Nell’antica Grecia ciò che più contava era la stima dei cittadini. Gli eroi erano davvero tali solo se venivano riconosciuti come eroi, e questo valeva più della vita stessa, tanto che dalla guerra o si tornava con lo scudo, da vincitori, oppure sopra lo scudo, morti: meglio cadaveri che sconfitti.
Qualcosa di analogo accade oggi nel moderno Occidente, seppur con qualche variante. Se per i Greci valeva l’onore in battaglia e l’impegno pubblico in patria, infatti, per gli occidentali del XXI secolo valgono la taglia 40 e i glutei sodi.
La ricerca ossessiva della perfezione estetica raccoglie sempre più adepti. Il chirurgo è il nuovo dio e il bisturi l’ultimo idolo da venerare. L’ansia con cui si aspettano le più aggiornate tecniche distruttivo-ricostruttive supera quella con cui i fan più accaniti del Segreto attendono la prossima puntata.
Dal botox sul viso al cemento nelle natiche, poco importa se il risultato è peggiore dell’originale: meglio mostri che invisibili. Nella società tutta trucchi e televisione, chi non riesce a ritagliarsi la sua porzione di schermo è out. Bisogna essere social, bisogna essere in, costi quel che costi. E indubbiamente costa.
Lo sa bene Apotheosis, pseudonimo per l’uomo di New York allungatosi di 15.24 centimetri con una serie di interventi da circa centomila dollari. Certo, niente a che vedere con Valeria Lukyanova, in arte Barbie, un’ucraina di trentadue anni che ha speso quasi un milione di euro per assomigliare il più possibile a una bambola di plastica, rimettendoci persino due costole: il prezzo per avere una vita abbastanza stretta da poterla avvolgere tra le mani.
Ma la mania del “bello per forza” non conosce genere, e se c’è Barbie non può mancare Ken: il suo vero nome è Justin Jedlica, e probabilmente di vero gli è rimasto soltanto quello. Il trentasettenne newyorkese ha passato più di dieci anni della sua vita tra una sala chirurgica e l’altra, arrivando alla quota di circa novanta interventi. Ora ha i pettorali in silicone e assomiglia più a un pupazzo che a un uomo, ma almeno ha raggiunto il suo sogno.
Ve lo immaginate un bambino che alla domanda Cosa vuoi fare da grande? anziché rispondere il pompiere, il calciatore, l’astronauta, dice Voglio diventare una tartaruga ninja!? Sembra surreale, invece è tanto drammatico quanto possibile, e non mancano i precedenti: Dennis Avner, meglio noto come l’uomo gatto, nel 2009 ottenne il Guinness World Record per il maggior numero di interventi chirurgici e modificazioni corporee di altro genere. Da dove deriva tanto masochismo? Abbiamo ricercato una possibile risposta nell’opera L’essere e il niente del filosofo francese Jean Paul Sartre, ed ecco cosa abbiamo scoperto: a mandare in crisi è lo sguardo dell’Altro, che ci angoscia perché ci fa essere. Come nell’antica Grecia, la cifra di quello che siamo è segnata da ciò che gli altri vedono in noi, sono questi a definirci.
I sentimenti di vergogna o vanità che proviamo di fronte a ogni giudizio sono la prova che, in un modo o nell’altro, quel giudizio ci ha condizionato e, addirittura, ci contamina. In quel momento, infatti, siamo già qualcosa di diverso da chi credevamo: siamo, appunto, ciò che l’Altro ci fa essere. Spesso, è proprio questo che invita al cambiamento, spingendo soprattutto i più giovani al sacrificio di sé in onore del dio Bellezza. Ne è un esempio il blog chiuso di recente che induceva all’anoressia: Non mangiare appena sveglia, Se stai per mollare non farlo, insieme ce la faremo!. Intanto, i disturbi alimentari negli adolescenti restano la seconda causa di morte subito dopo gli incidenti stradali.
Lo psicanalista e sociologo tedesco Erich Fromm fornisce a questo proposito un’attenta analisi della società in cui viviamo e dei suoi vizi. Come leggiamo nel libro Avere o essere, quello che principalmente manca è l’amore e il rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni, con la consapevolezza che non le cose, il potere e tutto ciò che è morto, bensì la vita e tutto quanto è pertinente alla sua crescita hanno carattere sacro.
Fromm distingue l’uomo contemporaneo in due categorie: da un lato c’è il desiderio di possesso tipico del consumismo e dall’altro – più raro – un modo di concepire l’esistenza dell’uomo in base alla sua essenza. La scelta è tra avere o essere. In questo caso, più nello specifico, essere o apparire. E se Fromm formula la domanda È l’uomo a possedere le cose, o sono le cose a possedere l’uomo?, noi sostituiamo le cose con l’ideale della bellezza. Perché l’uomo moderno non solo consuma, ma si consuma, e nel costante tentativo di riempire la sua inesauribile insoddisfazione, sposta l’attenzione dall’essenza all’apparenza, convincendosi che integratori e chirurgia risolveranno ogni problema di autostima. Ma seppure fuori il problema non si vede, dentro è ancora lì che cresce. Per intervenire su quello, però, il chirurgo non è il medico giusto.