Nell’era digitale, fatta di connessione costante e accessibilità tramite i social network, esprimere le proprie opinioni si fa più semplice e immediato. Quello di condividere con una comunità più o meno controllata il proprio punto di vista diventa, quindi, un gesto quasi naturale che può scalfire le coscienze degli altri membri del gruppo. Eppure, dietro le singole opinioni degli individui, si nasconde qualcosa di più grande e di più incidente di un semplice commento espresso con naturalezza.
Nessuna amministrazione, in qualunque forma di governo, può avere successo senza l’approvazione dell’opinione pubblica. E non solo: la massa informe, il concetto astratto che l’opinione pubblica rappresenta, ha un’influenza indiretta – più o meno intensa in base al tipo di organizzazione statale – su tutte le decisioni politiche. Anche le azioni dettate dalla volontà di un singolo esponente o partito vanno passate al vaglio dell’opinione pubblica, o meglio, devono essere pensate, presentate e comunicate in modo conforme alle inclinazioni della popolazione.
Tale concetto, nel modo in cui lo intendiamo adesso, nasce insieme alla borghesia. La nuova classe sociale, infatti, è la prima che, con l’avvento della modernità, inizia a creare un’idea di collettività e a interessarsi alle questioni pubbliche. In particolare, è il sociologo Jürgen Habermas a cogliere la natura collettiva della borghesia, la quale, sentendosi coinvolta nelle decisioni politiche, dà il via a quello che è l’ideale moderno di partecipazione, rivelatosi il carburante delle grandi rivoluzioni che definiscono i connotati della società di oggi. Ma, soprattutto, nasce come critica, e quindi legittimazione, dei poteri. Il principio alla base della nuova concezione di collettività, infatti, risiede nell’idea che il potere appartenga, seppur in modo indiretto, al popolo. Un principio che condivide con la democrazia stessa.
In realtà, quella di opinione pubblica è una nozione molto difficile da inquadrare. Si tratta di un’entità intangibile, materialmente indefinibile, che non può identificarsi nell’insieme delle individualità. Essa, infatti, non va intesa come la somma algebrica delle opinioni dei singoli individui – modo in cui, invece, funziona il sistema elettorale –, ma come una tendenza generale che assume significato solo nella sua collettività. In qualche maniera, comunque, dipende anche dalle opinioni pubbliche che ogni cittadino ha, a prescindere dagli altri membri della comunità. E mentre un’entità astratta può immaginarsi come una forza naturale e imparziale, l’opinione degli esseri umani nella loro singolarità è inevitabilmente fatta di esperienze dirette, di stereotipi e di tutti quegli espedienti mediali tramite i quali l’uomo cerca di capire il mondo. È stato proprio questo dilemma a condurre Walter Lippmann, l’autore di Public Opinion, all’idea di un’opinione pubblica standardizzata, applicata con logica e un codice morale omogeneo attraverso l’elettore.
Nonostante le controversie relative alla sua indefinibilità, però, è proprio nella collettività che risiede il potere politico e sociale di questa forza indefinibile e, a suo modo, paradossale. Sebbene nasca con una classe sociale ristretta e quindi con connotazioni elitarie, inoltre, ciò a cui tende è l’uguaglianza politica e l’equilibrata partecipazione di tutti i cittadini alla vita pubblica. Un ideale non facilmente raggiungibile perché presuppone che tutti gli individui siano ugualmente formati, informati e interessati alle questioni politiche e sociali, tralasciando l’inevitabile natura mediale dell’informazione: in un mondo tanto grande e vario, tutte le notizie e le nozioni giungono tramite il sistema mediatico che dunque diventa in grado di condizionare e orientare le convinzioni.
Ma per quanto possa sembrare un ideale astratto, l’opinione pubblica funziona o, per lo meno, esiste. Ha una sua tendenza, una voce collettiva e, quindi, anche un’influenza, pur probabilmente rappresentando di rado la totalità dei cittadini riguardo i temi su cui si esprime e coinvolgendo, più che altro, solo i gruppi particolarmente interessati ai singoli argomenti. Sottolinea, però, l’importanza della partecipazione politica e l’indispensabile presenza di ogni individuo nella sfera pubblica.
L’impossibilità di essere compresa fino in fondo è parte della natura stessa dell’opinione pubblica, e sono tanti i quesiti che chi ne studia gli andamenti si pone da decenni: se sia una forza unica o un aggregato di pareri, se sia autonoma o manipolabile, se sia mossa dalla razionalità dei singoli o dall’irrazionalità incontrollata delle masse. Non a caso, da tempo ormai si tenta di misurarla tramite i sondaggi e i sistemi di rilevamento di dati puramente quantitativi. In questo modo, però, i risultati sono quasi sempre mediati dalle risposte multiple di cui ogni analisi è formata. Un tipo di rigidità che non può cogliere la complessità di un’entità tanto astratta quanto inafferrabile.
Nessuna misurazione, tantomeno alcun tentativo di comprensione, comunque, serve a identificare la più importante delle sue connotazioni, quella che risiede nella sua democraticità, caratteristica imprescindibile, poiché senza di essa non può esistere nessuna forma di sovranità popolare.