In queste ultime settimane, attraverso i talk show e i telegiornali, le testimonianze di giudici e di esperti della relazione, psicologi e giornalisti, responsabili dei centri antiviolenza, si è parlato molto di patriarcato. Non potevo che riaprire il saggio di Carol Gilligan e di Naomi Snider, Perché il patriarcato persiste, pubblicato in Italia nel 2021 da Vanda Edizioni.
L’indagine condotta dalla nota attivista femminista e dalla ricercatrice universitaria ha tracciato un identikit del modello patriarcale “interiore”. C’è la consapevolezza che i cinquanta anni di femminismo hanno portato all’avvento della libertà femminile, all’entrata delle donne nel mondo del lavoro, nelle professioni prima solo maschili, nella sfera pubblica e politica istituzionale e amministrativa. Eppure, malgrado queste conquiste che hanno permesso una reale emancipazione da un sistema arcaico di asservimento, giuridicamente accettato e sostenuto, persiste ancora a livello inconscio la tendenza inquietante di uomini e donne a conformarsi agli stereotipi di genere tradizionale, ricondotti da Gilligan e Snider al regime binario e gerarchico del patriarcato.
Il patriarcato rimane un sistema relazionale combattuto ma ugualmente attivo. Cammina sottotraccia nelle relazioni private e sentimentali, rende ancora viva la separazione tra una “femminilità altruistica ed emotiva” e una “mascolinità assertiva e indipendente”. La direzione che viene indicata nel volume spinge verso l’integrazione degli aspetti emotivi e relazionali in ogni soggettività, cercando di superare il modello che schematizza e cancella.
Positiva e interessante è l’esperienza dei gruppi di incontro di autocoscienza come quella di Maschile Plurale, dove uomini di diversa estrazione sociale e di diverse generazioni si confrontano sulla declinazione del retaggio patriarcale nei loro comportamenti. Un passaggio molto utile per capire la persistenza di tale modello sono gli studi di John Bowlby, che giustificano la sopravvivenza del patriarcato come difesa patologica rispetto alla perdita dell’amore, che conduce l’uomo verso un distacco emotivo e le donne verso l’accudimento ansioso.
La donna sacrifica istintivamente la propria soggettività per creare legami di mantenimento e di cura, costruendo delle pseudo-relazioni e frenando la sua spinta razionale all’autoaffermazione. Così evita il conflitto, silenzia la rabbia e aderisce pienamente alla paura di esclusione sociale. Impara a soffocare la propria autenticità per compiacere gli altri, finendo per perdere se stessa. Questo sacrificio del proprio essere nel mondo provoca depressione e compromette la sua capacità di resistere e difendersi dalle ingiustizie.
Sia l’uomo sia la donna possono recuperare le parti mutilate della propria soggettività per superare il modello patriarcale che postula il codice gerarchico? Si tratta di un grosso lavoro di consapevolezza per entrare in contatto con credenze copionali tradizionali che vanno decostruite a partire da sé. Il patriarcato non è solo un sistema arcaico di asservimento delle donne ai privilegi istituzionali privati e pubblici degli uomini ma è una programmazione interiore che si declina in una miriade di gesti che vanno individuati, visualizzati, denunciati e superati.
L’analisi di Gilligan e Snider scopre e mostra all’azione meccanismi psicologici potenti e sotterranei. Nonostante decenni di attivismo sulle disuguaglianze di genere e sull’uguaglianza dei diritti, la discriminazione rimane endogena al sistema sociale e politico. Il patriarcato è resiliente e resistente al cambiamento. Uno dei fattori che lo tengono in piedi è il fatto che gli uomini traggono beneficio dai vantaggi iniqui che questo sistema conferisce loro. Il patriarcato persiste perché ha una funzione psicologica. Imponendoci di sacrificare l’amore a vantaggio della gerarchia.
Potenti meccanismi psicologici e spinte irrazionali sottostanno al patriarcato, permettendo iniqui vantaggi agli uomini all’interno della coppia e del sistema sociale di appartenenza. Prove antropologiche suggeriscono che la maggior parte delle società preistoriche nomadi fossero relativamente egalitarie e che strutture sociali patriarcali non si siano sviluppate fino a molti anni dopo la fine del Pleistocene, in seguito ad avanzamenti sociali e tecnologici come l’agricoltura e l’allevamento di animali. Alcuni studiosi collocano l’inizio della diffusione del patriarcato a circa seimila anni fa, quando si affermò il concetto di paternità.
Secondo alcune teorie marxiste sviluppate in maniera differente da Friedrich Engels e Karl Marx, il patriarcato nasce a causa di una primitiva divisione del lavoro, in cui le donne si prendevano cura della casa e gli uomini dell’approvvigionamento di cibo attraverso l’agricoltura. Con lo sviluppo del capitalismo il regno della produzione è stato monetizzato e stimato maggiormente rispetto al regno della casa, che non è mai stato monetizzato, e la percezione e il potere degli uomini sarebbero cambiati di conseguenza. Cosa rimane di questa struttura organizzativa istituzionalizzata da millenni? Un atteggiamento sessista che si muove in modo trasversale, che porta a considerare ancora la donna legata al suo ruolo domestico, mentre l’uomo si dedica alla realizzazione professionale fuori della casa.
I privilegi maschili che discriminano e opprimono si sono trasformati in un atteggiamento più sottile. Rimane l’ideologia del possesso e del controllo sulla donna, concezione che sfocia nella cultura dello stupro e della violenza. Il patriarcato danneggia gli uomini e le donne perché mutila entrambi, insegna ai primi sin da bambini ad avere un sé senza relazione e alle seconde ad avere relazioni senza un sé. Questa educazione fa in modo che ancora oggi le donne si sentano in colpa se mettono al primo posto i loro bisogni e che gli uomini si sentano minacciati se il loro status e il loro potere vengono messi in discussione.
Il potere patriarcale resta una forza spettrale che opera drammaticamente al di sotto della nostra consapevolezza e corazza contro la vulnerabilità emotiva dell’amore, costruendo una difesa contro la percezione della perdita dell’oggetto amato. Le nostre capacità relazionali di esseri profondamente sociali, come l’empatia, la lettura del pensiero dell’altro, il senso di cooperazione, vengono cancellate dalla sicurezza scontata del privilegio patriarcale del maschio e del ruolo di cura della femmina. La scoperta dell’importanza della relazione affettiva paritaria dovrebbe far scomparire questa frattura. Ma la capacità di comunicare i nostri sentimenti e di cogliere i sentimenti altrui costituisce una minaccia per la struttura gerarchica.
Empatia e compassione non giustificano il permanere delle diseguaglianze sociali e sessiste. L’ordine patriarcale necessita del sistema binario basato sui rapporti di potere sulla base della razza, del genere, della casta, della religione, della sessualità. Le gerarchie di potere non possono smontare questo modello su cui costruiscono il loro ordine. La mascolinità e la femminilità patriarcali, appresi da bambini, sono coerenti con questa organizzazione. Quindi l’uomo deve separare la propria mente dalle emozioni e la donna deve rimanere in silenzio, non dicendo quello che sa. Chi mette in crisi questo modello rischia di essere allontanato, di essere oggetto di anestesia affettiva e di distacco relazionale, fino al comportamento violento, alla distruzione del legame.
L’essere uomo vuol dire essere autosufficiente, emotivamente stoico e indipendente; l’essere donna vuol dire essere dipendente emotivamente, capace di cura oblativa ed esplicitamente vulnerabile. Gli uomini si sentono in pericolo se appaiono troppo deboli mentre le donne sono portate a sacrificarsi per amore, entrando in confusione se devono dichiarare i bisogni relativi alla loro realizzazione personale. Il tabù maschile verso la tenerezza e il tabù femminile ad avere una voce propria sono complementari.
Il distacco difensivo fino ad arrivare alla violenza serve agli uomini per proteggersi dai sentimenti di bisogno e dal desiderio di essere accuditi, sensazione carica di dolore e di vergogna. La disconnessione affettiva del maschio diventa complementare alla disconnessione cognitiva della femmina. L’uomo non entra in contatto con le sue emozioni e la donna non sente i propri bisogni di autorealizzazione.
Nel copione patriarcale, le donne arrivano a non sapere quello che sanno, in preda a un attaccamento ansioso e a un accudimento compulsivo. Si confondono con l’altro aderendo a un modello altruista di abnegazione. Essere “una brava ragazza” vuol dire accettare la fusione relazionale, perdere l’indipendenza e l’autonomia e soprattutto rinunciare ad avere una voce, non riuscire ad affermare il proprio punto di vista. Qualsiasi comportamento che non rientra in questo stereotipo di genere diventa per il ragazzo una minaccia, una perdita inammissibile del suo privilegio di nascita.
Le relazioni di reciprocità, fondamentali per essere in intimità, vengono sostituite con le relazioni di complementarità. Maltrattamento e violenza non sono altro che gli esiti estremi di questa struttura psico-esistenziale che coinvolge entrambi gli elementi della coppia. È urgente superare il binarismo di genere, facendo emergere il desiderio umano di vivere in connessione, di avere una voce, di riconoscere una rottura e di rispondere con una protesta.