Ne abbiamo scritto spesso e continueremo a farlo, non esimendoci dal dire la nostra, almeno finché non si troverà una soluzione a tale questione tanto dibattuta. Dopo il comunicato stampa della Corte Costituzionale che anticipa la sentenza nella quale chiede al legislatore di intervenire sul tema, si è tornato a discutere di ergastolo ostativo collegato ai reati di mafia e di quanto questo strumento possa o meno ledere il principio rieducativo della pena.
Una battaglia che coinvolge anche le realtà che contrastano la criminalità organizzata, tra cui WikiMafia, fondata dal dottor Pierpaolo Farina – allievo del Prof. Nando dalla Chiesa – secondo il quale la decisione della Consulta renderebbe Falcone incostituzionale poiché fu lo stesso magistrato siciliano a promuovere la misura. Ne abbiamo parlato proprio con Farina, che ci ha spiegato le ragioni di una frase tanto forte.
Per quale motivo ha affermato che con la sentenza della Consulta sull’ergastolo ostativo si decide anche che Falcone è incostituzionale?
«La ragione è semplice: quella misura fu ispirata da Giovanni Falcone, insieme a tutta una serie di misure che prevedevano anche un diverso trattamento carcerario per gli affiliati alla criminalità organizzata. Erano frutto della grande conoscenza del fenomeno mafioso che aveva maturato negli anni come giudice istruttore a Palermo, dove il carcere cittadino, l’Ucciardone, era stato soprannominato Grand Hotel dagli stessi boss reclusi. Il “Pacchetto Falcone” era pensato proprio per porre fine a una prassi consolidata, e cioè che le carceri italiane fossero il “parco giochi” degli affiliati alle organizzazioni mafiose.
Nel momento in cui lo Stato sostiene il 23 maggio di ogni anno, da ventinove anni, che le idee di Giovanni Falcone vanno messe in pratica, però poi la Consulta dichiara incostituzionale una delle sue idee principali per le quali è stato ammazzato, va da sé che per me nella sostanza hanno dichiarato incostituzionale Giovanni Falcone».
I giudici della Corte Costituzionale affermano che non concedere la liberazione condizionale anche a chi è stato condannato con sentenza definitiva all’ergastolo ostativo collima con l’articolo 27 della Costituzione, che parla di finalità rieducativa della pena. La rieducazione va intesa, infatti, come risocializzazione del condannato e, dunque, rientro in società. Crede che tale percorso possa essere compiuto anche all’interno del carcere senza avere alcuna prospettiva di uscita?
«Un boss mafioso una prospettiva di accedere ai benefici carcerari previsti per gli altri detenuti ce l’aveva: collaborare con la giustizia. È storicamente e scientificamente accertato che il legame con l’organizzazione mafiosa di appartenenza si rompe o con la morte o violando il caposaldo della cultura e della mentalità mafiosa: l’omertà. Coloro che parlano di “barbarie” in riferimento all’ergastolo ostativo, dovrebbero spiegarci in che modo un boss mafioso può dare dimostrazione di aver intrapreso un percorso di rieducazione se non ha rigettato la regola fondamentale della cultura da cui dice di aver preso le distanze.
Per altro, nel caso della cosiddetta “collaborazione impossibile”, l’ordinamento penitenziario già prevedeva la possibilità di accedere ai benefici previsti anche per gli altri ergastolani. Nella storia del nostro Paese, vantiamo Presidenti di Regione condannati per concorso esterno o favoreggiamento aggravato dall’art.7 che dichiaravano che la mafia fa schifo, per non parlare di certi responsabili alla legalità di note associazioni imprenditoriali di categoria: chi vogliamo prendere in giro?».
Stando alla definizione generale di ergastolo, che dovrebbe essere un fine pena mai, non trova che la dizione ergastolo ostativo – frutto di interpretazioni della dottrina – sia ridondante? Già di per sé, l’ergastolo dovrebbe avere una durata sino al termine della vita del condannato…
«Così non è, e aggiungo per fortuna. Abbiamo diversi ergastolani “normali” che hanno accesso ai benefici carcerari, come la liberazione anticipata o i permessi premio, per via del fatto che hanno svolto un reale percorso di rieducazione in carcere. Questo, vista la scandalosa situazione in cui versa il sistema carcerario italiano, è una conquista di tutti. Per quanto riguarda gli ergastolani mafiosi il discorso è diverso: se le organizzazioni criminali, le più letali al mondo, di cui erano elementi di vertice fossero state debellate, il problema non si porrebbe nemmeno. Poiché così non è, perché, come ricorda il Prof. Nando dalla Chiesa, la vera forza della mafia è fuori dalla mafia, l’ergastolo ostativo si è reso necessario per impedire che i boss stragisti tornassero a comandare sul territorio: chiunque abbia una minima conoscenza del fenomeno sa che i mafiosi sono detenuti modello quindi, se ci si basasse sulla condotta carceraria, sarebbero tutti idonei ad avere i benefici. Per fortuna, il legislatore ha inserito anche altri elementi di valutazione, che pure possono essere aggirati, come insegna la storia recente».
Secondo Lei c’è la possibilità che, concedendo all’ergastolano la liberazione condizionale, questi possa astenersi dal rientrare nel sistema della criminalità organizzata oppure è automatico che possa nuovamente farvi parte, ammesso che ne sia mai uscito?
«Gli ergastolani mafiosi nella totalità dei casi sono elementi di vertice delle organizzazioni criminali ancora attive nei territori di provenienza. Davvero c’è qualcuno che crede che senza essere diventati degli “infami” agli occhi dei loro sodali, non tornerebbero a fare quello che hanno fatto per tutta la vita, cioè sospendere i diritti costituzionalmente garantiti, facendosi beffe dello Stato di diritto? O si pecca di disonestà intellettuale o, peggio, di ingenuità».
La Corte Costituzionale ha rinviato la trattazione sul tema a maggio 2022, affinché nel frattempo possa intervenire il legislatore. Come pensa che questo si muoverà? Si consideri che l’attuale Ministro della Giustizia faceva parte dei giudici costituzionali che, con la sentenza 253/19, dichiararono l’illegittimità dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non consentiva ai condannati all’ergastolo ostativo di avvalersi dei permessi premio, qualora vi siano elementi per escludere l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata o il pericolo del loro ripristino…
«Sarebbe francamente un intollerabile sfregio alla memoria di Giovanni Falcone se nel trentesimo anniversario della Strage di Capaci il Governo varasse una legge che non è riuscita a rendere “costituzionali” le sue idee per fronteggiare il pericolo di un ritorno dei boss sui loro territori. Confido nel buon senso delle forze politiche che sostengono il Governo, anche se, come ha detto Giovanni Montinaro, figlio del caposcorta di Falcone rimasto ucciso con lui, non mi stupirei che se ne lavassero le mani come hanno fatto rispetto alla ricerca della verità sulle Stragi».
Alla base della preclusione assoluta dai benefici c’è il rifiuto a collaborare dal quale si fa discendere automaticamente la persistenza dei legami con l’associazione criminale. Non crede che possano esserci altri motivi per i quali ai giudici dovrebbe essere lasciata la possibilità di valutare la persistenza degli stessi?
«Qualsiasi altro motivo addotto dai giuristi contrari all’ergastolo ostativo, ad esempio il temere per sé e la propria vita, è ridicolo. In questo modo si sta chiaramente dicendo che lo Stato non ha il controllo dei territori di origine del collaboratore di giustizia dove vive la sua famiglia e quindi l’emergenza mafia è ancora presente e giustifica l’attuale legislazione speciale. Viceversa, non si capisce perché i boss dovrebbero collaborare con la giustizia se anche non collaborando otterrebbero le stesse cose, rimanendo per altro ai vertici dell’organizzazione. Non è mica un caso che l’abolizione di fatto dell’ergastolo per i reati di mafia fosse un punto del papello di Riina nella Trattativa Stato-Mafia (della cui esistenza abbiamo la prova definitiva nella Sentenza Tagliavia del 2011)».
Non crede che l’esclusione a priori, e in maniera definitiva, di qualsiasi beneficio possa essere un disincentivo a intraprendere un percorso rieducativo?
«Semmai il contrario. Se ottengo ugualmente quanto ottiene un collaboratore di giustizia e un detenuto che decide di rompere con la cultura e la mentalità mafiosa per abbracciarne una nuova, perché mai dovrei anche fare uno sforzo psicologico del genere? Per altro, ribadisco: il problema si pone solo nei confronti dei mafiosi condannati all’ergastolo, in quanto l’unico modo storicamente e scientificamente accertato per rompere qualsivoglia legame con la propria organizzazione è la violazione della regola dell’omertà. Esiste qualche altro modo? Se ci fosse, voi credete che le centinaia di collaboratori che abbiamo avuto in questi anni non l’avrebbero percorsa, invece di entrare nel programma di protezione, cambiando identità a se stessi e ai propri cari, e temendo che, grazie a qualche talpa, l’organizzazione riesca comunque a rintracciarvi per vendicarsi?
Siamo il Paese in cui due boss stragisti come i fratelli Graviano hanno concepito i loro figli in carcere al 41bis e un boss dei Casalesi, Giuseppe Setola, è stato dichiarato praticamente cieco alla Maugeri di Pavia, cosa che gli ha permesso di fuggire dai domiciliari e tornare a Casal di Principe a ordinare ed eseguire personalmente diciotto omicidi. Ma chi urla allo scandalo per il fine pena mai ai boss mafiosi, cosa ha da dire sul fine pena mai che loro hanno inflitto ai familiari delle loro vittime? E in definitiva al Paese, dato che boss come Totò Riina si sono portati nella tomba i segreti più oscuri della storia della Repubblica?
L’assenza di giustizia e di verità costituisce una violazione dei diritti umani ben più grave dell’impedire che boss stragisti mai pentiti abbiano anche solo una possibilità di tornare sui propri territori, sospendendo lo Stato di diritto e la Costituzione per imporre la loro legge. Il problema di questo Paese è che la maggior parte di chi ha responsabilità politiche non se le assume e si ricorda che esiste la mafia solo agli anniversari delle Stragi».