«Il 90% dei treni in Sicilia è a binario unico e la metà va a gasolio. Ora, una persona normale, in una regione che ha questa situazione, si occupa del ponte, che secondo me non sta neanche in piedi, o di far funzionare i treni? […] La Sicilia è una terra stupenda, ma lei sa che da Trapani a Ragusa sono dieci ore e mezzo di treno? E noi pensiamo al ponte? No, io sono contrario».
Era settembre del 2016 e così parlava una persona normale, quel Matteo Salvini che a Rai Radio1 commentava la proposta di Matteo Renzi, Presidente del Consiglio, che non volle far mancare – come tutti i suoi predecessori a eccezione di Romano Prodi – l’idea di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina, proposta ancora una volta riposta nel cassetto anche a causa della caduta del suo governo tre mesi dopo. Ci sono voluti sette anni per dichiarare alla stessa emittente, dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri del decreto per la realizzazione del ponte, che i lavori cominceranno nell’estate del prossimo anno. Una giornata storica per il Ministro delle Infrastrutture, questa volta convinto che il ponte resti in piedi, passando quindi da normale ad anormale, almeno seguendo la logica salviniana.
Un’euforia che non sembra essere stata condivisa del tutto dalla Presidente Meloni, evidentemente più interessata a non aggiungere il suo nome al lungo elenco di quanti ricordati maggiormente per non aver mantenuto gli impegni assunti, almeno questo.
Davvero paradossale dover assistere al teatrino delle menzogne e delle contraddizioni più evidenti, con il Segretario della Lega, della parte politica dei Borghezio, Castelli, Zaia e perfino di quel Calderoli regista dell’Autonomia differenziata, meglio conosciuta come spacca-Italia, che parla della necessità di unire il Paese anche attraverso quella struttura di cemento e acciaio a proposito della quale Milena Gabanelli, in un articolo per il Corriere della Sera, ha indicato in circa 1,2 miliardi il costo per il ponte che non si è fatto e in 6/7 miliardi il costo per quello che si dovrebbe fare, secondo quanto dichiarato da Salvini, in una previsione che la stessa Gabanelli si chiede da dove mai sia uscita.
Uno spreco di risorse pubbliche che i governi succedutisi nei decenni scorsi alimentano fino al 2013, quando il Presidente del Consiglio Monti decide di rinunciare alla realizzazione del ponte liquidando la società incaricata da anni con la previsione di conseguenti penali e indennizzi da capogiro. A sorpresa, i governi Conte e Draghi resuscitano la società: il primo stanzia 50 milioni e l’altro disponendo altri studi di fattibilità fino ai giorni nostri, con l’annuncio che il ponte sullo Stretto per l’esecutivo in carica costituisce una priorità e il decreto legge appena approvato che prevede, entro la fine di luglio del prossimo anno, l’approvazione del progetto esecutivo e il completamento della struttura in cinque anni.
Secondo il sottosegretario Edoardo Rixi sono previsti, inoltre, anche 500 milioni del PNNR per la rete ferroviaria e i traghetti per il collegamento veloce tra le regioni Calabria e Sicilia, augurandoci che buona parte di queste risorse sia impiegata per l’ampliamento e la modernizzazione della rete ferroviaria siciliana esistente, nota per i tempi biblici per il collegamento tra le varie province.
Va detto che l’atteggiamento del M5S attraverso le reazioni di alcuni suoi parlamentari appare davvero incomprensibile. Tra questi, Agostino Santillo che a Fanpage ha riferito, tra l’altro: «L’unica certezza è che si riattiva un carrozzone mangiasoldi», ma non c’è nulla da meravigliarsi in un sistema ormai appiattito dove la negazione delle responsabilità attuali e pregresse diventa sempre più sfacciata e offensiva nei confronti dei cittadini ormai spettatori passivi e potenziali attori di quel partito dell’astensionismo in costante crescita.
Da una parte, i muri con lo spacca-Italia che vedrà impoverirsi ancor più il Sud del Paese incrementando le differenze in quanto a servizi essenziali e diritti negati; dall’altra il ponte, almeno nelle intenzioni: una commedia tragicomica tutta italiana, certamente non la prima, ma dai risvolti che potrebbero rivelarsi infausti, non per qualcosa che entrerà a far parte della fiera dei sogni ma per l’aggravio di ulteriori ingenti risorse che saranno rapinate ai contribuenti, oltre a quelle già in atto, con una partecipazione di fatto del nostro Paese a una guerra molto vicina che già stiamo pagando e che tanto ancora graverà sui bilanci sempre più stringati delle famiglie.
Dopo il Ministro dell’Interno delle maglie felpate e della dependance del Viminale al mare, dei decreti sicurezza e delle regole stringenti nei confronti di chi salva vite umane, dei canti appassionati con la Giorgia donna, madre e cristiana, occorreva un colpo di coda, qualcosa di sensazionale, un annuncio che distraesse l’attenzione dell’opinione pubblica attraverso quella informazione che ha ridotto a una colonna la notizia della conta delle salme recuperate fino al prossimo silenzio definitivo.
Ed ecco la giornata “storica”, poi si vedrà. Se son rose fioriranno, recita un antico proverbio popolare, e intanto la politica dell’approssimazione, degli annunci, delle promesse impossibili, magari fino a spingersi a cercarli lungo tutto il globo terracqueo. Tranquilli, non gli evasori, ma quei manovali delle grandi organizzazioni di trafficanti coperti con molta probabilità da qualche organismo governativo.
Chi vivrà vedrà, recita un altro antico proverbio e gli italiani brava gente di pazienza ne hanno e attenderanno come sempre. Magari sarà la stella nascente del Partito Democratico a ribaltare un sistema che ormai fa acqua da tutte le parti. Sarà il duo Calenda-Renzi a reinventarsi un quarto e un quinto polo o, forse, la nascita di una nuova stagione della politica da troppo tempo auspicata ma incapace di guardare anche a piccole realtà con idee chiare e uomini e donne credibili per coerenza, capacità e onestà. Occorre crederci coinvolgendo i giovani per indicare uno sviluppo possibile e un futuro che è già domani.