Un titolo che suscita da subito grandi riflessioni. Edito da minimum fax, Pescirossi e pescicani è il libro di Sandro Di Domenico, giornalista freelance classe 1982, specializzato in video inchieste. Anche questo scritto, infatti, è il risultato di una lunga indagine che ebbe inizio a Napoli, nell’agosto 2011, quando il cronista dovette occuparsi di un particolare caso: l’affondamento del peschereccio Giovanni Padre da parte della nave mercantile Jolly Grigio, della Linea Messina. Dopo l’incontro con l’unico sopravvissuto alla tragedia, Sandro comprese che quell’episodio, all’apparenza isolato, non era altro che un tassello di un puzzle molto più grande, composto da segreti, intrighi e omertà. Una serie di incidenti dei colossi del mare (o del male, com’è scritto nel libro) stranamente concatenati tra loro e colmi di coincidenze piuttosto simili.
Fu così che Di Domenico, nonostante la paura e i consigli di lasciar perdere, decise di indagare per conto suo. Per trovare delle risposte. Per la verità, per la giustizia, per tutta quella gente che ha perso la vita così, da un momento all’altro, mentre svolgeva diligentemente il proprio lavoro. Una storia di coraggio e di tenacia durata anni, nei quali il giornalista ha viaggiato, raccolto informazioni, intervistato sopravvissuti, testimoni e chiunque potesse essere d’aiuto a sciogliere quella fitta rete tessuta abilmente grazie al potere del dio denaro, dietro cui erano celate tonnellate di rifiuti pericolosi, malattie e tante anime. Anime che il testo nomina, raccontandone le storie, al fine di ridare forse quel po’ di dignità che non hanno mai ricevuto.
Il lettore resta incollato alle pagine neppure fosse un thriller, ma storce il naso perché quello che legge è realtà ed è impossibile far finta di niente. Un forte esempio di mero giornalismo, il lavoro di Di Domenico, e un monito per tutti, nella propria professione come nella vita, a non fermarsi in superficie perché solo andando in profondità è possibile riconoscere i pescirossi dai pescicani.
Abbiamo intervistato Sandro Di Domenico, in attesa della presentazione del libro che si terrà domenica 18 ottobre, alle ore 11, presso la libreria Bottega delle parole di San Giorgio a Cremano (NA).
Sebbene nel testo venga accennato, qual è stato il momento in cui si è detto «sì, questa storia diventerà un libro»?
«Soltanto quando ho ricevuto un sms che non mi aspettavo, in un posto in cui il telefono non aveva mai avuto campo. Era firmato DDG, Daniele Di Gennaro».
Immagino abbia fatto i conti con paura e dubbi per la scomodità degli argomenti. Come li ha affrontati?
«La famosa frase di Borsellino, la conosce? Nel Giulio Cesare forse suona ancora meglio: Cowards die many times before their deaths; The valiant never taste of death but once. E questo libro è forse prima di tutto una risposta ai paurosi».
Ci sono stati dei momenti in cui è stato colto da sconforto e ha pensato quasi di mollare?
«Spesso. Di solito mi rimproverano la testardaggine. Stavolta avrà aiutato, insieme al consiglio di un buon amico. È un giornalista in gamba, perché pratico e realista. Si chiama Nino Femiani».
Interessante il dialogo in cui si dà per scontato che Lei debba avere per forza una motivazione personale per portare avanti l’inchiesta…
«Non sono molto bravo a scrivere. Figuriamoci i dialoghi. Anche perché ho una pessima memoria. Ripensandoci questi giorni, però, visto che è già la seconda volta in una settimana che me lo domandano, mi è venuto in mente Troisi e Ricomincio da tre in cui a un napoletano in viaggio verso nord negli anni Ottanta volevano per forza affibbiare l’etichetta di emigrante. Ecco, oggi, nel 2020, grazie anche all’olio di gomito che ci han messo tanti celebri colleghi, agli occhi delle persone un giornalista deve avere per forza qualche motivo suo, personale, recondito, per fare ciò che fa».
Quale momento dell’inchiesta Le è rimasto più impresso nella mente?
«C’è una cosa molto bella delle interviste, se ha notato. È che gli intervistati sanno sempre cosa rispondere. Penso che ogni tanto non dovrebbero rispondere, almeno una volta per intervista. Giocarsi il jolly. E questo è il mio caso, se permette».
Solo andando in profondità si possono riconoscere i pescirossi dai pescicani. Questa frase è assai emblematica nel giornalismo. Come vede il giornalismo oggi?
«Male. Per un lungo periodo ho progettato nella mia mente di fondare una pagina Facebook dal titolo Il giornalismo è morto. Per fortuna se ne può esorcizzare la fine nei libri. E qualche volta ridendo amaro con i buoni amici».
Cosa si aspetta dal Suo libro? E quali sono i Suoi progetti adesso?
«Nulla, e uno solo: aspetto che torni l’estate».
–
Sostienici: acquista questo titolo direttamente al link sottostante