Nella serata dedicata alla 45esima edizione dei Premi César, tenutasi il 28 febbraio a Parigi, il protagonista della cerimonia è stato soprattutto il caso Polanski. Al di fuori della Salle Pleyel, ci sono state scene da guerriglia urbana, con scontri tra polizia e più di 200 persone, in gran parte appartenenti a gruppi femministi, che manifestavano tutta la loro rabbia per le 12 nomination assegnate al film J’accuse – titolo italiano L’ufficiale e la spia – del regista Roman Polanski, da tempo accusato di violenze sessuali.
L’86enne cineasta franco-polacco non era presente in sala e mancavano anche il cast e la produzione del film. Da molti anni, Polanski è ricercato dalla giustizia americana in seguito a un procedimento per corruzione di minorenne che risale al 1977 e, di recente, è stato accusato dalla fotografa Valentine Monnier di violenze sessuali, che sarebbero avvenute alla metà degli anni Settanta in Svizzera, quando la donna aveva appena la maggiore età.
A vincere il premio come migliore film è stato Les Misérables (I Miserabili) del regista Ladj Ly, con un racconto cinematografico incentrato sul disagio sociale che si vive nelle banlieue francesi. È stata l’assegnazione del premio per la regia a Polanski, tuttavia, il momento più importante e drammatico della serata perché ha scatenato l’indignazione di molte attrici presenti in sala. Tra loro, anche Adèle Haenel, protagonista de La jeune fille en feu (Ritratto della giovane in fiamme) della regista Céline Sciamma, e bandiera delle contestatrici del Me Too francese, dopo la denuncia per molestie subite da adolescente dal regista Christophe Ruggia. All’annuncio del premio, la Haenel ha lasciato la sala gridando il suo sdegno, insieme ad altre donne dello spettacolo.
L’ufficiale e la spia narra del famoso affaire Dreyfus, la vicenda storica del capitano di origine ebraica – interpretato da un bravo Louis Garrel –, accusato nel 1894 di essere una spia e di aver passato informazioni sensibili ai comandi tedeschi. Condannato all’ergastolo, Dreyfus fu inviato a scontare la pena sull’Isola del Diavolo, ma le prove che avevano portato alla condanna del militare erano, in realtà, inconsistenti, se non addirittura costruite ad arte, nel clima sociale e politico dell’epoca segnato da un forte antisemitismo.
Il celebre giornalista e scrittore Èmile Zola si impegnò in prima persona in difesa del diritto e della verità e con il suo celebre articoloJ’accusechiamò pubblicamente in causa lo stesso Presidente della Repubblica francese. Nel film di Polanski, comunque, il protagonista principale – in accordo con il romanzo di Robert Harris – è l’ufficiale George Piquart (interpretato da un intenso Jean Dujardin), che venne nominato a capo del controspionaggio e cominciò a indagare sulle informazioni passate al nemico tedesco, anche quando ormai il capitano Dreyfus non poteva più operare.
Ma il film sul celebre caso, come abbiamo detto, c’entra solo in parte con il malessere vissuto dai protagonisti in sala alla serata dei Premi César, presentata da Florence Foresti che ha mostrato un grande disagio perfino nell’atto di nominare il regista premiato. In strada, invece, c’erano soprattutto le attiviste dell’associazione Osez le Feminisme a guidare la protesta contro l’impunità del cineasta. L’intera direzione del prestigioso premio per la cinematografia francese, d’altronde, era già sconvolta dalle reazioni critiche scatenate al momento dell’assegnazione delle tante nomination al film.
È dal 1977, quando venne accusato a Los Angeles di violenza sessuale ai danni di una ragazza di 13 anni, che Polanski si sottrae alla giustizia americana ed evita il passaggio nei Paesi dai quali potrebbe essere estradato. Di recente, ci sono state altre accuse di violenze e la reazione del regista, che sostiene che il mondo dell’informazione massmediatica lo abbia trasformato in un mostro. In tutti questi anni, molti nomi famosi del cinema, della società dello spettacolo e della cultura in generale si sono divisi sul caso Polanski. Nel 2018, il cineasta è stato escluso dall’Accademia degli Oscar e, in seguito, alcuni commentatori che ne difendono la figura artistica hanno parlato addirittura di una sorta di maccartismo neofemminista.
Quando nel 2010 il regista fu arrestato in Svizzera, personalità come Woody Allen, Pedro Almodóvar e Martin Scorsese firmarono una petizione contraria al suo arresto, mentre altri personaggi dell’arte e della cultura come Luc Besson, il filosofo Michel Onfray e il leader dei Verdi europei Daniel Cohn-Bendit posero la questione dal punto di vista dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e dell’indipendenza della giustizia da altre considerazioni. L’attrice Adèle Haenel, infine, nei giorni precedenti alla cerimonia di premiazione, aveva affermato che dare un premio a Polanski sarebbe stato come sputare in faccia alle vittime.
Il caso Polanski, ne siamo certi, non finirà qui eil movimento Me Too, partendo dal “dorato” ma per molti versi claustrofobico mondo della società dello spettacolo, continuerà a vigilare sui casi in cui il potere di molti uomini offende la dignità e la libera espressione umana e artistica delle donne, sperando che l’applicazione delle leggi vigenti porti a una reale giustizia, senza che la disponibilità economico-sociale degli indagati – gli ultimi sviluppi del caso Weinstein, purtroppo, ne sono un esempio – influisca, in maniera diretta o indiretta, sull’esito delle vicende giudiziarie in atto.
Il nostro pensiero va, d’altra parte, a tutte quelle donne che vengono molestate per strada, in famiglia e sui luoghi di lavoro e la loro sofferenza non ha alcuna visibilità all’interno della cultura patriarcale ancora dominante, perché le vittime non hanno le capacità economiche e lo spazio sociale che permettano loro di rendere pubblica la condizione di minorità psicologica, affettiva e ambientale nella quale vivono l’esistenza quotidiana.