Tutti i movimenti d’avanguardia succedutisi tra il 1874 e il 1905 puntarono con una certa insistenza – nella loro polemica antitradizionalista – sul nuovo significato assegnato al colore. Un cammino inarrestabile che volse all’integrale autonomia del linguaggio artistico, passando attraverso la “rivoluzione” cubista. Il Cubismo – termine originato da una battuta ironica – nacque dal rapporto arte-oggetto compiuto con una ricerca, solidale e comune, da Pablo Picasso e Georges Braque, a partire dal 1907. Nella sua essenza, volumetrica, la realtà non fece altro che suscitare la volontà di trasferire questa tridimensionalità su una superficie a due dimensioni, quella del quadro.
Nell’Impressionismo essa era stata assorbita nell’atmosfera, nel Fauvisme, invece, appiattita a vantaggio del colore. Furono proprio tali caratteristiche a non soddisfare i cubisti poiché, in questo modo, veniva deluso il loro desiderio di una realizzazione integrale della pittura, della perfetta conoscenza dell’oggetto, ciò che permetteva di intervenire, in modo attivo, in ogni parte del quadro. Tutto questo portò a nuove e straordinarie possibilità di svolgimento formale dell’immagine che, ora, poteva proiettare attorno a sé la sua intera esistenza dirimendo la propria stereometria sulla superficie della tela. Il risultato fu, quindi, la possibilità di incorporare anche l’atmosfera circostante sotto forma di incastro di piani spigolosi e taglienti.
Il Cubismo aprì una nuova dialettica formale destinata a influenzare – dall’architettura alle arti applicate – l’arte del nostro secolo. Ma fu Cézanne a indicare la strada per giungere a questo pieno possesso della realtà: Non ci deve essere una sola maglia troppo allentata, un solo foro attraverso il quale la verità possa sfuggire […] nel medesimo slancio, nella medesima fede tutto ciò che si sparpaglia, […] tutto quello che vediamo si disperde, dilegua. La natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare. La nostra arte deve dare il brivido della sua durata, […] non vacilla, è vera, è densa, è piena. Parole che prefigurarono perfettamente quello che fu l’aspetto dei quadri cubisti che proprio Picasso e Braque dipinsero alcuni anni dopo la morte del pittore.
Pablo Picasso (Malaga, 1881) con le sue Les demoiselles d’Avignon – incunabolo della visione cubista – donò al mondo un’opera assolutamente programmatica della nuova tendenza, con il suo spazio scheggiato e rappreso, estremamente rappresentativo anche della personalità dell’autore. L’artista spagnolo si trasferì definitivamente a Parigi nel 1904 e tre anni dopo divenne l’alfiere della più audace avanguardia pittorica europea. Fu proprio nella capitale francese che, anni addietro, il 24 giugno del 1901, era riuscito a organizzare la sua prima mostra nella prestigiosa galleria di Ambroise Vollard, in rue Lafitte.
Nei periodi trascorsi fra Barcellona e Parigi, definiti – per l’intonazione dominante – periodo blu (1902-1904) il primo, e periodo rosa (1904-1905) il secondo, Picasso dipinse con incredibile coinvolgimento quadri di poveri e saltimbanchi resi con una linea espressiva e castigata, cogliendo in essi atteggiamenti simbolisti e reminiscenze degasiane. Attorno al 1910, con Braque, elaborò la formula del “Cubismo analitico” nel quale gli oggetti vennero analizzati nelle loro componenti plastiche e lo spazio materializzato in linee e piani decisi. Una forma “ascetica” del Cubismo nella quale vi fu un’azione intensa sulla forma e sull’ormai quasi secondario intervento del colore: furono usate gamme basse quali terre, ocre e grigi.
Nell’ultimo periodo di lavoro, invece, l’analisi e la scomposizione delle forme sembrarono placarsi, il tessuto delle composizioni si appiattirono e le raffigurazioni divennero più vaste e colorate. Le immagini della realtà visibile subirono delle dislocazioni, le loro impronte, le loro sagome grafiche, il loro colore favorirono accostamenti, sovrimpressioni inaspettate, dando vita a un risalto formale tutto nuovo, un potenziale semantico inedito. Questa forma assunse il nome di “Cubismo sintetico”, un altro passo avanti che condusse poi alla totale libertà di Picasso, all’esito ultimo della sua arte e di quella di Braque. La novità fu dettata dalla facoltà di porre un interrogativo poetico sulla realtà, introducendo lo scambio e la sostituzione analogica delle immagini e di parti di esse.
Al periodo successivo, attorno al 1920 – dopo il suo viaggio in Italia – appartengono delle composizioni di nudi femminili nei quali la forza plastica fu esaltata all’ennesima potenza, raggiungendo una monumentalità definita “neoclassica”. Proprio in questo itinerario Picasso creò la sua “lingua pittorica” in cui ogni possibile articolazione sintattica della forma espresse una vasta gamma di sentimenti umani, così come può dirsi di tutte le innumerevoli fonti culturali adoperate (scultura iberica, antica pittura catalana fino alla tradizione occidentale).
Da un dominio così pieno e multiforme di strumenti espressivi tornò in luce la grande composizione del soggetto contemporaneo, un incontro tra realtà storica e momento. Con una materia quasi impersonale e stampata della tempera, un colore limitato ai neri, bianchi e grigi, Picasso realizzò nel 1937 Guernica, un grido umano di protesta contro il bombardamento della città spagnola compiuto dai nazisti alleati di Franco.
L’arte non é solo dell’artista,ma anche di colui o in questo colei che sa descriverla, raccontarla e far emozionare. Sempre più brava:)
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