È un’abitudine già nota, triste quanto quelle precedenti – e, così, al primo rigo abbiamo liquidato quanti risponderanno E il PD? –, la scuola, l’istruzione in generale, è sempre la prima a pagare le manovre finanziare che interessano i conti del Paese. Servono soldi da destinare all’attuazione di alcuni punti del programma di governo, gli istituti scolastici italiani quindi dimostreranno ancora una volta la propria generosità.
Sono abituati, presidi e insegnanti, a vedersi ridurre, puntualmente, i fondi destinati a quella che dovrebbe essere, al contrario, la risorsa più nobile, l’arma più efficace contro l’impoverimento di uno Stato sul lastrico che vede le sue giovani menti partire per non tornare proprio all’indomani degli studi superiori o accademici. Invece, al pari di chiunque li abbia preceduti nel corso degli ultimi vent’anni, i parlamentari giallo-verdi taglieranno tra i 100 e i 150 milioni di euro destinati al MIUR e alla Pubblica Istruzione.
Sotto esame, stavolta, è l’Alternanza Scuola-Lavoro tanto cara al PD, nucleo della riforma denominata la Buona Scuola, un provvedimento avverso alla maggioranza del corpo docenti italiano, mai interpellato e mai neppure distrattamente ascoltato in fase di stesura della legge. Ed ecco che quello che avrebbe dovuto essere un rimedio alla totale assenza di connessioni tra il mondo dell’istruzione e quello dell’impiego, si è trasformato in un’occasione per i ragazzi di saltare allegramente ore destinate all’apprendimento di materie di ben più seria utilità e per alcune aziende di munirsi di manovalanza gratuita. Si sono denunciati casi di giovani impegnati persino negli autogrill o presso gli uffici comunali a portare caffè e fare fotocopie.
Che, quindi, il provvedimento necessitasse di una seria e netta revisione, non c’è alcun dubbio. Diverso è, come appare dalla prima bozza della nuova legge di bilancio, che l’ASL venga usata, dalla maggioranza pentastellata, come la scusa per scucire alle scuole un netto contributo economico. La prossima manovra finanziaria, infatti, vedrà una drastica riduzione delle ore obbligatorie previste dall’Alternanza per il triennio delle superiori, fissate a 200 per i licei, 400 per i tecnici e 400 per i professionali, e striminzite a un limite di 90 per gli studenti liceali, 150 per quelli degli istituti tecnici e 180 per i professionali.
Un modo per consentire più qualità e attenzione a un sistema ideato per avvicinare i giovani al mondo del lavoro, lo ha definito il Ministro della Pubblica Istruzione, il leghista Marco Bussetti. In sostanza, il provvedimento del PD resta, non sarà abrogato come promesso in campagna elettorale dalle forze di maggioranza, ma verrà ristretto in modo da risparmiare qualche milioncino. Insomma, stessa prassi, ma alto rischio di peggiori condizioni per i diplomandi, lontani dalle classi per un numero di ore non sufficiente ad assaggiare l’universo lavorativo ma bastevole per un po’ di manodopera a costo zero.
Il taglio più netto, più grave, drammatico, quello che brucia come una pugnalata alla schiena, tuttavia, non riguarda il vile gioco del denaro, il ricatto che tutto tiene in piedi come in un domino di precario equilibrio. Il depennamento più subdolo annunciato dalle camicie verdi riguarda l’Esame di Maturità e, in particolare, il tema storico proposto, in ugual modo a qualsiasi istituto, alla prima prova. Via la memoria, cancellata rapidamente, come un click sul cestino del computer per eliminare un file obsoleto che più non occorre. Il Coordinamento della Giunta centrale per gli studi storici e delle Società degli storici (Cusgr, Sis, Sisem, Sisi, Sismed, Sissco) ha firmato, non appena appresa la notizia, un documento fatto recapitare a Bussetti, sintetizzando il pensiero comune di docenti e quanti alla costruzione di un passato a cui aggrapparsi per garantirsi un futuro hanno dedicato il proprio impegno quotidiano e spesso la loro stessa vita.
Si tratta di un’immotivata novità che riduce di fatto la rilevanza della Storia come disciplina di studio in grado di orientare i giovani nelle loro scelte culturali e di vita, si legge. Svilire in questo modo la specificità del sapere storico nella formazione scolastica significa inoltre accelerare, forse senza rendersene conto, un processo già in atto di riduzione del significato dell’esperienza del passato come patrimonio di conoscenze per la costruzione del futuro.
Lo studio di “ieri” è affidato, pertanto, alla sola coscienza di insegnanti che, nonostante tutto, decideranno di resistere a questo nuovo attacco alla cultura. È cancellando i ricordi che si rendono aride menti giovani, spugne che tutto assorbono e che, ben indirizzate, potrebbero assomigliare al più pericoloso dei nemici futuri. È cancellando la diga eretta dai ricordi che si affoga nell’ignoranza ed è alla stessa maniera che si torna a parlare di razza, a mettere in dubbio il progresso scientifico, a guardare al vicino non più con solidarietà ma con invidia e livore, mentre il potente di turno ipnotizza le masse con gli slogan necessari alla sua affermazione. Anche cancellando la possibilità di selezione di un tema si indirizza il percorso di un ragazzo, le proprie scelte circa le materie verso cui profondere gli sforzi maggiori, magari anche a dispetto di un interesse che lo porterebbe a guardare proprio in direzione della storia o dell’arte
Paga sempre la scuola. Paga sempre la memoria. Pagherà presto anche la libertà, e forse già sta pagando. E forse stiamo già pagando tutti noi.