Mondi apparentemente distanti, quello latinoamericano e quello europeo, oggi più che mai tornano a essere contigui, si toccano, arrivano persino a compenetrarsi. Vediamo perché.
Innanzitutto diciamo per quale motivo il Venezuela porta questo nome. L’appellativo gli fu storicamente attribuito da Amerigo Vespucci che, navigando sulla costa settentrionale del Sud America insieme ad Alonso Ojeda nel 1499, osservò le costruzioni degli Indios su palafitte di legno fuori delle acque, le quali ricordarono allo stesso Vespucci la città di Venezia e lo ispirarono nell’attribuire il nome di Venezziola o Venezuola ai territori esplorati. Più tardi, il termine che nell’italiano del tempo aveva il significato di piccola Venezia fu spagnolizzato e trasformato in Venezuela. Che il nome del Paese significhi piccola Venezia, dunque, non è ininfluente o un fatto puramente simbolico nel contesto di guerra civile che si è venuto a creare nella terra di Chavez, in quanto sta a ricordare a tutti noi, nonché ai nostri governi, che il secondo ceppo etnico residente sul territorio sudamericano in questione resta comunque quello italiano e questo non può lasciarci indifferenti sia sul piano strategico che su quello economico.
Il Venezuela è membro dell’O.P.E.C. e possiede una delle riserve petrolifere più prodigiose al mondo. Insieme ai Paesi del Golfo Persico non ha ancora raggiunto il picco estrattivo, cioè il livello delle estrazioni in atto è ancora in fase ascendente, e Maduro, in linea con i dettami propri del chavismo della prima ora, ha pensato bene di ricondurre tutte le operazioni di estrazione, distribuzione e commercializzazione del greggio sotto l’egida protettiva dello Stato. Ha dunque nazionalizzato il petrolio, consapevole del fatto che i dazi USA, primi importatori dell’oro nero proveniente dalla piccola Venezia sudamericana, non potranno mai avere affetto sulle capacità esportatrici del Venezuela, se non in chiave controproducente per gli stessi Stati Uniti.
In altri termini, Maduro sta astutamente tentando di imporre il suo prezzo nelle esportazioni verso un gigante a stelle e strisce che pensava di poterle incondizionatamente dominare, ritrovandosi invece a esser dominato. Di fatto, sta denudando il re, comunicandogli senza mezze misure che la politica energetica venezuelana sarà condotta in yuan e non più in dollari. Esattamente come Gheddafi tentò di fare ipotizzando, in maniera ancora più radicale, la costruzione di un sistema bancario panafricano totalmente autonomo – sganciato sia dal dollaro che dall’euro –, per un controllo totale del prezzo delle esportazioni del Continente Nero, liberando in tal modo anche i quattordici Paesi C.F.A. dalle pressioni transalpine, prima di essere ucciso da Francia e Inghilterra, con l’aiuto degli USA e anche dell’Italia, la quale, dopo avergli baciato le mani, non seppe difenderlo in funzione dei propri interessi economico-energetici che, nonostante tutto, il nostro Paese ancora esercita in Libia attraverso la solida presenza dell’ENI, vero e forse unico autore della politica estera dello Stivale.
E, invece, ¿qué pasa en Europa? Dove Francia e Germania ad Aquisgrana, sempre più orfani delle attenzioni finora ricevute da parte dello Zio Sam, si auto-incoronano nuovi imperatori sul trono che fu di quel Carlo Magno ormai senza neanche una tomba in cui rivoltarsi? L’accordo, pur essendo poco più che simbolico, nega la natura solidale del Vecchio Continente dei padri e urla forte e chiaro al resto dei popoli comunitari e ancor di più a quello francese e tedesco – in vista delle elezioni di maggio – che in Europa comandano loro. Insomma, mentre in Italia si tenta ancora di dar seguito a un improbabile piano A, vociferando nel frattempo di inapplicabili piani B, l’ariete franco-prussiano varca la soglia dell’indecisione e impone l’unica legge che vale nei rapporti diplomatici tra gli Stati, ovvero quella del più forte. Intanto, per non correre il rischio di doversi smentire, l’attuale governo italiano, come al solito e forse per fatale indirizzo strategico, caratterizzante una terra di mezzo com’è la penisola in cui viviamo, non si sbilancia e prova maldestramente a stare con due piedi in una scarpa, senza cioè assumere una posizione netta né per Maduro né per il nuovo Obama in salsa latina che di nome fa Guaidó, nonostante i recenti richiami di un Capo dello Stato sempre attento a non farci fare passi falsi verso direzioni non gradite a chi comanda.
Il quadro inizia dunque a farsi un po’ più chiaro, in un contesto di ingerenze contrapposte tra i grandi poteri occidentali da un lato e le grandi oligarchie russo-cinesi dall’altro. La piccola Venezia del Sud America si è tramutata, suo malgrado, nel centro dei nuovi interessi strategici planetari intorno a cui se per un verso cadono accordi storici sul disarmo nucleare tra Russia e USA, simultaneamente emergono e si confermano nuove superpotenze come la Cina, con cui costituire nuovi partenariati a tre per il controllo globale dei traffici commerciali e dei popoli, mentre l’Europa, mai esistita, getta quel che rimane della sua maschera di fango e prova a parlare, in un consesso internazionale così ridisegnato, con la voce di un sedicente padrone (zoppo) dal sound gallo-germanico.
Insomma, con la rinascita del Sacro Romano Impero datata 22 gennaio 2019, emerge il vero volto totalitario di una bestia geopolitica che abbiamo fino a oggi ingenuamente identificato con quello ben più nobile di un’antica principessa il cui nome finì per coincidere con un continente tutto da rifare da parte di una sinistra fatta però di servitori anziché di servi disposti a salire su qualunque sia la nave del presunto vincitore di turno per farla definitivamente affondare nel mare dell’incoerenza e delle nuove dittature che questa alimenta.
In definitiva, la domanda a cui il caso venezuelano impicca le coscienze di tutti noi è: un popolo potrà mai liberare se stesso da gabbie d’animali elettrodomestici? Sì, sosteneva Francesco Guccini in una sua canzone del 2004 dedicata al Che, ma a patto che l’avanguardia d’America sia disposta a fare dei sacrifici verso il cammino lento della piena libertà. Lo stesso cammino che Fidel cercò di indicare al popolo dell’Angola quando, nel 1975, inviò truppe dell’esercito rivoluzionario cubano per aiutare gli angolani a liberarsi dal giogo del neo-colonialismo di De Gaulle e il suo Stato Maggiore, con la piena connivenza di quella stessa comunità internazionale che oggi vorrebbe provare a trasformare il Venezuela in una sorta di nuovo, probabile Vietnam. ¿Yo soy Maduro, y tu?