«È vero, questa bambina è tale e quale a un biscotto Oreo visto di profilo». Fu confrontando l’intenso marrone della sua pelle e il largo sorriso pieno di denti bianchi come il latte che Oreo, la protagonista dell’unico romanzo della scrittrice afroamericana Fran Ross, ricevette il suo soprannome. E poco importa che la sua attribuzione fosse figlia di un malinteso. Situazioni ilari e sferzanti come questa – e anche di più – si succedono continuamente, risultando la vera forza del libro recuperato ed edito da SUR.
Scritto e pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1974, Oreo è uno di quei volumi che si sono persi negli anni, dimenticati ben presto da lettori, librerie ed editori. Una sorta di macchina del tempo proiettata verso il futuro che, però, l’editoria dell’epoca non seppe leggere e riconoscere, antitesi di tutti i luoghi comuni di cui la terra dello zio Sam era – ed è tuttora – pregna. L’autrice, Fran Ross, attraverso una lingua tagliente e scostumata – la stessa che affida alla sua eroina – irrompe nelle consuetudini a stelle e strisce e le ribalta senza porsi troppo il problema di creare scalpore.
Non vi è tema, infatti, che Christine Clark (il vero nome di Oreo) non affronti – e rovesci – con ironia e intelligenza, dal razzismo, al femminismo, passando per le abitudini della borghesia bianca quanto di quella nera, le tradizioni ebraiche. Oreo sembra ballare al ritmo frenetico dei suoi sedici anni su un campo minato e uscirne illesa, con disarmante facilità. Ed è, forse, a questo aspetto in particolare che si deve l’uscita di scena del romanzo per quarant’anni, il suo linguaggio attualissimo ancora nel 2020, uno slang vivace che trascina il lettore per i sobborghi della Grande Mela, tutto quanto, insomma, negli anni ’70 non si confaceva a una donna e, per di più, di colore.
Neologismi, battute, grafici – come quello atto a classificare gli afroamericani lungo la scala di colore della loro pelle, da 1 bianco a 10 nero, passando per bianchiccio, marroncino, marronissimo e scurino, non scordando di sottolineare che N.B. «nerissimo» non esiste. È un termine che usano solo i bianchi. […] Se un nero dice «John è nerissimo», sta parlando del suo orientamento politico, non del colore della sua pelle – in Oreo le questioni sociali e politiche sono lo spunto da cui genera ogni situazione in cui la ragazza si imbatte.
Christine è per metà nera (da parte di madre) e per metà ebrea (il papà di cui tenterà di seguire le tracce), cresce in compagnia della nonna e modella il proprio stile di vita sugli insegnamenti del quartiere, del professore con cui fa lezione, il lattaio con le sue teorie sull’uomo e l’evoluzione, Oreo inventa e rivolta parole con la complicità del fratellino, impara a difendersi e ad attaccare con quelle, oltre a qualche mossa proibita di arti marziali.
La ricerca del padre (che si ispira al mito di Teseo) si dipana tra le strade di una New York popolata di personaggi improbabili, nani, matti, delinquenti, prostitute e magnaccia, come quello che cercherà – a sue spese – di abusare di lei. Oreo è decorata dalla vivacità di un cartone animato, tuttavia, il suo carattere è ben definito, così come quello di chi la circonda, comparse utili al suo unico vero scopo: mettere in crisi le convenzioni su cui l’Occidente si fonda.
Il testo di Fran Ross è un manifesto che irrompe con straordinario tempismo anche nelle rimostranze del mondo moderno, a partire dalle rivendicazioni femminili fino al movimento Black Lives Matter, sottolineando quanto – a volte – il mondo sia capace di restare immobile, di spalle ai diritti delle classi più deboli, dei suoi figli venuti alla luce e dimenticati a combattere.
La lettura di Oreo è una ventata d’aria fresca, un capolavoro di riscoperta – e di traduzione – di una casa editrice che non sbaglia mai un colpo, le edizioni SUR. L’auspicio, come per altri libri dimenticati dalla storia – è l’esempio del caso Stoner di John Edward Williams – è che finalmente, tornato alla luce degli scaffali, possa presto godere dello stesso meritato successo.
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