«I’d like him to open that Bible»: così il reverendo Al Sharpton ha tuonato contro l’ostentazione della Bibbia da parte di Donald Trump davanti alla St. John’s Church, a pochi passi dalla Casa Bianca, per opporsi alle proteste seguite alla morte dell’afroamericano George Floyd. Un gesto che ha indignato anche il Vescovo della Chiesa episcopale Mariann Edgard Budde e l’arcivescovo di Washington Wilton D. Gregory, che si è detto disturbato dalla visita del Presidente americano al Santuario nazionale dedicato a Giovanni Paolo II: «Trovo sconcertante e riprovevole che qualsiasi istituzione cattolica accetti di essere manipolata e che di essa si faccia cattivo uso in maniera da violare i nostri principi religiosi, che invece ci chiamano a difendere i diritti di tutte le persone».
Un Trump in difficoltà, a causa della sottovalutazione della pandemia che conta la fine di oltre 107mila vite umane, tenta oggi la rimonta demonizzando le legittime rimostranze per l’uccisione da parte di un agente di polizia dell’uomo di colore – proteste che, oltre le motivazioni specifiche, riguardano anche lo stato di povertà sempre maggiore di una parte consistente della società americana –, puntando il dito e generalizzando su alcuni episodi di saccheggio per riscuotere consenso dalla parte consistente e silenziosa dei bianchi, come rilevato da qualche autorevole opinionista.
Una strategia dai fini politici emulata anche in alcuni Paesi dell’America Latina che ha indotto il Consiglio nazionale delle chiese cristiane del Brasile (Conic) e la Diaconia luterana (Fld) a redigere un documento contro la strumentalizzazione dei simboli religiosi nei propri territori. Nel mirino Jeanine Áñez, presidentessa ad interim della Bolivia che ha inserito tra gli atti ufficiali di governo la Bibbia, e Jair Bolsonaro, eletto Presidente del Brasile col 55.13% dei voti nell’ottobre di due anni fa grazie all’appoggio del mondo del calcio, al suo sentimento populista e, soprattutto, sfruttando il fermento e la crescita delle comunità pentacostali e degli evangelici. Nel suo Paese, secondo uno studio realizzato dall’Imperial College di Londra, se non saranno prese misure di isolamento totale potrebbe morire più di un milione di persone ma Bolsonaro semplifica così: «Tutti, prima o poi, dobbiamo morire».
Anche nella vicina Germania il partito neonazista NPD inaugurò la campagna elettorale del 2017 ricorrendo a Martin Lutero, uomo simbolo del Protestantesimo, e ad alcuni suoi scritti contro gli ebrei seppur decontestualizzati storicamente e distorti. Noto anche il richiamo sistematico di Viktor Orbán alla difesa del primato cristiano e dell’esponente del Partito della Libertà in Austria che fece stampare alcuni manifesti con la scritta Che Dio mi aiuti.
Dunque, un gesto teatrale ma non raro, quello del Presidente Trump, un utilizzo di un importante simbolo religioso mediante una vera e propria sceneggiata che potrebbe aprire un nuovo corso nel panorama americano sulla scia di quanto già avvenuto e ancora persiste in Italia a opera dell’ex Vicepresidente del Consiglio e leader di quella Lega passata dalle ampolle con l’acqua del Po ai crocifissi e rosari ostentati come amuleti, una strumentalizzazione necessaria per giustificare politiche razziste e divisive incarnate da quell’umanità chiusa nei propri egoismi che ha generato e accettato da sempre manovre, anche economiche, gratificanti per pochi e penalizzanti per molti.
Una commistione tra politica e religione che in alcune terre del Sud si traduce in un crocifisso che non è soltanto simbolo sacro ma anche mafioso, come affermato nel corso di un dibattito parlamentare dal Senatore Morra, Presidente della Commissione Antimafia, suscitando molteplici reazioni, una per tutte la difesa dell’esponente italiano figlio di Maria da parte de Il Giornale che, successivamente all’attacco della Conferenza Episcopale Italiana sull’uso strumentale dei simboli religiosi, nell’agosto dello scorso anno titolava: La Chiesa per attaccare Salvini ora si vergogna del crocifisso. Un’altra meravigliosa perla di giornalismo firmata Alessandro Sallusti.
Neanche la Democrazia Cristiana era arrivata a tanto, al massimo qualche foto di De Gasperi o Aldo Moro a messa, mai con lo stuolo di giornalisti e fotoreporter al seguito o davanti al Duomo di Milano ad agitare rosari e invocare il cuore di Maria, mai in Parlamento a sbaciucchiare medaglie e medagliette o in giro con il solito codazzo, come l’altro giorno a Napoli, con le mani giunte (in preghiera?), sul luogo dell’uccisione del povero agente di polizia freddato brutalmente. Una visita brevissima, tra l’altro, grazie alla protesta degli abitanti che dai balconi e in strada, indignati per l’ipocrisia, lo hanno invitato con forza ad andare via dalla città cui ha promesso più volte, nel corso del suo mandato di Ministro dell’Interno, l’aumento degli organici della forze dell’ordine, un impegno mai rispettato.
In un’epoca attraversata da una pandemia sanitaria e sociale e nella quale la povertà sembra impossessarsi anche delle fasce ritenute non a rischio, il populismo, l’incompetenza e la mancanza di capacità politica si rivelano la tomba di qualsiasi progetto o sogno di cambiamento, di svolta radicale per una prospettiva di costruzione di una società nuova che guardi oltre gli egoismi, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il profitto e il tornaconto di pochi a danno di molti, che metta al centro il tema del lavoro, della giustizia, dell’istruzione e dell’ambiente, già troppo in bilico, sostenendo politiche mondiali di difesa del pianeta. Occorre, dunque, liberarsi di quel mondo della corruzione e della delinquenza istituzionale e organizzata che esclude gli uomini di valore dai soliti giri, compromessi ormai da un sistema cui fanno comodo populisti, ipocriti, incapaci e incantatori di serpenti.