Era il 19 giugno di due anni fa quando il capo politico del M5S negli studi della terza Camera del Paese, al cospetto di un gaudente Bruno Vespa, con fare deciso dichiarava: «Io sono del Sud. Faccio parte di quell’Italia a cui la Lega diceva “Vesuvio, lavali col fuoco”. Non mi alleerò mai con la Lega». Poco più di un mese fa, invece (e non un decennio): «Mai con il partito di Bibbiano, non voglio avere nulla a che fare con il PD». E, negli stessi giorni, Nicola Zingaretti: «Non perseguiamo un’alleanza con i Cinque Stelle, non è nelle intenzioni, non è mai stato il nostro obiettivo. Questa discussione inizia a essere vecchia, superata dalla storia». E, ancora, poco dopo: «Smentisco possibilità di alleanza tra PD e M5s in caso di crisi».
Sappiamo bene come è andata con la Lega e verificheremo tra qualche giorno come andrà con il Partito Democratico, ma non saranno le ormai continue dichiarazioni fasulle a scandalizzarci. Abbiamo purtroppo assistito anche al peggio in questi quattordici mesi di colpi a effetto, di spot prodotti dallo stesso singolare Ministro dell’esterno che con il suo stuolo di consulenti della comunicazione – compresi gli addetti alle fake news specializzati nel seminare odio – ha dato in pasto ai soliti ingenui e creduloni ogni notizia che potesse far credere a una fantomatica sicurezza, a una possibilità di autodifesa senza limiti, a un potenziamento delle forze dell’ordine, nel caso di Napoli promesso per ben tre volte nel corso delle visite in città e mai visto un solo agente in più a sollevare il sovraccarico degli organici attuali. Ma ormai questa è storia passata – c’è da augurarselo – e le due maggiori forze politiche sembra abbiano cancellato in un colpo solo tutto quanto detto appena 30 o 40 giorni fa, per il bene del Paese, pronte a rispondere in caso di domande impertinenti da parte dei soliti colleghi inopportuni che proprio non vogliono tacere.
Sorprendente, invece, una direzione, quella del Partito Democratico, che all’unanimità ha dato mandato al proprio Segretario di verificare la possibilità di un’alleanza – si badi bene, di un’alleanza e non di un contratto – con il MoVimento Cinque Stelle, da sempre contrario a ogni tipo di coalizione ma che pure stavolta vedrà un grande vuoto di memoria prevalere su tutto, anche sul neo Segretario del PD. Almeno in questo, un punto in comune che fa ben sperare. Matteo Renzi, intanto, si è chiamato fuori da un possibile governo con i pentastellati lasciando intendere una posizione simile anche dei suoi più fidati, il tutto dichiarato nell’Aula del Senato nel corso del suo intervento successivo alla relazione del Presidente del Consiglio. Ufficialmente, però, c’è stata unanimità in direzione.
Ho età e memoria per ricordare che anche nei periodi di maggiore tensione nella Democrazia Cristiana, partito di maggioranza relativa per molti anni, mai nessun senatore o deputato contrario alla linea del partito si è mai azzardato a prendervi le distanze pubblicamente, così come anche i partiti di opposizione dell’epoca, PCI e MSI, pur con le correnti interne, anche se non ufficiali, erano tenuti a osservare la disciplina di partito. È bene rammentare, però, che in quanto ad alleanze non gradite da potenze straniere e non solo, con la complicità di qualche uomo di governo, costò cara la vita a un illustre e mai dimenticato statista come Aldo Moro, ma questa è storia dei tanti misteri italiani ancora irrisolti.
Uomo del mistero c’è da augurarsi non diventi Matteo Renzi con la sua componente che fino a qualche tempo fa ha retto le sorti non certo fortunate del PD, una presenza scomoda in un partito che a fatica cerca di risorgere dalle ceneri e che dai tempi del patto del Nazareno è data in uscita con una formazione propria. Il fallimento di un ipotetico patto di legislatura con il M5S sostenuto dallo stesso ex Sindaco di Firenze potrebbe rappresentare l’elemento di rottura.
Il Segretario Zingaretti, convinto che la strada maestra sia la formazione di un governo di legislatura e non di un governo istituzionale che porti alle elezioni, dovrà confrontarsi con i pentastellati proponendo cinque punti irrinunciabili: l’appartenenza all’Unione Europea, il pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa, un nuovo modello di sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale, una svolta profonda nell’organizzazione e nella gestione dei flussi migratori, una svolta delle ricette economiche e sociali in chiave redistributiva che porti a una stagione di investimenti e a evitare l’inasprimento della pressione fiscale. In particolar modo, la necessità di bloccare il previsto aumento dell’IVA. Tutti punti apparentemente condivisibili tranne quel pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa che, tradotto, vuol dire no alla riduzione della rappresentanza parlamentare, concetto irrinunciabile fino a qualche ora fa per i pentastellati. Infine, punto a latere, il ritiro dei provvedimenti in termini di sicurezza che non dovrebbe sconvolgere più di tanto i grillini pur avendoli votati. Un governo del fare, quindi, che come ha opportunamente sottolineato Emma Bonino, dovrà essere anche un governo del disfare per cancellare quei provvedimenti innanzitutto anticostituzionali quale il decreto sicurezza bis voluto sì dall’aspirante duce Matteo Salvini, ma condiviso dagli alleati e ratificato da un tardivo pentito Presidente del Consiglio.
Ora la guerra è tutta interna al MoVimento, la cui proprietà metterebbe da parte anche il capo politico sostenuto dalla base, portando in rilievo l’attuale Presidente della Camera da sempre più vicino ai dem. Ma come in ogni forza politica, occorre valutare bene il peso specifico dei leader stando ai consensi, con Di Maio forte anche di nessun veto posto dal PD per un eventuale incarico che proprio quel Mattarella dell’impeachement dovrebbe assegnargli con molta improbabilità.
Una cosa certamente sarà stata oggetto di riflessione delle parti in causa: un fallimento dell’eventuale alleanza tra PD e M5S sancirebbe una vittoria schiacciante del dimissionario pentito dando vita a un governo di centrodestra con la sua leadership e questo va assolutamente evitato per il futuro del Paese che non meriterebbe il ritorno di chi ha bluffato per quattordici mesi vendendo fumo e dando un’immagine vergognosa di un’Italia già mortificata dai Bunga bunga di ballerine e nani, oltraggiata poi da felpe, sequestri di striscioni e una dépendance del Viminale al Papeete beach. Intanto, l’aspirante dj di Milano Marittima, uscendo dall’incontro con il Capo dello Stato, ha ancora una volta ribadito la disponibilità a riprendere il percorso con i Cinque Stelle, prova della consapevolezza della cavolata fatta.