Madammes e messier, padroni e servanti, è arrivato tra voi il teatro viaggiante! Noi siamo diretti a Parigi, ma abbiamo interrotto il viaggio per farvi l’onore di farci ammirare anche in questo schifoso villaggio. Potrete gustare le meglio invenzioni, arguzie, cofecchie, grandissimi inguacchi! Scene d’amore, toste emozioni, duelli, morte e cento altri cacchi! Potrete ridere a crepapelle oppure chiagnere a catinelle.
Sostituite “Parigi” con “Napoli” e avrete il vostro show. Non diceva così un grande attore ricciolello nei panni di Pulcinella ne Il viaggio di Capitan Fracassa? No, amici miei, niente nomi stavolta. Stavolta solo eufemismi anonimi. Ma come siamo arretrati in questa città! Tutto il tempo a parlare per aforismi e poesie e frasi fatte, come se stessimo sempre su un palcoscenico! E però, com’è bello quel fondale, eh? Mi pare che si chiami Vesuvio, secondo me la gente non ha capito che è ancora attivo, altrimenti non andrebbe a farsi i selfie a Mergellina per poi postare una foto ’ncopp’ ’a Instagram con l’hashtag #ilovenaples o #osolemiostanfronteate.
Napoli, Napule, Napul’è, mo pure l’internazionale Naples. Tengono tutti in bocca questa parola. E menomale che ci fa schifo, pensate se piacesse a tutti. Aspettate, ci vuole un altro eufemismo, perché sennò mi sento male ed esco fuori dal personaggio napulegno standard: Io so questo: che i napoletani oggi sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg e i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Avete capito? Siamo una tribù, come i Tuarèg con l’accento sulla è, quelli che bevono il tè bollente cavalcando cammelli fetosi sulle dune pure se ci stanno 60° all’ombra. Vabbè, chi ha detto questa cosa non è stato proprio tanto preciso, ai napoletani ’o tè nun ce piace, dicono che si prende quando uno ha il mal di pancia. I napoletani si curano col caffè.
E che fai, non te la prendi una bella tazzulella di caffè quando vieni a Napoli? Ma dai, te lo offriamo! Perché noi napoletani siamo generosi, accoglienti, altruisti, magnanimi, disponibili, prodighi, liberali, magnifici. Spaccammo e iettammo, come si dice nei quartieri quelli… un poco – capisci a me – quelli che si sono apparecchiati per farti trovare i panni stesi, l’acquaiolo che ti vende la granita a cosce aperte, il santino di Maradona con tanto di pelo di pube abbinato. Come? Non capisci il dialetto? Mannaggia, e mo come si fa? Noi l’italiano non lo sappiamo parlare.
Ma tenete ragione, ci dobbiamo adeguare, evolvere. Siamo arretrati, l’ho detto. Però vi facciamo l’onore di farci ammirare: ci mettiamo in posa, ci vestiamo da Pulcinella e da Totò e sorridiamo alle vostre macchine fotografiche, perché mammà ci ha fatto belli. Per voi, mica per noi, intendiamoci. Le mani ce le laviamo sempre, pure quando vi facciamo il caffè, che non sia mai tenete una scusa per chiamarci colerosi. Come so’ bone ‘e cozze però, eh?
È sempre una Napoli eccessiva, carica, con i poveracci che passano il Ferragosto a bordo di macchine coi cofani sollevati che sognano di essere Mercedes, i vicoli brulicanti di venditori: carretti con la trippa e il musso, nell’aria profumo di pasta e fagioli con le cozze o di babà, cannoli e sfogliatelle. Una Napoli dove i carrozzieri si chiamano Enzo Spider, gli ubriaconi Lago D’Averna, i killer Il Marsigliese o Punt e Mes. Nell’aria i motivi di Dalla, Baglioni, Carboni o Annie Lennox. E sesso, tanto sesso, come solo ci può essere nella città dove l’America costa soltanto tremila lire (così promettono almeno i contrabbandieri di sigarette). Nella città dove uccidere costa poche centinaia di migliaia di lire.
E mi dovete scusare se mi dilungo, ma noi napoletani siamo fatti accussì, ci piace la proposopea. No? Come si dice? Prosopopea. E grazie che mi correggete, se non ci foste voi. Comunque questo pezzo è di Peppe Lanzetta – mi dovete scusare n’altra volta, avevo detto che non facevo nomi, ma per Peppe Lanzetta si fa n’eccezione, Peppe Lanzetta è Dio – l’ho preso dal suo libro Un Messico napoletano. Sì, sappiamo pure leggere, siamo proprio pieni di sorprese. È che a noi ci piace fare un poco gli ignorantielli, i cafoncielli, i bastardelli, i femminielli, sennò di che dobbiamo parlare? Ci piace assai fare la parte dei figli di una divinità minore, una di quelle umili, sapete, che si accontenta di un bocchino aumma aumma. Ah, non si dice bocchino? Si dice fellatio? Scusasse.
Com’è porno ’sta città. Stava uno che diceva: “Canta Napoli!”, invece io dico “Porno Napoli! Napoli Porno!”, così ve la vendo a un prezzo buono. O possiamo pure fare i cool – che però noi capiamo cul – e dire “PorNapoli”, che fa pure ’nu poco spagnoleggiante, no? Siamo gemellati con Barcellona.
E però è vero o no che i napoletani sono sanguigni, focosi? “Toste emozioni” diceva il ricciolino. Io però non la conosco questa raffinatezza e allora dico che sono “sporchi zezzosi” così ’ncopp’ ’a TikkeTokke faccio più visualizzazioni. E comunque, ci piace a fare la parte, perché il bidet lo abbiamo inventato noi, madammes e messier, sissignore. Anzi, diciamo i fatti come stanno: il bidet l’hanno inventato i frangesi – poi se lo so’ persi per strada – però in Italia il primo posto che l’ha avuto è stata la Reggia di Caserta. Come si trattavano bene ’sti ricchi, eh? Che ne possiamo sapere noi, siamo povera gente del popolo, noi ci laviamo con l’acqua delle cozze.
Aggio parlato assai, mi so’ stancat*. Mi piace l’asterisco, così non capite se sono maschio o femmina, giovane o non giovane, tanto tutti i napoletani so’ la stessa razza, no? Siamo tutti mariuoli, camorristi, imbroglioni, scansafatiche, parliamo tutti in dialetto e non capiamo la differenza tra sentimentale e sentenzioso, tra magnifico e mefitico, tra porno e porco, ma che cazzo ce ne fotte alla fine, basta che campammo.
Pure un filosofo tedesco l’ha detto: Trovo nel popolo napoletano la più geniale e vivace industria, non per diventare ricchi, ma per vivere senza occupazioni. Avete capito? Siamo proprio geniali, la ricchezza ci fa schifo, ci piace la miseria e la nobiltà, poco però, non troppa nobiltà, ché sennò poi diventiamo ricchi davvero e la gente pensa che abbiamo tirato la testa fuori dal sacco. Come gli struzzi dobbiamo fare, la capuzzella nella sabbia e il culo a disposizione.
Ah, mannaggia mannaggia. Però, non mi voglio lamentare solamente, dobbiamo dire il bello e il brutto: tante volte dite che siamo ingegnosi, che ci sappiamo arrangiare, è un talento pure questo, no? Che siamo tutti attori e cantanti nati, che sapimmo fa’ ammore, sappiamo fare la pasta e patate con la provola – le cozze coi fagioli no, basta con ’ste cozze, ci siamo già vaccinati nel ‘73 – la pizza e che pizza! Sorbillo vi mette pure l’ananasso sopra o i vostri nomi, ma che volete di più?
Faciteme pensà, che sappiamo fare ancora? Il caffè l’ho detto, la pizza pure… ah! Sappiamo fare i pacchi. Come siamo bravi a mettere i fiocchetti noi, non ve lo potete proprio immaginare. E vi sappiamo far dimenticare i problemi: quando passeggiate per Mergellina e tenete tutto il golfo di Napoli steso davanti agli occhi, chi è che pensa ai problemi? I maghi facciamo, un colpo di bacchetta e per qualche giorno vi pare di stare in paradiso. ’Nu paradiso abitato da diavoli.
Siamo così orgogliosi che Napoli fa moda: tutti quanti vogliono venire qua a festeggiare lo scudetto, a fare i video alle vecchiarelle che arricciano orecchiette nei vicoli – come dite? Quella è a Bari? Scusasse, di nuovo –, a farsi le foto al Gambrinus con una bella sfugliatella calda, a fare una experience dormendo in un vascio a Sanità o a Forcella o a Ponti Rossi, a riprendere gli scugnizzi che si tuffano dal ponticello di Castel Dell’Ovo o al Lido Mappatella, perché fa figo, fa folklore, perché uno se ne torna a casa poi e pensa: “Ma che cute, come sono spensierati questi Tuarèg”.
Peppe, te lo potevi mai immaginare quando hai scritto Un Messico napoletano o Figli di un Bronx minore che mo, per quelle periferie che raccontavi tu, la gente esce pazza? E che ci vuoi fare? Ora Napoli è il place to be. Accussì ci piace a vederci alla gente, dentro una fotografia, perché quando s’è scocciata spegne il telefono e arrivederci e grazie.
Accussì possiamo stare simpatici alla gente, non troppo poco e manco troppo troppo: cafoni ma non troppo perché sennò poi diventiamo delinquenti; belli ma non troppo perché sennò ci chiedono perché siamo così sfacciati; onesti ma non troppo perché se non te l’ha fottuto un napoletano il portafogli chi è stato; talentuosi ma non troppo perché sennò rubiamo il posto che spetta a qualcun altro; dialettali ma non troppo perché va bene quando serviamo pasta e patate da Nennella, ma sul palco di Sanremo che vergogna a sentire ’nu guaglione di Secondigliano che canta “I p’ me tu p’ te”. Però, pure colpa sua eh, in dialetto napoletano non si scrive p’. Si scrive pe. Facciamo i precisi, che il dialetto napoletano è una lingua, l’hanno detto pure i signori studiati dell’Unesco.
Ecco qua, per avere dignità ce lo dobbiamo far dire dagli altri. Ma va buono accussì, non ci prendiamo collera, siamo persone semplici, senza pretese. A noi ci basta ’o mare, ’o sole e ’na fella ’e pizza. Il pacchetto completo prêt-à-porter, che poi vorrei sapere chi è le vende ’ste cose se a Napoli tengono tutti il reddito di cittadinanza e non fatica nessuno. Io ho una mia idea: si so’ svegliate le anime pezzentelle del Cimitero delle Fontanelle e hanno preso il posto nostro. Una città di fantasmini allegri, tale e quali alle persone vere, che stanno dietro i banconi e vendono cuoppi fritti, affittano camere nei B&B, vi propongono un pacco di calzettini 3×2 su via Toledo. Non vi fidate, non siamo noi. Vi vogliono fottere. Occhi aperti. So’ morti che fanno finta di essere vivi. Sacro e profano, venite avanti o state indietro, a voi la scelta.
Abbiate pazienza, ho appena detto di non voler essere più napoletano e già ho un turbamento, un tiramento…Ti odioamo e odioamo grandenapoliaffanculo che basterebbe così poco per non farti entrare più negli acquerelli, nei bozzetti, nei dipinti, negli affreschi, negli acquafrescai e negli zombie tuoi abitanti che sanno tutti cantare e recitare… lo no… non so cantare, non so recitare, ballo ‘na schifezza, non rido, non faccio le smorfie e nemmeno le tumità ma ti amo lo stesso, fottuta Napoli Medea, anche se sei sorda, se sei cieca, se m’hai fatto sputare fegato e veleno, mi hai dato, mi hai tolto, hai preso, succhiato, commentato, giudicato. E poi ti fai fottere da chi viene al di là del Garigliano. Pure tu sei finita nei salotti a cantare ’O surdato ’nnammurato, sei finita sulle terrazze romane a masturbarti e a ricordarti come eri bella 30, 40 e 50 anni fa.
Eh, Peppe. Tieni proprio ragione. ’Sta città è un teatro viaggiante, ’na baracca pornografica. Si fa consumare la fessa e il culo per due spicci. E però, che vuoi fare, ci piacciono troppo assai le invenzioni, le arguzie, le cofecchie, i grandissimi inguacchi, le scene d’amore, le toste emozioni, i duelli, la morte e cento altri cacchi.
Poi, quando tutti se ne vanno a casa loro – ma quand’è che se ne vanno a casa loro se ’sta città sta sempre piena di gente? – noi ce ne torniamo a piedi a piedi a Materdei, a piedi perché la macchina non la teniamo, non paghiamo l’assicurazione, o all’Arenella o a San Giovanni a Teduccio, a Casoria, e leggiamo certi articoloni che fanno più o meno così:
12 cose da fare a Napoli e 3 da non fare.
Napoli: la città partenopea (che poi sarebbe come dire “Roma, la città di Roma”, ma vabbè, gli studiati sono altri).
Napoli. Città indistricabile tra bene e male.
Napoli. La città dalle mille culure.
Napoli. La città dalle mille anime dove perdersi per poi ritrovarsi.
E ci domandiamo, ma com’è? Non ci sta un altro numero? Solo mille? Mille colori, mille anime, mille strunzi, mille pizze, mille babà, mille fotografie, millemille. Scusa Pino, abbiamo abusato. E ci domandiamo: ma Napoli è solo uno spazio? Non ci sta nient’altro da dire? Non la sua storia, non la sua arte, non i suoi uomini e donne di pregio? Niente? Solo pizza e triccheballacche? Non si può dire che Napoli è stata prima in tante cose?
La prima cattedra di economia, il primo quotidiano italiano, il primo cimitero per i poveri, l’albo degli avvocati, la nave a vapore, la scuola italiana per ciechi, la prima ferrovia – Napoli/Portici – l’illuminazione a gas, il telegrafo elettrico, per tanti anni la più alta concentrazione di teatri e conservatori di musica, il più alto numero di giornali e riviste, di medici, il primo museo mineralogico al mondo e il primo Orto Botanico in Italia, la prima Accademia Aeronautica del mondo, e tante altre cose che mi scoccio di dire perché tanto non sentite, e ma queste cose so’ vecchie come la bisnonna mia, e tiritititi. Intanto però ’ste cose belle venite a vedere.
Come so’ stanc* e come so’ ingenu*. Quasi quasi mi vado a prendere una pizza ai Tribunali. Perché a noi ci va bene così, perdere tempo a perdere tempo. È vero, Peppe? Perdiamo tempo e scopiamo, che tanto questo sappiamo fare a Napoli Porno, a Porno Napoli.
Foto in copertina di Deborah D’Addetta ©
Foto interna di Francesco Sammarco ©