Giugno non significa solo caldo e aperitivi ma anche Pride. Eccoci, dunque, al mese dell’orgoglio (inteso come fierezza) LGBTQ+, che celebra l’amore, le battaglie combattute negli anni dalla comunità, i diritti, i traguardi ottenuti e quelli per cui ancora si sta lottando.
Perché proprio giugno è ormai risaputo: è in questo mese che sono avvenuti i Moti di Stonewall (1969), i quali sancirono l’inizio del movimento di liberazione omosessuale dopo che diversi esponenti si erano ribellati ai continui soprusi della polizia newyorkese (a dare inizio alla rivolta sembra sia stata Sylvia Rivera, attivista transgender che scagliò il primo colpo lanciando una bottiglia contro un poliziotto).
Le manifestazioni più iconiche di questo orgoglio sono le famosissime parate che ogni anno le varie città organizzano. E, precisiamolo, è Pride, non Gay Pride – come un tempo lo chiamavano – poiché si preferisce un termine più inclusivo verso le varie realtà queer. Insomma, momenti di unione, solidarietà, festa e gioia ma soprattutto di sensibilizzazione. Parliamo di anni di celebrazioni, articoli, discussioni che per non saperne niente bisognerebbe soltanto abitare sotto a un sasso. Eppure, c’è ancora chi, nel 2022, presenta inossidabile le stesse repliche. Fanno le ragnatele al primo fiato e non basterebbero tutti i meme del mondo di Robert Downey Jr che solleva gli occhi al cielo. Quindi, poiché penso che l’essere umano debba agire per evoluzione e non per involuzione né per stallo, è il caso di appuntarci alcune delle questioni più in voga, così da fugare una volta per tutte ogni dubbio. Partendo da quella che mi diverte e devasta allo stesso tempo.
E allora perché non facciamo anche l’Etero Pride?
Queste sono le stesse persone che l’8 marzo si domandano indignate perché non esista anche la festa dell’uomo (per dire, esiste ed è il 19 novembre ma non serve un genio per capire perché se ne parli poco). A meno che non abbia rimosso dalla memoria tutte le discriminazioni, violenze, mancanze di diritti, vessazioni e abusi vari nei confronti degli eterosessuali nella storia, trovo molto difficile che si possano equiparare le due realtà. Quella LGBTQ+ è definita minoranza e per una vita è stata considerata, sulla scala sociale, pari a zero o meno. Una malattia da curare, un’erbaccia da estirpare. Uno scempio. Bisognerebbe comprendere, invece, quanto si è fortunati a non averlo un Etero Pride. In conclusione, chiunque dovesse sentire il bisogno di rivendicare i diritti di una determinata comunità è libero di prendere il microfono in mano e lanciarsi. Vediamo poi dove atterra.
Ma non capite che così sembra una carnevalata e perde tutto il suo senso?
Carnevalata: quante volte abbiamo sentito questa parola? In riferimento ai costumi sfarzosi e variopinti, si tende a credere che questo tipo di eccessi snaturi il senso della manifestazione. Ma non è così. La comunità LGBTQ+ vuole gridare non sussurrare, vuole farsi notare non scorgere, dopo che da sempre è risultata invisibile. Il Pride è un evento per rompere le regole sociali che impongono come essere e apparire. È festa, energia, divertimento e anche eccesso, perché insieme si combatte e si festeggia, nel pieno della libertà, in ricordo delle provocazioni fatte apposta durante le prime parate. E, poi, esistono tantissimi eventi tutto l’anno dove il clima è più serioso e meno goliardico ma di cui i media parlano poco o niente. Perciò, l’ultima cosa di cui la comunità ha bisogno, dopo che per anni le è stato imposto cosa fare e come essere, è di chi, senza informarsi e dall’alto del suo privilegio, le dica qual è il modo giusto per manifestare. Seriamente.
Oggi ci siamo evoluti, a che serve manifestare ancora?
Per quanto ci possa essere stata evoluzione nel corso della storia, siamo purtroppo ben lontani da una reale parità di diritti e libertà. Aggressioni, terapie riparative, atti di intimidazione e violenze fisiche e verbali sono all’ordine del giorno. Ma niente parla meglio dei fatti.
Secondo i dati dell’UNAR (Ufficio Antidiscriminazione della Presidenza del Consiglio), ogni due giorni in Italia viene denunciato un caso di omolesbobitransfobia e una persona queer su cinque ha subito discriminazioni sul lavoro. Avere rapporti non eterosessuali è illegale in settanta Paesi. In Bangladesh, alle Barbados, in Guyana, Uganda, Sierra Leone, nel Qatar e in Zambia il rischio è il carcere a vita. In Afghanistan, Arabia Saudita, Brunei, Iran, Iraq, Mauritania, Pakistan, Sudan e Yemen l’omosessualità è punita con la pena capitale. A dicembre 2021, il matrimonio ugualitario era permesso solo in 32 Paesi del mondo. In Italia, il solo ricordo dell’applauso del Senato dopo aver affossato il Ddl Zan mi provoca disgusto. Il Pride è per le leggi e i diritti negati, per tutte le discriminazioni nostrane e quelle anche più gravi nel resto del mondo. Non è un caso che in molti Paesi come Russia, Arabia Saudita, Uganda e Turchia i Pride siano del tutto vietati.
Ok la festa, ma che senso hanno tutti quei riferimenti sessuali e la nudità?
Stiamo parlando di persone che vengono discriminate sulla base di cosa scelgono di fare a letto e chi scelgono con cui andarci. Accidenti se c’entra il sesso! Non è l’orientamento sessuale che definisce una persona ma se la società mi fa notare quotidianamente il contrario allora glielo faccio notare anche io e a modo mio.
Il Pride è un movimento nato anche come liberazione sessuale e per questo vi pone l’accento. Ci ricorda che il sesso fa parte della vita, che è di tutti e per tutti e non c’è da vergognarsi nel parlarne e nel farlo. Ci ricorda che si è fieri del proprio corpo, in particolare nel caso delle persone transessuali e che non esistono donne e uomini di serie B. Ci ricorda che la comunità leather (estimatori dell’abbigliamento sessuale in pelle, per dirla in termini spiccioli) fu tra le prime a combattere contro l’AIDS e i governi sordi. Ci ricorda chi ancora oggi muore se la sua condotta sessuale non rientra nelle norme sociali e il suo corpo non rientra nei modelli imposti.
Perché vai al Pride se sei etero?
Sembrerà incredibile ma sto per fare un’importante rivelazione: non serve far parte di una certa comunità per supportare i diritti della stessa, se la causa si ritiene giusta. Meglio ribadire che, anzi, è molto importante che chi non rientra nella comunità LGBTQ+ sia presente e faccia sentire la propria voce. È una voce che fa più rumore.
Così come per gli uomini e il femminismo, la credibilità data dalla società a chi si trova dall’altra parte è, purtroppo, superiore, perché dimostra di agire oggettivamente e non solo in quanto è la tua causa. Perché stare in silenzio di fronte alle discriminazioni solo perché non riguardano te direttamente non è mai giusto. Perché quel privilegio che hai è un potere. Fortunatamente, specie negli ultimi tempi, dei cosiddetti alleati il Pride è pieno e questa unione non può che alimentare il sentimento di immensa solidarietà che dovrebbe appartenere a qualsiasi essere umano. A prescindere da genere e orientamento sessuale.
E dopo due anni di assenza a causa della pandemia, l’emozione di celebrare il Pride è ancora più forte. In Italia, hanno già dato il loro contributo le città di Bergamo, Cremona, Pavia, Monza, Cuneo e Torre Annunziata, sfilando il 4 giugno. I prossimi appuntamenti saranno l’11 giugno a Roma, il 12 giugno a Novara, il 18 giugno a Lecco, Parma, Pesaro, Torino, Varese e Livorno; il 25 giugno a Bologna, La Spezia, Perugia, Ragusa e Teramo; il 2 luglio a Bari, Catania, Napoli, Milano e Sassari; il 9 luglio a Brescia, Como, Viterbo e Palermo; il 16 luglio ad Asti, Lecce, Siracusa e Verona; il 23 luglio ad Alessandria e Messina; il 30 luglio a Rimini e Reggio Calabria. Aosta ospiterà il suo primo Pride il 24 settembre.
Temi di quest’anno: il matrimonio egualitario, lo ius soli e la legge contro l’omotranslesbofobia. E, ovviamente, la pace. Buon Pride Month a tutti!