Prima Virginia Raggi poi Giorgia Meloni. La Casa Internazionale delle Donne di Roma è in pericolo e lo è, soprattutto, per colpa di coloro che intende difendere. È di appena un giorno fa il tweet trionfante della leader di Fratelli d’Italia, soddisfatta di aver impedito lo stanziamento di un fondo statale per salvare lo stabile di via della Lungara, per lei un’oscenità.
L’emendamento al Milleproroghe – atteso la prossima settimana alla Camera – avrebbe previsto un contributo di 900mila euro per consentire all’istituto di continuare la sua fondamentale funzione di tutela e supporto. Tuttavia, le Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio, riunite in forma congiunta a Montecitorio e presiedute da Giuseppe Brescia e Carla Ruocco, entrambi pentastellati, l’hanno dichiarato inammissibile, suscitando le proteste dei gruppi proponenti – tra i quali Partito Democratico e Italia Viva – che hanno già presentato ricorso. Di gioia, invece, le reazioni delle opposizioni, capitanate dalla scatenata Giorgia nazionale.
La donna, madre, cristiana d’Italia, infatti, ha subito rivendicato il veto delle Commissioni, definendolo una vittoria del proprio partito che ha così fermato l’ultima oscenità del PD che avrebbe finanziato un’associazione di sinistra che si trova nello stesso collegio nel quale il Ministro è candidato. Il riferimento è al capo del MEF Roberto Gualtieri, neoincaricato a fronteggiare i suoi avversari alle suppletive romane di marzo, vincitore su Federica Angeli, la giornalista che sfidò il clan Spada prima che Ostia facesse rima con mafia per molti dei quotidiani nazionali e per la magistratura stessa. Una donna, nemmeno a farlo apposta. Non si usano le istituzioni per comprare consenso, ha continuato la Meloni, insinuando – ma non troppo – che quella del Partito Democratico avrebbe voluto essere una vera e propria marchetta.
In risposta a Fratelli d’Italia e, ancor più al diniego giunto nella giornata di giovedì, è intervenuto però Marco Di Maio, il capogruppo IV in Commissione Affari Costituzionali alla Camera, definendo la dichiarazione di inammissibilità una decisione grave che contraddice tante dichiarazioni sulla necessità delle politiche di genere che però al momento di passare all’atto pratico vengono tradite: «Una decisione, tutta politica, ancora più grave alla luce del fatto che si tratta di un’istituzione che si adopera per aiutare le vittime di violenza».
Il bene ospitante la Casa Internazionale delle Donne è del Comune di Roma, ma da tempo è protagonista di un contenzioso proprio con quest’ultimo. Nell’ambito degli sfratti a 5 Stelle alle associazioni morose, infatti, ha ricevuto la revoca della convenzione, mobilitando non solo le attiviste, ma l’intera società civile che da mesi manifesta per salvaguardare il centro propulsore di cultura e di consapevolezza. La cittadinanza capitolina teme, infatti, di vedersi privare di un luogo unico che da più di trent’anni opera sul territorio con uno sguardo sempre attento sul mondo. Un laboratorio dove si coniuga la politica di genere, si accolgono donne vittime di violenza e si sostiene chiunque sia in difficoltà. Dunque, un centro di accoglienza, di incontro e di valorizzazione dei diritti che rischia di chiudere i battenti per un debito con Roma Capitale che nulla ha fatto per tentare una mediazione.
A denunciarlo è il direttivo della Casa che sostiene di aver presentato una proposta di transazione nel dicembre del 2018. Dal Campidoglio, però, non è mai arrivato un cenno. Il debito che si intende riscuotere ammonta a circa 800mila euro, una cifra grossa che le attiviste hanno chiesto di rateizzare o di abbattere del tutto nel riconoscimento dei crediti che hanno con il Comune. Sottolineano, infatti, che circa 600mila euro sono stati versati nella casse romane, senza contare le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dello stabile situato nel complesso monumentale del Buon Pastore in passato adibito a reclusorio femminile: «Hanno rifiutato di accettare la valutazione della precedente giunta e, se accettassero, il debito scenderebbe a 300mila euro e sarebbe più semplice organizzare una rateizzazione. Oggi il canone annuo è di 88mila euro: fatichiamo a pagarlo, al momento riusciamo a darne circa la metà», ha dichiarato Francesca Koch. «Abbiamo presentato una serie di proposte, ma per quattro mesi non abbiamo avuto più notizie dal Campidoglio». Ciononostante, il 17 settembre scorso allo stesso indirizzo è stato fatto recapitare un invito con richiesta di incontro urgente al Sindaco Raggi, anche questo conclusosi con il più classico dei visualizzati senza risposta.
Un silenzio interrottosi, però, nella serata di mercoledì quando, sempre con un tweet, la Prima Cittadina romana ha dichiarato di aver salvato la Casa Internazionale delle Donne: Abbiamo trovato una soluzione in Parlamento grazie a un emendamento condiviso tra M5S e le altre forze politiche. Le donne unite fanno la differenza. Una vittoria di tutti. No, una grande sconfitta.
Il messaggio social, infatti, è partito ancor prima che la misura fosse discussa, generando confusione e nervosismo soprattutto nelle dirette interessate. Tu da che parte stai? è la domanda che da due giorni rivolgono proprio a Virginia Raggi ricordandole delle mancate risposte e, anche, della schizofrenia a 5 Stelle: «In nome della legalità hanno fatto un deserto, perché forse avranno rispettato la legge ma al contempo avranno creato altri conflitti sociali». E sebbene dal Campidoglio – lo stesso che chiede conto a un’associazione che opera senza scopo di lucro, sopperendo alle mancanze di uno Stato tanto chiacchierone quanto inconcludente, ma lascia che i partiti neofascisti occupino abusivamente i suoi edifici –, fanno sapere che non hanno alcuna intenzione di chiudere la Casa Internazionale delle Donne, un’ipotesi che non è mai stata presa in considerazione, i fatti sembrano confermare il contrario. A ribadirlo, Cristina Grancio, capogruppo del Misto in Assemblea capitolina: «Un’amministrazione isterica che passa dalla chiusura totale del dialogo all’esultanza per un possibile salvataggio di cui indebitamente vorrebbe prendersi il merito. La questione si trascina irrisolta da troppo tempo e sull’argomento, in questi ultimi anni, l’amministrazione a 5 Stelle che governa la città si è distinta solo per immobilità».
Un’immobilità che rischia adesso di ripercuotersi su fin troppe vite. Quelle delle attiviste, impegnate a lottare per l’autodeterminazione delle donne, per la libera scelta sulla salute riproduttiva, contro qualsiasi forma di sessismo e razzismo, la criminalità organizzata e la giustizia ambientale ma, anche, a sostegno della produzione artistica femminile e la gestione di un ristorante, una segreteria organizzativa, una foresteria e un centro congressi. Quelle delle circa 30mila donne che ogni anno, dagli anni Ottanta, vi si rivolgono per cercare ascolto, trovandovi sorelle, madri, amiche, un sostegno psicologico e legale, familiare, uno sportello gratuito sulla menopausa, un aiuto anche per i loro bambini. Quelle delle studentesse e degli studenti che possono recarvisi per approfondire le proprie conoscenze grazie alla storicità del luogo, patrimonio europeo del pensiero femminista. Le vite di tutte noi che se la Casa Internazionale delle Donne non esistesse ci sentiremmo più sole e insicure, più vulnerabili e indifese, intrappolate in una società che non ci tutela, che ci vuole nell’ombra, che vede nella nostra difesa l’ennesima opportunità politica.
Le elezioni battono le donne, dunque. La campagna elettorale vince sui diritti. Giorgia Meloni, forse, non ha tutti i torti. Eppure anche lei è una donna. Anche lei vive nel Paese del femminicidio perpetrato ogni tre giorni. Anche lei ha denunciato un uomo per stalking. Anche lei è stata e sarà ancora vittima soltanto per il sesso indicato sulla sua carta di identità. Anche lei è madre. Anche lei è figlia. Anche lei avrà dovuto fare mille passi indietro. Soltanto uno avanti, però, potrebbe salvare la Casa Internazionale delle Donne, la sua reputazione e ognuna di noi.