Giovedì 25 ottobre, Sahle-Work Zewde è stata eletta quarto Presidente dell’Etiopia, sostituendo il suo predecessore, Mulatu Teshome, dimessosi improvvisamente. L’evento è stato accolto come un vero e proprio avvenimento storico, poiché la novella nominata non è solo la prima leader donna della Repubblica Federale Democratica etiope, ma anche dell’intero continente africano.
Nata ad Addis Abeba e trasferitasi in Francia appena diciassettenne per seguire alcuni corsi di scienze naturali, Sahle-Work ha 68 anni. Esperta diplomatica capace di parlare diverse lingue, è stata ambasciatrice per l’Etiopia in diversi Paesi e ha anche ricoperto il ruolo di rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, presso l’Unione Africana. Nel suo discorso di investitura, ha affermato di voler contribuire alla conquista della parità di genere e a mantenere la recente pace instaurata con la vicina Eritrea, dopo ben vent’anni di guerriglie. La sua nomina, approvata all’unanimità da entrambe le Camere del Parlamento, rientra tra i cambiamenti epocali che stanno trasformando l’Etiopia in quest’ultimo periodo. Per di più, è avvenuta a una settimana da quando il neo Primo Ministro ha dato vita a un governo formato per il 50% da donne, alcune delle quali sono a capo di alcuni dei “ministeri chiave”: ad esempio, Aisha Mohammed, ex Ministro delle Infrastrutture, ha assunto la direzione del dicastero della Difesa, diventando la prima, non uomo, a ricoprire questa carica. Invece, Fetlework Gebre-Egzihaber è stata nominata Ministro del Commercio. Per il Premier Abiy Ahmed, infatti, le donne sono meno corrotte degli uomini e per questo aiuteranno a portare pace e stabilità al Paese.
La scelta del Primo Ministro, che detiene un ruolo esecutivo molto più pregnante di quello del Presidente, intende combattere quell’atteggiamento pervaso in tutta l’Africa con il post-colonialismo per cui si tende a emarginare il gentil sesso dai ruoli di potere, tanto nella vita quotidiana quanto in politica. In realtà, negli ultimi anni, in tutto il continente si è cercato di combattere questa tendenza, con la partecipazione femminile nei Parlamenti di diversi Stati che è notevolmente cresciuta. L’elezione di Sahle-Work Zewde è importante, dunque, per lanciare un segnale deciso a un Paese in cui, nonostante le donne rappresentino la maggiore forza produttiva – si registra che ben il 70% del lavoro agricolo venga svolto da loro, che producano il 90% degli alimenti e che il tasso di attività economica che le riguarda sia tra i più alti al mondo (61.9%) –, queste subiscano innumerevoli discriminazioni sia in ambito lavorativo, dove sono costrette a svolgere impieghi poco qualificanti per salari tra i più bassi del pianeta, sia nella vita privata, che le vede spesso costrette a matrimoni precoci e forzati, a sopportare legami poligamici e, quasi sempre, la negazione dell’affidamento dei figli in caso di divorzio. Per di più, per loro non è rara l’impossibilità di fatto – anche se la legge lo consente – di possedere beni, di ricevere un prestito o aprire un conto in banca. Una svolta quasi epocale, quindi, in un territorio dove gli abusi e le violenze sono all’ordine del giorno, dove i membri appartenenti a quello che viene erroneamente denominato sesso debole hanno scarso accesso sia all’istruzione – si conta che solo il 67% delle africane possa seguire corsi d’integrazione primaria e che appena il 51% delle donne con età superiore ai 15 anni sappia leggere – sia alla sanità. La mortalità materna, inoltre, ha un enorme tasso d’incidenza, con ben il 95% dei membri donna di alcuni Paesi costretto a subire la mutilazione dei genitali.
La presenza di una guida femminile del calibro di Sahle-Work Zewde e quella delle altre colleghe in Parlamento, quindi, intendono lanciare un chiaro messaggio: in Africa la parità di genere – effettiva – non è più soltanto un desiderio, ma una concreta azione affinché non ci sia più bisogno di parlare di quote rosa.