stato il ricorso allo smart working, il lavoro da remoto attraverso i computer e gli altri dispositivi tecnologici che ha permesso di svolgere, con un’incerta continuità dipendente dalla natura e dalla pratica delle diverse professionalità, il lavoro da casa a più di 4 milioni di occupati. Un caso a parte, drammatico e decisivo, è invece costituito dal comparto sanitario, dove l’emergenza ha sconvolto, in tempi strettissimi, la quantità e le modalità del servizio prestato. Un evento che probabilmente ridisegnerà l’organizzazione del lavoro anche nel prossimo futuro o perfino nel lungo periodo. La paura del contagio ha limitato la domanda ordinaria delle prestazioni, limitando la programmazione degli interventi elettivi, nella preoccupazione, tuttavia, di non far mancare l’accesso e lo svolgimento degli interventi non differibili, come quelli nel settore oncologico.
Il rapporto ISTAT si sofferma anche su aspetti come quello della natalità in calo, ritenuto un indicatore sociale non soltanto della paura e dell’incertezza – economica, lavorativa ed esistenziale – attuale, ma che riguarda il futuro del sistema-Paese. La rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-COVID, con una previsione di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021. La fecondità, comunque, è in calo da almeno dieci anni a fronte di un pur elevato desiderio di maternità e paternità presente nei progetti di vita del modello familiare italiano.
La situazione complessa e incerta descritta, infine, rischia di allargare la forbice economica e sociale già presente nella penisola, che penalizza da sempre le fasce deboli della società, in particolare i giovani e le donne e soprattutto – fin troppo facile da prevedere perché il fenomeno già esiste – quelli che vivono nel Sud del Bel Paese. La forte coesione sociale sottolineata dal rapporto ISTAT 2020, assieme ai nodi critici e strutturali da individuare per la possibile ripresa economica non possono bastare, sia ben chiaro, per evitare l’inasprimento delle disuguaglianze e le possibili conseguenze. Come ha paventato, in questi giorni, la Ministra degli Interni Luciana Lamorgese, per esempio, riflettendo sul rischio concreto di tensioni sociali in autunno, quando saranno visibili e complessi gli esiti della grave crisi economica in atto.