Anche quest’anno ci siamo lasciati alle spalle il Premio Strega. Anche quest’anno, il premio letterario più prestigioso del nostro Paese ci ha lasciato ampio spazio per le riflessioni. Ad aggiudicarsi lo Strega è stato Il colibrì di Sandro Veronesi, che lo aveva già vinto con Caos calmo nel 2006. Per quanto vorremmo gioire e basta, per quanto ci piacerebbe celebrare la letteratura italiana con ingenuo entusiasmo, ci risulta ancora una volta impossibile ignorare il grosso elefante nella stanza. Specialmente quando quell’elefante viene portato sul palcoscenico in maniera piuttosto goffa.
In diretta su Rai 3, il conduttore Giorgio Zanchini ha introdotto con la scrittrice Valeria Parrella, finalista con Almarina, la tematica della “condizione femminile” — gli intellettuali parlano sempre di condizione femminile come se essere donne fosse una specie di malanno incurabile — salvo poi liquidarla su due piedi per parlare di MeToo con Corrado Augias, il cui compito in questa edizione era raccontare i cambiamenti degli ultimi vent’anni. Alla reazione visibilmente infastidita della scrittrice, Augias ha così replicato: «Ha ragione, ma mica tanto. Perché il problema femminile… allora che diritto hanno due persone che si occupano di libri di parlare dei minatori del Sulcis? Che vuol dire… Ci sono dei problemi grandi, sociali, che investono l’intera collettività e l’intera collettività ha diritto e competenza per parlarne. Io non sono una donna, però la condizione femminile mi interessa molto». È un argomento che riguarda tutti e tutti hanno il diritto di parlarne. Quest’affermazione non fa una piega: la parità è un affare collettivo, tutti dobbiamo partecipare per ottenerla. Tuttavia il gesto, l’immagine di questi due uomini che parlano di condizione femminile dandone una loro interpretazione e dando per assodato che quell’interpretazione sia corretta perché pronunciata nel silenzio imposto all’unica voce di donna disponibile è la cartina tornasole di un paese che alle donne non lascia spazio, preso com’è dalla pratica onanistica del mansplaining a tutto spiano. Si poteva affrontare la tematica facendo delle domande specifiche a Parrella sui suoi personaggi femminili durante l’intervista e, poi, lasciare ad Augias il compito di arricchire e ampliare il discorso con le sue osservazioni. Ma non è solo questo a lasciare l’amaro in bocca: quando si vuole dar mostra della propria apertura e del proprio interesse per la condizione femminile si parla quasi sempre di MeToo.
Vero, il fenomeno ha dato avvio a un movimento internazionale che è stato importantissimo per il ragionamento femminista e per il riconoscimento pubblico delle dinamiche abusanti sui posti di lavoro. Coinvolgendo milioni di donne in tutto il mondo, ha spinto la sua battaglia anche molto lontano dal proprio luogo d’origine (il cinema). Forti di quell’hashtag, in tantissime hanno raccontato la loro esperienza con le molestie, portando alla luce, tra l’altro, il dato agghiacciante che tutti conosciamo almeno una donna che abbia subito violenze più o meno gravi nel corso della sua vita. Nonostante la monumentale importanza, però, l’accenno al MeToo com’è stato fatto allo Strega 2020 risulta comodo per diverse ragioni.
Sullo schermo, le immagini scelte per introdurre il movimento erano tutte da proteste avvenute in altri paesi, prevalentemente negli Stati Uniti, dove peraltro il MeToo si è mescolato alla battaglia contro i famigerati Heartbeat Bills che puntavano a impedire l’aborto in parecchi stati per forzare la Corte Suprema a esprimersi nuovamente sulla sentenza storica Roe contro Wade, con la quale l’interruzione volontaria di gravidanza divenne legale in USA. Durante quelle proteste, le donne indossavano i costumi delle ancelle ideate da Margaret Atwood nel suo celebre romanzo divenuto, oggi, una serie tv di successo. Non a caso, il libro che Augias ha consigliato per capire meglio il fenomeno è proprio Il racconto dell’Ancella. Peccato che il romanzo, scritto ben più di vent’anni fa, non sia proprio aderente alla questione MeToo.
Il primo è una distopia che, ogni tanto, diventa pericolosamente simile alla realtà che viviamo. Il secondo è un movimento che ha lavorato sulla consapevolezza delle persone per evitare che questo mondo si trasformi in una distopia per le donne. Una cosa in comune, però, ce l’hanno: sono entrambi sufficientemente lontani – uno è un libro ambientato in un’alternativa teocrazia americana del futuro, l’altro ha avuto origine a Hollywood e non si è fatto alcun accenno a come sia stato recepito da noi. Questo vuol dire che se ne può parlare liberamente, evitando anche l’increscioso imbarazzo di doversi schierare apertamente e, perché no, passarsi una mano sulla coscienza. Si tratta, poi, di un romanzo e di un movimento sufficientemente distanti nel tempo da non risultare problematici e sufficientemente vicini da far sembrare chi ne parla al 100% aggiornato sulle vicende. Il risultato è stato che, pur riconoscendo nel MeToo uno degli avvenimenti più importanti degli ultimi vent’anni, se ne sia parlato come di un evento distaccato nel tempo e nello spazio. Di fatto, è stata azzerata la continuità del movimento con tematiche certamente più impellenti ma meno pop, come il divario retributivo, la difficoltà crescente di accesso all’aborto farmacologico, l’impatto che il coronavirus ha avuto sulle donne madri, la disoccupazione femminile, l’odio di genere, la quasi totale assenza di donne ai tavoli decisionali in Italia.
Durante la manifestazione è stato sottolineato il prestigio dello Strega, rimarcando con orgoglio la presenza di grandi scrittrici nel novero dei vincitori. Su settantaquattro edizioni, a vincere l’ambito premio sono state solo dodici donne. La più recente vittoria, quella di Helena Janeczek nel 2018, è arrivata dopo quindici anni dall’ultimo riconoscimento assegnato a una donna. Sebbene in tempi recenti si sia avvertita una timida inversione di tendenza nel mondo dei premi letterari (oltre a Janeczek, negli ultimi anni ad aggiudicarsi il Campiello sono stati i romanzi di Di Pietrantonio, Postorino e Vinci), le opere scritte da donne sono ancora relegate ai margini, esiliate dal canone letterario. Nei manuali di letteratura italiana, ad esempio, sono quasi del tutto assenti, perpetrando l’antico preconcetto che la vera letteratura sia qualcosa di molto lontano dalla produzione delle scrittrici. Lo constatava Virginia Woolf nel saggio Una stanza tutta per sé all’inizio del secolo scorso e oggi è spesso ancora così.
Il discorso della parità in un contesto come quello della scrittura può essere particolarmente spinoso poiché implica una serie di discussioni sul merito. In molti potrebbero sollevare l’obiezione che l’appartenenza a un genere piuttosto che a un altro non dovrebbe essere un fattore decisionale per l’accesso a un premio. Non dovrebbe, però, rappresentare neppure un fattore discriminante. Come lettori e lettrici possiamo certamente accompagnare il cambiamento già in atto nel nostro mondo culturale: riconoscere il valore della letteratura femminile comprando e leggendo libri scritti da donne, nonostante siano scritti da donne; riempire i silenzi con la voce delle scrittrici, delle intellettuali, delle filosofe e, poi, semplicemente, stare ad ascoltare.
«il gesto, l’immagine di questi due uomini che parlano di condizione femminile dandone una loro interpretazione e dando per assodato che quell’interpretazione sia corretta perché pronunciata nel silenzio imposto all’unica voce di donna disponibile è la cartina tornasole di un paese che alle donne non lascia spazio, preso com’è dalla pratica onanistica del mansplaining a tutto spiano. Si poteva affrontare la tematica facendo delle domande specifiche a Parrella sui suoi personaggi femminili durante l’intervista e, poi, lasciare ad Augias il compito di arricchire e ampliare il discorso con le sue osservazioni». Ma è ESATTAMENTE quello che hanno fatto! Hanno intervistato la Parrella, le hanno fatto parlare dei personaggi del suo libro, dopo c’è stato l’intervento di Augias. La Parrella era lì prima di tutto per parlare del suo libro, com’è giusto che sia e come hanno fatto anche gli altri scrittori. Non era lì per parlare del MeToo, così come Bazzi non era lì per parlare di questioni LGBTQ. Per me, la cosa veramente umiliante (e, forse, anche sessista), è che molte persone, soprattutto molte donne, stanno parlando di Valeria Parrella più per il “siparietto” a fine intervista che per le sue doti da scrittrice e per il suo libro (che magari non hanno manco letto).