Nel Paese in cui più di qualcuno si chiederà perché sia proprio una donna a scrivere di calcio, negli ultimi giorni si discute di pallone e diritti. Un fatto nuovo, piuttosto inedito, come inediti sono i primi Mondiali autunnali, quasi invernali, della storia dello sport più popolare tra gli italiani.
Parliamo di Qatar 2022, una vergogna internazionale che, da queste parti, imbarazza solo ora che l’azzurro, nel deserto di Doha, sarà a malapena quello del cielo. Prima, nella fase di qualificazione, ai Mondiali ci volevano andare tutti. Pure i giornalisti che adesso invitano a boicottarli. Oggi, che l’assenza di Mancini e compagni brucia in modo concreto, gli scandali, le storture, gli abusi diventano di colpo visibili. Vergognosi. Eppure non sono nuovi. Eppure qualcuno, sin dalla loro assegnazione, ha provato a denunciarli. Nessuno ha ascoltato. Oggi, copriamo quelle voci con il nostro sdegno. Lo sdegno di chi non partecipa e non per scelta.
La prima volta in un Paese arabo e l’ultima di un torneo a trentadue contendenti non registra, da appena qualche ora, tutto lo schifo dinanzi al quale ci troviamo. Assegnati a discapito degli Stati Uniti d’America, infatti, i Mondiali di calcio 2022 furono affidati al Qatar nel lontano 2010, quando Presidente della FIFA era lo svizzero Joseph Blatter – lo stesso che oggi definisce quella scelta un errore perché il Qatar è una nazione troppo piccola e il calcio è troppo grande per quel Paese. Un’assegnazione inaspettata a cui fece seguito, nel 2015, la squalifica ai danni dello svizzero – 47 capi d’accusa tra cui associazione a delinquere, frode telematica e riciclaggio di denaro – e il processo conclusosi la scorsa estate al fianco del Presidente UEFA Michel Platini, il principale promotore qatariota.
A lui e al Presidente Nikolas Sarkozy si deve la famosa cena all’Eliseo, nel novembre del 2010, in presenza anche dell’emiro Tamim bin Hamad al-Thani, che è poi stata al centro di un’indagine per corruzione. A lui l’ex FIFA imputa la colpa della Coppa del Mondo nel deserto. Quello che Blatter non dice, però, è il modo in cui si è arrivati a Qatar 2022, tramite un metodo che lui stesso ha favorito sin dal suo esordio nei massimi organismi calcistici.
Non molti sanno che la Fédération Internationale de Football Association nasce nel 1904 come agglomerato di sette associazioni calcistiche europee dilettantistiche e senza scopo di lucro per preservare e divulgare valori di aggregazione, passione e rispetto dei principi che dovrebbero essere alla base dello sport. Ancora oggi, ovunque, negli spot televisivi come sui cartelloni pubblicitari a bordocampo, la parola RESPECT lampeggia mentre sugli spalti i tifosi sono autorizzati a urlarsi di tutto, spesso a fare anche di peggio. Il passo da organizzazione senza scopo di lucro a soggetto geopolitico ben definito ha, però, una data ed è il 1974, quando il capitalismo entrò nel gioco del calcio.
In quell’anno, infatti, Sepp Blatter fu chiamato al fianco di João Havelange dando inizio a una vera e propria svolta politica ed economica: a sostegno dei progetti FIFA, all’epoca insostenibili, infatti, Blatter contattò Coca-Cola in qualità di partner ufficiale e poco dopo Adidas – che ne avrebbe poi acquistato i diritti relativi al marketing, alla pubblicità e a tutto ciò che competeva l’area commerciale della Federazione, anche in questo caso non senza scandali. Da allora, alcuni tra i più importanti brand si sono avvicinati al calcio, entrandoci e riscrivendone le regole.
Nel 1978 arrivò, quindi, il controverso Mondiale argentino segnato da Videla e i desaparecidos, i dissidenti del regime che venivano fatti scomparire nel Río de La Plata. Anche all’epoca si parlò di boicottaggio e di violazione dei diritti umani. La FIFA venne meno ai suoi ideali, ma non per questo fallì. Piuttosto, comprese che se il calcio fosse diventato prodotto – e ormai, già svenduto, lo era –, avrebbe attratto per forza di cose anche la politica. Quindi, altri soldi. Quindi, Francia 1998, il ritiro di Havelange, la scalata al trono di Blatter e la promessa/conquista dei Mondiali in Africa se la Confederazione continentale gli avesse permesso di ricoprire la carica più alta.
Dopo lo scandalo, Gianni Infantino, attuale Presidente della Federazione, dichiarò che la FIFA era diventata tossica, un ente criminale. Eppure, da Waka Waka a Qatar 2022 non sembra essere cambiato molto. Se non qualche subdola modalità, meno rumorosa di una vuvuzela, ma altrettanto fastidiosa.
L’attribuzione dei Mondiali al Paese di al-Thani è, infatti, oggetto di tre inchieste giudiziarie per corruzione in Svizzera, Stati Uniti e Francia. Un evento che va oltre lo sport e che rappresenta, per Doha, l’opportunità imperdibile di mostrarsi al mondo in tutta la sua grandeur. Ma su cosa si basa questa grandezza? Petrolio, gas, soldi. Tutti motivi per cui il calcio (l’Occidente) si inginocchia al sultano. Poco importa il metodo con cui questi imporrà la propria leadership: «In FIFA – ha detto Infantino – non impartiamo lezioni morali».
Sarebbe interessante chiedergli, a tal proposito, cosa pensa delle inchieste del Guardian o di quelle di Amnesty International, se anche la loro è moralità o tutela dei diritti umani. Se 6500 lavoratori morti per la costruzione degli impianti che dal 20 novembre ospitano la manifestazione sportiva più importante siano una lezione da non impartire o il prezzo maggiorato della finale di dicembre. Una stima che sappiamo essere al ribasso.
In questi anni, da Bangladesh, India e Nepal soprattutto, sono arrivati fino a un milione settecentomila migranti (oltre il 90% della forza lavoro), impiegati per la costruzione dei sei nuovi stadi faraonici – più due rimodernati – e altre grandi infrastrutture quali metropolitane, strade, aeroporti e persino la città artificiale di Lusail. Gli emiri, insomma, non si sono risparmiati dal punto di vista della spesa, ma hanno sacrificato capitale umano, diritti e dignità.
Le condizioni di vita dei lavoratori, infatti, sono impietose. Alloggi angusti, sporchi, per niente sicuri. Uomini stipati su letti a castello in stanze per otto o più persone anche se, ufficialmente, la legge qatariota e gli standard di benessere dei lavoratori consentono un massimo di quattro brande per camera, vietano la condivisione dei giacigli e l’uso degli stessi letti a castello.
I migranti sono arrivati in Qatar sotto il ricatto di false promesse da parte degli agenti di reclutamento dei loro Paesi di origine, in particolare per ciò che concerne gli stipendi – ovviamente sovrastimati o, spesso, ritardati di molto. Fattori rivelatisi poi disastrosi: gli operai non sono in grado di acquistare cibo, inviare denaro alle famiglie o effettuare pagamenti su prestiti legati all’assunzione. Molti sono spinti sull’orlo della disperazione.
Potrebbero o avrebbero potuto andarsene, direte voi. Invece, i datori di lavoro – o padroni che dir si voglia – non hanno mai fornito o rinnovato loro i permessi di soggiorno, anche se tenuti a farlo. Sprovvisti di documenti, i migranti possono essere incarcerati o multati. Così, in tanti non hanno mai nemmeno lasciato i cantieri, con la paura di essere scoperti nell’illegalità. Come se non bastasse, per viaggiare al di fuori del Paese arabo è necessario un permesso di uscita che si ottiene su approvazione della compagnia per la quale si lavora. Questo, per i dipendenti di Qatar 2022, non è mai stato rilasciato. Addirittura, sono stati sequestrati i passaporti.
Come scrive Amnesty International, quando la FIFA ha deciso di far svolgere le gare della Coppa del Mondo in Qatar sapeva – o avrebbe dovuto sapere – dei rischi intrinseci nell’ospitare il torneo lì, a causa della forte dipendenza del Paese dai lavoratori migranti e del grave sfruttamento che essi devono affrontare.
La FIFA ha la chiara responsabilità di agire quando i lavoratori dei progetti connessi allo svolgimento della Coppa del Mondo sono a rischio di sfruttamento sul lavoro e deve usare la sua influenza per sollecitare il Qatar a proteggere adeguatamente tutti i lavoratori migranti. In tutta risposta, invece, Infantino ha invitato i partecipanti a concentrarsi sull’evento sportivo, lasciando fuori dalla porta le polemiche.
Chissà se tra queste rientrano anche i diritti negati alla comunità LGBTQI+ dal momento che l’omosessualità è contro la legge ed è una malattia mentale, come sostiene Khalid Salman, ambasciatore nel mondo di Qatar 2022. Nel Paese, per la flagranza di reato, è previsto il carcere fino a tre anni. Chissà se tra le polemiche rientra il diritto alla vita negato ai cani randagi che le associazioni animaliste denunciano essere stati uccisi per non turbare la sensibilità dei turisti. C’è poi la polemica ambientale, quella secondo cui per rendere giocabili i Mondiali nel cuore del deserto serviranno 10mila litri d’acqua a partita e impianti di climatizzazione sempre accesi. Addirittura, la polemica dei finti tifosi: voli, biglietti, alloggi gratuiti per i supporter provenienti da tutto il pianeta e persino un po’ di denaro da spendere tra una partita e l’altra, pur di riempire gli stadi.
Il Ministro del Lavoro del Qatar ha definito la campagna di Amnesty International una trovata pubblicitaria. Eppure a esserlo sono questi Mondiali, un fenomeno di sportwashing che tanto somiglia ad altri tentativi di epoche nelle quali non c’era nessun RESPECT. La stessa operazione di pulizia della coscienza che ha tentato Infantino – «Oggi sono gay, arabo, migrante» – e persino l’Italia, che si scandalizza a parole ma trasmetterà l’intera manifestazione in esclusiva sulla tv di Stato per un giro di affari che si muove intorno ai 200 milioni di euro e, chissà, quanti spettatori.
L’Italia che nel Decreto Missioni approvato il 29 luglio scorso ha ribadito la propria partecipazione ai Mondiali, per il periodo 1 gennaio – 31 dicembre 2022, attraverso la missione bilaterale di supporto alle forze armate del Qatar insieme a un gruppo ristretto di altri Paesi, segnatamente Francia, Regno Unito, USA e Turchia […], con 560 unità di personale militare, 46 mezzi terrestri, 1 mezzo navale, 2 mezzi aerei. Il fabbisogno finanziario della missione è pari a 10.811.025 euro (di cui 3.500.000 per obbligazioni esigibili nell’anno 2023).
La richiesta qatarina di supporto alle attività di difesa del Qatar in occasione dei “Mondiali di calcio 2022” si configura come il naturale corollario e il coronamento di una collaborazione tecnico-operativa e industriale avviata da anni e con grosse potenzialità di sviluppo/opportunità. La missione non ha un termine di scadenza predeterminato.
Per accusare l’Europa che, a sua volta, accusa la FIFA e il Qatar, Gianni Infantino ha parlato di ipocrisia. Una parola forte, politica più che sportiva, a sottolineare il ruolo d’affari che ricopre la Federazione. Una parola pronunciata dalla persona sbagliata che, tuttavia, ben riassume ciò che Qatar 2022 è: una vergogna per la quale nessuno è esente. Tv, stampa, giocatori, nazionali, politica, spettatori. Che se in Italia diminuiranno, sarà solo per l’assenza della maglia azzurra. Che, ancora una volta, già da domani dimenticheranno i diritti per parlare solo di pallone. Almeno di quello un po’ ci capiscono.
complimenti al giornale ed alla collega Flavia Fedele
Grazie, Carlo, per l’attenzione e per i complimenti.