L’emergenza sanitaria da COVID-19 blocca l’Italia in reclusione forzata. Quale momento più indicato, dunque, per approfittare del divano e recuperare film e serie tv rimasti nella lista dei “da vedere”? Magari soffermarsi, al di là dei grandi titoli, su un’opera di nicchia capace non solo di distrarre la mente ma anche e, soprattutto, di lasciare qualcosa dentro. Il nostro consiglio ricade perciò su Unbelievable, miniserie statunitense di 8 episodi – circa 50 minuti ciascuno – distribuita il 13 settembre 2019 su Netflix e tuttora disponibile.
Incredibile. È questo l’aggettivo che dà il nome alla serie, poiché incredibile è ciò che vedremo. Al tempo stesso, incredibile è il riferimento alla vicenda di una delle protagoniste. Prodotta da CBS Television Studios, dalla regista e sceneggiatrice Susannah Grant, con l’ausilio di Michael Charbon, Ayelet Waldman e Lisa Cholodenko, la prima nota distintiva di Unbelievable sta nel suo tratto da una storia vera. Si ispira, difatti, a svariati casi di violenza sessuale avvenuti tra il 2008 e il 2011 nell’area di Seattle e Denver, cominciati nella città di Lynnwood, a Washington. L’accaduto è stato poi raccontato nell’articolo Premio Pulitzer An Unbelievable Story of Rape, scritto da T. Christian Miller e Ken Armstrong, per ProPublica, e finito al centro dell’episodio Anatomy of Dubt del programma radiofonico This American Life.
Nella cittadina di Lynnwood, la diciottenne Marie Adler denuncia alla polizia locale di essere stata stuprata da uno sconosciuto durante la notte. Da subito è evidente l’inadeguatezza dei detective: Marie viene costretta a ripetere in maniera quasi ossessiva quanto accaduto e messa sotto processo per alcune incongruenze, fino a spingerla a dire di aver inventato tutto come richiesta di attenzioni, complice un passato travagliato. Inizia per la ragazza un calvario di isolamento e ingiurie da parte della sua comunità che la renderà sempre più fragile e disillusa. Non molto tempo dopo, le detective Grace Rasmussen e Karen Duvall, appartenenti a due distretti separati, decidono di coalizzarsi nelle indagini una volta appreso che i casi di stupro da entrambe seguiti presentano delle straordinarie similitudini.
Le vittime sono tutte donne sole, di età, estrazione sociale e corporatura differenti tra loro. Il modus operandi, invece, è sempre lo stesso: l’aggressore si introduce nelle case di notte, lega le vittime, scatta loro delle foto, al termine della violenza le costringe a lavarsi minuziosamente, infine svanisce senza lasciare alcuna traccia di sé.
Motivo in più per prediligere la serie è il cast: una splendida Toni Collette nei panni della scontrosa detective Rasmussen e una altrettanto carismatica Merritt Wever nel ruolo della più acerba e affabile detective Duvall. Marie Adler è invece interpretata da Kaitlyn Dever, attrice giovanissima ma in grado di suscitare pathos a ogni suo sguardo.
Unbelievable trascende la sua forma di mero drama poliziesco, mollando pugni in pieno viso allo spettatore ogni qualvolta incontra gli occhi dei personaggi, ognuno brillantemente sfaccettato. Senza dubbio il personaggio più poliedrico è quello di Marie: oltre alla magistrale interpretazione, i numerosi traumi psicologici a causa di un’infanzia trascorsa in più case famiglia la rendono frustrata e insicura. La pressione dei detective, distaccati e scettici più che intenzionati a rassicurarla, fa sì che lei riviva l’abuso ancora e ancora, finendo per rimettere in circolazione una persona di cristallo, in bilico su di un filo invisibile, scoraggiata dalla giustizia e nei confronti del prossimo. Il modo in cui guardando in camera guarda noi, cercando una comprensione altrui con così tanta disperazione, ci fa provare rabbia e sofferenza al tempo stesso. Come non ricordare, a questo punto, il documentario Processo per stupro, che fece tanto scalpore in Italia nel 1979 per aver meschinamente trasformato la vittima in imputata.
Ci sono poi le detective, due donne così diverse tra loro – una atea, distaccata, cinica, l’altra molto credente, fiduciosa, gentile – accomunate da un veleno interiore, una forza e una volontà di far giustizia a ogni costo. Mai stereotipate, vengono mostrate imperfette, esauste, ma anche materne, in sintonia con i propri partner di vita. Eludiamo subito, infatti, il possibile pensiero che gli uomini in Unbelievable siano presentati come negativi e privi d’empatia: i mariti delle investigatrici – anch’essi in polizia – sono perfetti complici sia sul lavoro che in famiglia.
Una vicenda che ha dell’agghiacciante, trasposta in una serie tv capace di tenere con il fiato sospeso e anche di commuovere, di smarrire, di far riflettere sulla delicata gestione dei casi di violenza sessuale e su quale reazione possa essere effettivamente considerata “normale” dopo uno stupro. Potente come poche, non si serve mai della violenza in sé, soffermandosi invece sulle sue conseguenze, sul dolore, lo stress post-traumatico, delineando con delicatezza dei ritratti di donne variegati e convincenti.
Fondamentale è l’argomento “processo”: mai dimenticare che una via d’uscita esiste e che pretendere e ottenere giustizia verso chi si è appropriato di un pezzo d’anima, oltre che del corpo, resta un diritto inviolabile.