Le origini della Land Art risalgono, secondo Gilles Tiberghien, a quando, una notte, Tony Smith e alcuni studenti della Cooper Union decisero di entrare nel cantiere dell’autostrada e percorrere in macchina il nastro nero di asfalto in una periferia di New York. Nel dicembre del 1966 venne pubblicato sulla rivista Artforum il racconto di questo viaggio on the road e proprio a esso si può far risalire la serie di camminate nei deserti e nelle periferie urbane che attraversarono la fine degli anni Sessanta.
Francesco Careri nel suo Walkscapes racconta che, durante il suo viaggio, Smith provò una sensazione di estasi ineffabile che lui stesso definì la fine dell’arte: La strada è una grande parte del paesaggio artificiale, ma non si poteva però qualificarla come opera d’arte. Nacque, quindi, un problema legato alla natura estetica del percorso: la strada può essere un’opera d’arte? In che modo? È un oggetto ready made o un segno astratto che attraversa il paesaggio? È un oggetto oppure un’esperienza? È uno spazio in sé o è un atto dell’attraversamento? Qual è il ruolo del paesaggio intorno?
Tony Smith aveva due visioni differenti: una riteneva la strada come segno e come oggetto su cui avviene l’attraversamento; l’altra invece percepiva l’attraversamento stesso come esperienza, attitudine che diventa forma. Tutto questo avrebbe fatto sì che l’arte potesse essere in qualche modo liberata, portata fuori dalle gabbie dorate delle gallerie e dei musei, riconquistando l’esperienza dello spazio vissuto e delle dimensioni del paesaggio. L’esperienza di Smith sembrava ancora simile al ready made, ma fu a partire da quel momento che la pratica del camminare cominciò a trasformarsi e a evolversi in una forma d’arte autonoma.
Carl Andre e Richard Long furono due artisti che, scrive Careri, attraverso le loro opere, sembrarono prolungare in due direzioni l’esperienza di Smith. Andre cercò di realizzare degli oggetti, azzeramento e riduzione della scultura, che occupavano uno spazio però senza riempirlo. Il suo intento era forse quello di avvicinarsi alla strada nera e lunga di Smith; uno spazio bidimensionale che andava abitato, un tappeto senza fine, un suolo astratto, artificiale, dilatato, appiattito come un basamento privo di spessore dove non veniva poggiata nessuna scultura ma, allo stesso tempo, definiva uno spazio vissuto dallo spettatore.
Richard Long rispose a quanto Andre affermava con la sua arte: Quello che distingue il suo lavoro dal mio è che lui ha fatto delle sculture piatte sulle quali possiamo camminare. È uno spazio sul quale camminare che può essere spostato e rimesso in un’altra parte, mentre la mia arte consiste nell’atto stesso del camminare. Carl Andre fa degli oggetti su cui camminare, la mia arte si fa camminando. È la differenza fondamentale. La strada vissuta da Smith è per Andre la scultura ideale, Long invece voleva andare oltre, l’arte per lui non era altro che l’esperienza vissuta nel viaggio, un passaggio quindi dall’oggetto fisico alla sua assenza. Il percorso erratico tornò ad essere una forma estetica nel campo delle arti visuali.
La mia forma d’arte è il viaggio fatto a piedi nel paesaggio… La sola cosa che dobbiamo prendere da un paesaggio sono delle fotografie. La sola cosa che ci dobbiamo lasciare sono le tracce dei passi. – Hamish Fulton
Articolo molto stimolante che apre porte a nuove riflessioni.
L’atto del camminare è forma d’arte e talvolta ciò che accade lungo il percorso è processo artistico in fieri.
https://www.facebook.com/ri.esposito/videos/10212040139416868/?t=20