È una delle tante notizie di cronaca lette in fretta, forse limitandosi soltanto al titolo, forse anche con un sorrisetto e uno scappellotto immaginario per la ragazzata. È l’applauso improvviso di un gruppetto di una scolaresca nel corso della proiezione del film Fortàpasc sulla breve e tragica conclusione di una vita, quella di Giancarlo Siani, spezzata per mano della camorra, quella di un giovane giornalista con la schiena dritta il cui lavoro andava punito una volta per tutte per far tacere verità che davano fastidio all’attività criminale.
Un applauso scattato alla scena più drammatica, quella dell’uccisione, un momento evidentemente equiparato alle orride immagini di Gomorra o altri sceneggiati che perlopiù esprimono il peggio di una società violenta e malata, con personaggi ritenuti talvolta veri esempi eroici, simbolo di una giustizia fai da te. Scene di violenza e morte che superficialmente vengono giustificate o condannate, come fatto da parte del Ministro dell’Istruzione alla notizia del gaudio giovanile, probabilmente dimenticando di appartenere a un governo che la violenza e il commercio di armi li alimenta, senza mai avvertire il dovere di promuovere proposte di pace, neanche una, seppur a parole, come atto di buona volontà e non di supina obbedienza alle grandi potenze.
La mancanza di attenzione, di sensibilità al tema della legalità va promossa innanzitutto nelle scuole, tra i giovani, mostrando esempi come quello di Giancarlo Siani che il giornalismo lo ha inteso sin dall’inizio quale esercizio di verità a servizio di quella legalità che dovrebbe essere alla base di qualsiasi società civile.
Un applauso davanti a una morte violenta che presupporrebbe, come opportunamente detto dal fratello Paolo Siani, già parlamentare e attivissimo vicepresidente della Commissione per l’infanzia e l’adolescenza, silenzio, sgomento e disperazione.
Dottor Siani, quell’applauso è stato una stupida goliardata o c’è qualcosa in più?
«Credo che davanti a una morte violenta come quella mostrata nel film Fortàpasc di Marco Risi l’unica reazione possibile siano il silenzio, lo sgomento, la disperazione. Ogni altra reazione è fuori luogo. Se avviene, vuol dire che non siamo stati abbastanza bravi da far capire di cosa si tratta, cosa si sta guardando, vuol dire che bisogna fare di più. Quei ragazzi non hanno colpa, quell’applauso interroga noi adulti e deve scuotere le nostre coscienze».
A suo parere i ragazzi sono condizionati dal clima di superficialità e di violenza purtroppo presente nella nostra società?
«Penso di sì e credo che la scuola, le università, i media debbano svolgere un ruolo di “compensazione” per contrastare il racconto della violenza che oggi domina nella nostra società. Educare alla pace, alla gentilezza, al rispetto dovrebbe essere una priorità assoluta sempre, ma soprattutto in questo momento storico e non solo nel nostro Paese. Ma se nella società attuale e anche in tv, nei talk show, per esempio, si continuano a mostrare adulti (spesso politici) che litigano, che parlano sovrapponendosi, che non mostrano rispetto per le idee altrui, come vogliamo che i ragazzi siano rispettosi?».
C’è ancora molto da lavorare sul tema della legalità, in particolare tra i giovani, oppure l’episodio può considerarsi del tutto circoscritto e isolato?
«L’episodio è sicuramente circoscritto e ha riguardato, come dicono coloro che erano presenti nel cinema, pochissimi ragazzi. È certo, però, che bisogna ancora impegnarsi sui temi della legalità tenendo ben presente che la legalità si pratica soprattutto. Una cosa, tuttavia, mi ha colpito in questa vicenda: nessuno ha raccontato la reazione della grande maggioranza dei ragazzi che era ad assistere al film. Se la maggioranza tace, la si dà vinta a quei pochi che hanno applaudito, se invece si indigna e protesta fa una grande azione di civiltà».
Quale la reazione che dovrebbe avere la scuola in questi casi?
«La scuola sta già facendo un percorso sulla legalità quindi si sta impegnando nel modo giusto, forse parlando con quei pochi ragazzi si può comprendere la loro “strana” reazione al cinema e contrastarla. A nessun ragazzo piace la violenza o la mafia a patto che gli vengano ben spiegati i fatti. I tanti che guardano le fiction Gomorra o Mare fuori vedono come modelli positivi e attraenti quei personaggi che vengono mostrati come potenti e forti e non riescono invece a vederli soltanto come assassini, vale a dire come modelli negativi e da deprecare; chi guarda queste serie cioè non sviluppa anticorpi contro il male, piuttosto lo mitizza. È vero anche che queste serie raccontano fatti già accaduti, e quindi noti, e hanno il pregio di denunciarli, offrendo un’opportunità di maggiore conoscenza del fenomeno per renderne più forte il contrasto. A me piacerebbe però che, per rendere più efficace e anche più evidente e incisivo il contrasto alla criminalità organizzata, al termine di tutte le fiction sulle mafie venisse proiettato il lungo elenco di vittime che hanno causato quei mafiosi. Perché come ha dimostrato una ricerca condotta a Napoli dagli studenti anti-camorra e da Il Mattino i ragazzi conoscono molto di più i nomi e le storie dei mafiosi che quelli delle vittime. Se iniziamo a raccontare le mafie dalla parte delle vittime, certamente allontaneremo dalla mente dei ragazzi quella sorta di “brand mafioso” che fa sembrare forti, immortali e potenti degli assassini».