Dunque, facciamo il punto e proviamo a riannodare i fili di ciò che maggiormente manca a noi italiani, sia nel lungo che nel breve termine: la memoria.
1 novembre 2014: viene firmato l’accordo per dare avvio all’operazione Triton nel Mediterraneo, con apertura incondizionata dei porti italiani all’ingresso dei migranti salvati in mare dalle navi delle ONG, nonché di ognuno dei quindici Paesi coinvolti nella stessa operazione. In cambio, il governo Renzi ottiene flessibilità economica per la sua politica sui voucher, che servirà allo stesso governo per rimanere saldamente in carica almeno fino al referendum confermativo sulla riforma costituzionale.
4 dicembre 2016: al di là di ogni aspettativa il NO prevale sulle ambizioni di riforma della Costituzione, con conseguente addio alla politica annunciato da parte del Premier.
6 agosto 2017: dopo una progressiva e profonda caduta di consenso viene firmato, per mano dell’attuale Ministro dell’Interno Marco Minniti, l’accordo italo-libico di “supporto” alla guardia costiera libica, allo scopo di sancire l’inizio di un percorso di blocco all’origine dei flussi migratori verso l’Europa attraverso il nostro Paese.
Da questo momento in avanti, l’escalation degli eventi ci conduce linearmente fino ai giorni nostri, esattamente al fatidico 24 agosto e agli scontri di Roma in Piazza Indipendenza, che hanno visto lo sgombero forzoso di una significativa fetta di quei migranti – per lo più etiopi ed eritrei, dunque rifugiati richiedenti asilo – che ora non vogliamo più in casa nostra in quanto occupanti illegali degli alloggi del Palazzo di Via Curtatone, prospiciente la stessa Piazza.
Nell’arco di soli tre anni si è sostanzialmente passati dall’accoglienza sfrenata all’espulsione coatta. Qual è il termine con cui si definirebbe un tale comportamento se riferito a un singolo individuo, se non schizofrenia? Questo siamo, un Paese schizofrenico nelle mani di un Parlamento abusivo – in quanto eletto sulla base di una legge giudicata incostituzionale –, che ha espresso governi posticci e slegati a tal punto dalla volontà popolare da essere deliberatamente giunti ad arrogarsi l’onere di trattare da abusivi esseri umani che, in accordo con l’Art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, reclamavano e reclamano nient’altro che un diritto sancito dalla nostra stessa Costituzione, quello alla casa.
Ma come – direbbero i reazionari – a fronte di masse di italiani ridotti in miseria e senza tetto, dovremmo garantire il diritto alla casa ad altri individui che italiani non sono? È vero, quelli sgomberati in Piazza Indipendenza a Roma hanno altre origini, ma sono esseri umani, esattamente al pari di quei nostri connazionali messi alla porta dallo stesso Stato di polizia in cui tutti assieme stiamo tragicamente sprofondando, senza comprendere che difendere il diritto di quei migranti vuol dire difendere esattamente lo stesso diritto alla casa di tutti coloro che ne hanno titolo […] senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali […] (Art. 3 della Costituzione italiana).
La guerra tra poveri giova al potere, non ai poveri. I nostri padri costituenti lo sapevano ed è per questo che all’Art. 10 della nostra Carta Fondamentale troviamo scritto che l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge […].
Tutto ciò detto e premesso, i più “avveduti” potrebbero ancora obiettare: chi siamo noi per delegittimare, seppur su un piano puramente teorico, un’azione di polizia che ha puntato a ripristinare l’ordine legalmente costituito delle cose? Questo è il punto: noi non sappiamo chi siamo. Popolo di santi, poeti, navigatori e abitanti abusivi assetati di dismissione culturale e turismo pervasivo esercitato su di un territorio a cui siamo stati in grado di scippare il bene più grande che da sempre lo caratterizza, la sua bellezza.
Ecco chi siamo, un popolo che ha perso la memoria e dunque il senso della sua bellezza ed è per questo che non riusciamo più a difendere e a difenderci, con coerenza e convinzione, dalle aggressioni fatte da chiunque venga a dirci di volere il nostro bene al solo scopo di volerselo tenere tutto per sé. Non parliamo di certo dei rifugiati sfrattati da Piazza Indipendenza, a cui il bene più grande, ovvero la possibilità di vivere serenamente ognuno nei propri Paesi d’origine o di lasciarli per scelta, anziché per l’inappellabile necessità di provare a salvarsi da guerre o calamità naturali portate dall’esterno, è già stato ampiamente sottratto.
Diciamocelo chiaramente, non sono i terremoti che hanno devastato L’Aquila, Amatrice e il Centro Italia in generale o Ischia, ma l’ignoranza di ciò che siamo e ancor prima la sete di consenso (elettorale) a buon mercato che proprio sull’ignoranza di sé pone le basi più solide del suo successo. Ipertrofia urbana, cementificazione delle coste, plastificazione dei corsi d’acqua e dei mari, inquinamento delle falde, sottovalutazione del rischio sismico e speculazione, assenza di manutenzione, aggressione delle risorse e atti di autentica guerra civile mossa contro l’interesse di intere popolazioni per conto di un falso ideale di un progresso che di volta in volta assume il nome di TAV, MUOS, TAP e così via. Per non parlare delle operazioni di dissanguamento petrolifero come quello che ad esempio ancora oggi si protrae, in chiave neo-coloniale, in Val d’Agri, Basilicata, a vantaggio di un contro-Stato fatto di grandi gruppi di potere economico che da sempre si mascherano dietro ogni forma di mafia allo scopo di uccidere i migliori tra i nostri servitori per tramutarci tutti in sudditi di sua maestà britannica, come di altri regimi neo-medievali assoggettati alla potenza di fuoco dei petrodollari, con cui vengono pagati i loro servi, felici di trascorrere la propria vita al sicuro di gabbie dorate fornite al prezzo di una schiavitù che caratterizza il lavoro di chi molto spesso piega la propria schiena nient’affatto distante dalle case in cui viviamo o le strade che percorriamo.
Popolo di santi, poeti, navigatori e abitanti abusivi di un Paese etero-diretto tramite una classe dirigente senza popolo che pretende di accudirne altri, all’ombra di interessi perfettamente antitetici rispetto alla ricerca di modelli finalizzati al raggiungimento di una convivenza civile che non sottragga diritti a chi ne ha e che al contempo sia in grado di garantirne a chi ancora non ne ha.
È passato un po’ di tempo da quando Erri De Luca ha voluto provare a ricordarci che bisogna imparare a considerare valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca, il regno minerale, l’assemblea delle stelle, il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano, quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco, tutte le ferite, risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che, sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato, il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia, l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore. Il punto è che molti di questi valori non li abbiamo ancora conosciuti. Forse, è giunto il momento di darsi una mossa.