È trascorso circa un anno da quando il COVID-19 ha stravolto e piegato la quotidianità di ogni individuo. Tra i vari settori messi in ginocchio, la scuola occupa un posto in prima fila, costretta a reiventarsi, altalenando tra aperture e chiusure, didattica a distanza e lezioni frontali. Proprio l’ultimo annuncio di Vincenzo De Luca vede l’ennesimo stop degli istituti scolastici campani da lunedì 1 marzo, obbligati a chiudere i cancelli a causa dei numerosi casi di variante inglese registrati. A farne le spese sono alunni, la cui istruzione minata, i giorni e le occasioni perduti non torneranno indietro, e docenti impossibilitati a svolgere il proprio lavoro come dovrebbero e vorrebbero.
Dopo aver ascoltato medici, figure politiche, lavoratori in più settori, abbiamo deciso di dar voce direttamente a loro: gli insegnanti. Tre diverse docenti campane – Nunzia, insegnante di sostegno per l’infanzia, Giovanna, insegnante di scuola primaria, e Nicoletta, insegnante d’inglese della scuola secondaria – hanno dunque risposto ad alcune domande, portando alla luce opinioni, perplessità, timori e speranze, protratti ormai da tanto, troppo tempo.
Come si sono organizzati i vostri istituti riguardo il rientro in presenza?
Giovanna: «L’istituto comprensivo di San Giorgio a Cremano ha adottato il protocollo di prevenzione indicato dalle autorità preposte dal Sindaco del Comune. Sono stati nominati i referenti COVID d’istituto e tutto il personale scolastico ha seguito dei corsi di formazione tenuti in sede da enti certificati. La formazione successiva poi ha riguardato l’uso della piattaforma G-Suite Classroom in previsione di un’imminente nuova chiusura delle scuole. Parallelamente, è stata fatta una tempestiva ricognizione dei dati relativi ai genitori per fornire loro l’accesso alla piattaforma. L’organizzazione è stata comunicata e condivisa attraverso la consegna alle famiglie del Patto di Corresponsabilità a inizio anno».
Nunzia: «Sono state organizzate entrate e uscite scaglionate, naturalmente utilizzando tutti i dispositivi per la sicurezza: distanziamento, gel igienizzante, mascherine, visiere, guanti, banchi monoposto, termoscanner, chiusura a “bolle”».
Quanto e come ha influito la DAD sugli studenti e sullo stesso corpo docenti, sia da un punto di vista scolastico che psicologico? Credete ci saranno ripercussioni sullo “stare in classe” dopo questa assenza?
Nunzia: «La maggior parte dei ragazzi riscontra grandi difficoltà a mantenere l’attenzione durante le lezioni online e in molti riferiscono che la DAD sia più stancante della scuola in presenza. Buona parte di alunni, inoltre, ha meno voglia di impegnarsi se la modalità di apprendimento è a distanza. Senz’altro, la DAD ha dato una grande opportunità ma l’isolamento ha tolto il legame fisico della classe e ciò ha portato inevitabilmente alla solitudine. Anche l’efficacia del metodo è inferiore poiché non si riesce a creare quella relazione, nel caso di docente e alunno BES, che passi attraverso la comunicazione non verbale».
Nicoletta: «La didattica a distanza è stata una valida alternativa ed è stata fondamentale per non interrompere il percorso didattico ma, soprattutto, per aver conservato un legame affettivo».
Giovanna: «La routine scolastica rassicurante, fatta di empatia e relazioni è stata inevitabilmente compromessa. Sta al senso del dovere e di responsabilità e allo spirito di collaborazione dell’intera componente scolastica e genitoriale, in raccordo con gli enti locali, miscelare armonicamente gli sforzi di recuperare la motivazione e il senso di normalità in una situazione di eccezionalità che necessita di tempi diversificati e flessibilità».
Quali sono le più grandi difficoltà con la DAD? E i punti di forza che non vi aspettavate di riscontrare?
Giovanna: «Il comprensibile smarrimento iniziale nei docenti, sommato all’onere burocratico e alla necessità di valutare, è stato sostituto da un’attività fatta di contatti ed empatia attraverso schermi e computer, formazione continua attraverso corsi e webinar di gruppo e in micro-gruppi, link, file e mail sono in continua condivisione… Mai forse ci siamo sentiti così “vicini/e” seppur distanti».
Nunzia: «Sicuramente la DAD ha permesso a molti docenti di accrescere e perfezionare le competenze informatiche, assieme al superamento fisico della classe, arrivando nelle case di ognuno, in qualsiasi momento. Ma essa non può sostituire a lungo la didattica in presenza perché la relazione fisica è alla base per un apprendimento efficace».
Nicoletta: «Le più grandi difficoltà sono la mancanza di pc per molti studenti e il disagio della scarsa connessione alla rete. Ma è stato interessante imparare a percepire la DAD come una reale aula, con il rispetto di regole precise e di puntualità».
Potete farci degli esempi di come avete cercato e state cercando di portare avanti la didattica?
Nunzia: «La situazione ha visto la scuola dell’infanzia impegnata a riprogrammare totalmente la sua metodologia, cercando il mezzo migliore per veicolare conoscenze, sviluppare competenze e suscitare interesse e curiosità nei bambini. Presupposto di fondo è quello di mantenere vivi la comunità, il senso di appartenenza, l’interazione tra docenti e alunni e la continuità del percorso di apprendimento».
Giovanna: «La mia classe terza, che doveva funzionare con tempo di 40 ore settimanali, ha due docenti, più una di religione, ed è composta da 17 alunni (con 3 BES). È stata suddivisa in due gruppi che prevedono due aule virtuali e una terza che utilizziamo due volte a settimana quando le lezioni sono a classe unita. Ciò è stato fatto non solo per esigenze didattiche in quanto gli alunni in numero ridotto vengono seguiti meglio, ma anche per farli ritrovare e continuare a mantenere vivi i rapporti affettivi e relazionali. In ogni caso, le videolezioni non sono mai tenute da insegnanti in compresenza, bensì l’orario dei docenti è distribuito settimanalmente sui gruppi rispettando le discipline di assegnazione. Per la mia classe sono previste 16 ore sincrone, più sei ore asincrone settimanali, con un orario alternato su due settimane per garantire un’equa distribuzione delle discipline. Le ore asincrone sono relative alla preparazione del setting, al feedback, all’integrazione con contenuti digitali dei libri adottati e da contenuti digitali con fonti in rete. L’orario delle videolezioni è articolato dalle 9:00 alle 12:00, con una breve disconnessione per la pausa merenda. Durante la disconnessione le insegnanti si alternano sui gruppi. Non è bene replicare la didattica in aula, ma crearne una specifica, che veda gli studenti protagonisti e metta al centro l’interazione, non la trasmissione ma la condivisione. Meglio, quindi, miscelare con equilibrio ore in sincrono e in asincrono, lasciando spazio al lavoro agile per i docenti, incoraggiando occasioni di lavoro cooperativo tra gli studenti».
Nicoletta: «Non è cambiata tanto nel metodo quanto nell’uso degli strumenti, come la lavagna e il libro digitali».
Riguardo il rientro in presenza, l’ex Ministra Azzolina – e non solo lei – ha spesso ribadito che la scuola non è un luogo pericoloso. Cosa ne pensate, specialmente in vista dei numerosi contagi di queste ultime settimane?
Nunzia: «Credo che il diritto alla salute vada di pari passo a quello all’istruzione. Visto il momento critico in cui la curva epidemiologica sta salendo in maniera esponenziale, credo sia impensabile sottoporre i bambini a un rischio così alto di contagio».
Nicoletta: «La scuola è un luogo sicuro se vengono rispettate tutte le norme anti-COVID».
Giovanna: «Sia ben chiaro, la DAD non può sostituire quella in presenza perché l’essenza della didattica è vicinanza. Alla luce del nuovo protocollo anti-COVID, però, la maggior parte degli edifici scolastici non può garantire, per via degli spazi ridotti, adeguate norme di distanziamento. Inoltre, un altro serio gap è la garanzia di una connessione internet efficiente da parte delle scuole. Paradossalmente la DAD funziona meglio da casa con la linea privata dei docenti rispetto alla DAD svolta in presenza perché cade continuamente la connessione».
Come credete sia stata gestita la questione scolastica durante questo anno? Cosa ha funzionato e cosa invece poteva andare diversamente?
Giovanna: «Per la scuola non è stato investito nulla in termini economici, si continua a risparmiare su di essa. L’organico docente e ATA non è stato potenziato, i tempi burocratici per le nomine sono lenti. In presenza, le insegnanti sono costrette a sostituirsi continuamente tra di loro (sottraendo ore di compresenza fondamentali per il recupero e il potenziamento dei soggetti in svantaggio o difficoltà di apprendimento) con tutti i rischi che comporta girare per le classi e doversi sottoporre a continue quarantene fiduciarie. Le nostre strutture non hanno aule di una capienza sufficiente a garantire un distanziamento adeguato e il numero di alunni per classe continua a essere elevato. Le finestre non sempre sono a vasistas, però devono restare sempre aperte col rischio di far ammalare i bimbi, senza contare che talvolta i termosifoni non funzionano. Se non fosse stato abolito il sistema modulare e smantellato un impianto che garantiva un eccellente sistema didattico-organizzativo, non avremmo i problemi di carenza di organico e di drammatica perdita di continuità didattica che ci troviamo ad affrontare quotidianamente. Inoltre, ci sarebbero più possibilità di recupero per i casi degli alunni in situazione di svantaggio e di handicap».
Nunzia: «Nessuno poteva prevedere un’escalation così grave ma di sicuro, dopo le vacanze estive in cui era libero qualsiasi spostamento, non si doveva tornare subito in presenza. Era immaginabile un’impennata di contagi».
Nicoletta: «Nonostante il momento difficile, credo abbia funzionato tutto. Non penso si potesse fare di più».
Un alunno con bisogni educativi speciali necessita spesso, ancor di più, di un particolare contatto fisico con il docente di sostegno e con la classe. Qual è stato l’approccio in DAD, come si è svolto il rientro e quali potrebbero essere le ripercussioni?
Nunzia: «Tante sono le preoccupazioni per far sì che anche gli alunni con bisogni educativi speciali riescano a proseguire il proprio percorso di inclusione. L’istituto dove lavoro ha subito attivato l’accesso ai prodotti G-Suite, promuovendo l’importanza di mantenere una particolare attenzione ai bambini con disabilità e contatti stabili con le loro famiglie, come da indicazioni ministeriali. Si è cercato di aiutare gli alunni ad adattarsi a un nuovo ambiente, a una modalità inconsueta. L’approccio è pressoché ludico, relazionale, basato sulle capacità comunicative. I genitori sono chiamati a vivere i loro figli in un tipo di quotidianità fino a questo momento sconosciuta e a confrontarsi realmente con le loro difficoltà scolastiche».
Se è vero che dai momenti di difficoltà si impara, ritenete che questa situazione possa essere in qualche modo occasione di rinnovamento per il sistema scolastico? Quali sono, secondo voi, gli aspetti su cui si dovrebbe lavorare?
Giovanna: «Bisognerebbe avere il coraggio di investire di più perché lo sciagurato risparmio economico produce ribasso socio-economico culturale».
Nunzia: «La pandemia ha mostrato l’importanza delle nuove tecnologie e ci ha resi più consapevoli delle disuguaglianze sociali tra le famiglie. È da queste che dovremmo ripartire per ripensare la scuola».
Nicoletta: «Certamente, soprattutto nelle situazioni difficili andrebbero aiutate le famiglie ad avere in casa una rete Wi-Fi, computer, tablet, cuffie e altri strumenti del genere, oggi indispensabili».