Raffaello Sanzio, nato a Urbino nel 1483, fu probabilmente il pittore più completo, celebre e amato del Rinascimento. Talento straordinario, senso squisito dell’ordine armonico e dell’equilibrio formale, raccolse i frutti della tradizione quattrocentesca, delle conquiste, proprie e altrui, e fu in grado di fonderli in una visione unitaria, assolutamente completa.
Il percorso stilistico del maestro appare ben articolato in tre momenti distinti, tre fasi di sviluppo: il periodo umbro, fino al 1504, riguardò la sua prima formazione e il suo esordio, l’esperienza fiorentina, dal 1504 al 1508, che gli permise di arricchire la sua cultura e infine l’attività romana, dal 1508 al 1520, che prese forma attraverso vari stadi, dal pieno trionfo della sua arte matura ai primi sintomi di una precoce stanchezza.
Il periodo giovanile lo vide apprendista innanzitutto alla scuola del padre Giovanni Santi e poi sotto la tutela di Evangelista di Piandimeleto. Per Raffaello, però, il primo vero maestro fu il Perugino. Tutta la sua produzione iniziale reca la viva impronta della pittura di quest’ultimo, della quale il giovane allievo andò a sviluppare con grande coerenza le tendenze all’armonia compositiva e alla semplificazione formale. Tracce che sono ben visibili nella Resurrezione, nella Crocifissione Mond e nell’Incoronazione della Vergine.
La mano di Raffaello, già in questi primi dipinti, si dimostra sicura, i motivi e le forme tipiche del Perugino sono come purificati nel disegno e nel colore, una naturalezza di racconto che già rivela la particolare inclinazione del giovane artista per la pittura di storie. Il punto di arrivo di questa prima fase del maestro, nella quale perfezionò l’arte del Perugino, è la pala dello Sposalizio della Vergine, in una composizione accentrata dove il tempietto funge da perno e non più da sfondo della rappresentazione grazie alla perfetta resa prospettica in cui sia lo spazio che le figure circolano con libertà e si dispongono su curve concentriche e in gruppi perfettamente simmetrici.
Nell’ottobre del 1504 Raffaello si recò a Firenze, dove proprio in quegli anni l’arte tornava a vivere una breve ma intensa stagione per la presenza soprattutto di Leonardo e Michelangelo. Un mondo talmente ricco e nuovo, quello toscano, dove acquisire un’esperienza tale da poter disorientare l’ingegno più pronto. Il grande maestro, tuttavia, riuscì a non abbandonarsi a tutte queste suggestioni e a selezionare con saggezza le esperienze che gli tornavano più congeniali. Ogni nuovo elemento, conquista e arricchimento sembravano trovare nella sua arte una sistemazione precisa, una funzione chiara che pareva seguire un ordine quasi prestabilito di armonia formale creando un’ardita innovazione. Al suo periodo fiorentino vengono generalmente assegnati alcuni piccoli dipinti tra cui San Giorgio, Sogno del Cavaliere, Le Tre Grazie e altri. Agli stessi anni appartengono la Madonna Connestabile e la Dama con l’unicorno, numerose invece sono le serie di Madonne col Bambino e San Giovannino. Proprio in questa fase, l’artista nativo di Urbino creò quel tipo di bellezza femminile che unì in sé la grazia del Perugino e il sottile animismo di Leonardo, dall’aspetto devoto e soavemente umano.
Diventato ormai un artista affermato e rinomato, Raffaello fu chiamato a Roma nel 1508 da Giulio II risultando poi l’anno successivo stipendiato come pittore di palazzo con l’incarico di dipingere o ridipingere le quattro stanze destinate ad abitazione privata del Papa. La decorazione di queste aree fu sicuramente l’impresa più impegnativa per il maestro che si risolse con la più alta affermazione del suo genio artistico. Un ciclo grandioso, complesso, condotto in molti anni con interruzioni e riprese, in cui non fu seguito l’ordine di successione delle quattro stanze. Con incredibile chiarezza, Raffaello riuscì a dare alla rappresentazione un valore di vera e propria azione storica narrata con serena obiettività. Le figure risultano pienamente equilibrate tra loro in una perfetta fusione di disegno e di colore, concepite individualmente, quasi isolate, ma allo stesso tempo animate da un’incredibile mimica nei gesti e nelle espressioni.
Nel 1514 Leone X, succeduto a Giulio II, riconoscendo gli straordinari meriti artistici del maestro, lo nominò architetto della nuova fabbrica di San Pietro, sostituendo il Bramante che morì in quel periodo. Un incarico davvero importante, al quale si aggiunse l’anno successivo anche la nomina a soprintendente alle antichità romane con il compito di eseguire una pianta monumentale della Roma antica. L’incredibile arte di Raffaello, però, si manifestava soprattutto nella pittura e furono tantissime le opere che ne esaltarono sempre più la maestria. La sua ultima opera, Trasfigurazione, anche se reca ancora il fascino irresistibile della sua mano, fu un quadro giudicato incoerente stilisticamente parlando e mancante di un’unità compositiva per la sovrapposizione di due episodi distinti: in alto la Trasfigurazione di Cristo e in basso la Guarigione dell’Ossesso.
Raffaello morì all’età di trentatré anni, nel 1520, proprio quando la sua maestria stava iniziando la progressiva conquista dell’Italia e dell’Europa. La sua importanza nella storia dell’arte è senza dubbio pari a quella di Giotto o di Masaccio, pur avendo essa stupito il mondo per la sua perfezione e non per la novità apportata. Il pittore fu un felicissimo interprete della cultura, amato e ammirato sin dall’inizio della sua carriera, diventando in vita l’idolo di una schiera innumerevole di seguaci, papi, principi, umanisti, poeti e letterati. La sua fu un’esistenza breve, intensissima, conclusasi in appena due decenni di attività con una delle più ricche e feconde esperienze della storia dell’arte europea.