Alla presentazione del Rapporto 2020-2021. La situazione dei diritti umani nel mondo (Infinito Edizioni), l’organizzazione non governativa Amnesty International ha dichiarato che la crisi pandemica da COVID-19 ha messo in evidenza la tremenda eredità costituita da politiche volutamente divisive e distruttive che hanno perpetuato disuguaglianze, discriminazione e oppressione: le stesse politiche che in passato hanno aperto la strada alla devastazione prodotta dal virus. L’analisi è contenuta nel documento sullo stato e le tendenze globali nel campo dei diritti umani, articolato in cinque panoramiche regionali – Africa Subsahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa e Asia Centrale, Medio Oriente e Africa del Nord – e in schede di approfondimento su 149 paesi del mondo.
Come sempre accade nel tempo delle emergenze, sono stati i gruppi più vulnerabili – tra i quali ci sono i rifugiati, le donne e gli anziani – a subire le conseguenze più devastanti della crisi. Un esempio tra i più drammatici dell’emergenza planetaria è evidente nell’impatto che la pandemia ha avuto sui rifugiati e i richiedenti asilo, intrappolati in aree critiche di diversi paesi, anche a causa del rafforzamento dei controlli di frontiera. Perfino uno Stato ospitale come l’Uganda, che accoglieva quasi un milione e mezzo di rifugiati, all’arrivo del coronavirus ha chiuso le frontiere e oltre 10mila persone sono rimaste abbandonate al confine con la Repubblica Democratica del Congo, escluse, quindi, da servizi di assistenza e di cura.
L’aumento della violenza di genere e della violenza domestica, denuncia il rapporto AI, costituisce un altro esempio avvilente dell’aggravarsi della disumanità ereditata dalle politiche pubbliche del passato pre-pandemico. Donne e persone LGBTQ+, a causa delle limitazioni di movimento, sono state ostacolate nel denunciare le violenze subite e nella ricerca di protezione a causa della sospensione dei servizi di soccorso e sostegno.
A fronte della crisi economica, perfino i sistemi socio-sanitari e gli operatori del settore che hanno dato tanto alle comunità, con il loro sacrificio e quello delle loro famiglie, sono stati colpiti. Gli “eroi” dei momenti più acuti della pandemia hanno subito restrizioni all’esercizio delle proprie attività in molti paesi dove il loro contributo lavorativo, peraltro, era già stimato a un basso livello retributivo.
In Italia, per fare esempi sui temi indicati e più vicini nello spazio e nel tempo, le autorità hanno assunto decisioni sbagliate che hanno aumentato il rischio di contagio da COVID-19 per gli anziani nelle case di riposo, mentre i lavoratori non hanno avuto a disposizione i DPI (dispositivi di protezione individuale) e i test. L’accesso di rifugiati e migranti al territorio italiano, inoltre, è stato ridotto con gravi limitazioni dei loro diritti durante il lockdown. Nello stesso periodo, i casi di violenza domestica sono aumentati.
La nuova segretaria generale di AI, Agnès Callamard ha affermato che viviamo in un mondo in preda al caos, dove sono aumentate le disuguaglianze all’interno degli Stati e tra gli Stati e ha sottolineato l’incredibile disprezzo che i nostri leader manifestano per la nostra comune umanità. Il rapporto AI, infatti, descrive bene il mancato rispetto dei diritti umani durante la crisi pandemica, come fenomeno che costituisce, al tempo stesso, la pre-condizione strutturale, lo stato delle cose in atto e, purtroppo, anche la tendenza allarmante per il futuro prossimo. Il fallimento delle politiche pubbliche dei leader del sistema globale, insiste la portavoce francese, è stato caratterizzato dall’opportunismo e dalla mancanza di solidarietà, perché i governanti del mondo hanno semplicemente usato la pandemia come un’arma per attaccare i diritti umani.
In diverse aree del pianeta sono state fatte leggi per criminalizzare le critiche alle azioni governative adottate per contrastare la crisi socio-sanitaria. Il Premier ungherese Viktor Orbán ha introdotto nel Codice Penale provvedimenti con pene fino a cinque anni di carcere per la diffusione di notizie false sulla pandemia. Provvedimenti analoghi sono stati prescritti dall’Arabia Saudita, dal Bahrein, dagli Emirati Arabi Uniti, dal Kuwait e dall’Oman, soprattutto per i commenti critici sui social, limitando di fatto, ancor più di prima, il diritto alla libertà d’espressione. In altri paesi, invece, si è arrivati all’uso eccessivo della forza nei confronti di chi protestava durante i periodi di lockdown. Dalle Filippine alla Nigeria fino al Brasile governato da Jair Bolsonaro, ci sono state centinaia di persone uccise dalla polizia o dalle forze di sicurezza locali. In altri Stati, come India e Hong Kong, vi è stato l’inasprimento della repressione politica e sociale contro gli attivisti della società civile, trattati come terroristi.
Neanche gli organismi di controllo, come il Tribunale penale internazionale e gli osservatori delle Nazioni Unite, sono riusciti a fronteggiare la repressione in atto perché anch’essi, ci spiega Agnès Callamard, sono finiti in uno stallo politico per colpa di leader che hanno cercato di compromettere e di approfittare delle risposte collettive alle violazioni dei diritti umani. Gli interessi nazionali hanno preso il sopravvento in nome della salvaguardia degli affari interni e della sicurezza nazionale e hanno bloccato la cooperazione internazionale nella risposta alla pandemia. Anche paesi ricchi come gli USA di Donald Trump hanno mostrato insofferenza nei confronti della solidarietà globale e la Cina guidata da Xi Jinping ha censurato gli operatori sanitari e dell’informazione che volevano lanciare l’allarme all’inizio della crisi sanitaria.
Il Rapporto 2020-2021 di Amnesty International – nell’anno in cui si celebrano i 60 anni di attività dell’organizzazione in favore dei diritti umani nel mondo – ci informa, per fortuna, anche sulle importanti vittorie conseguite dagli attivisti nell’ultimo anno, soprattutto in merito alla violenza di genere. È accaduto in Corea del Sud, Kuwait e Sudan, con nuove leggi per contrastare la violenza contro le donne, mentre in Argentina, Corea del Sud e Irlanda del Nord l’aborto non è più considerato un crimine.
Le politiche di regresso morale, sociale e culturale hanno motivato in positivo molte persone, che hanno seguito i movimenti Black Live Matters negli Stati Uniti, contro il razzismo nei confronti degli afroamericani, e le proteste #EndSARS, contro torture e altri crimini commessi dalla polizia in Nigeria. I movimenti di protesta sono stati presenti anche in maniera virtuale, infine, sulla rete globale. Sono state le persone comuni, come ha confermato la Callamard, a indicare la direzione per un mondo migliore, più sicuro e più equo, basato sui principi dell’eguaglianza e del rispetto dei diritti umani.